Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32877 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 32877 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
In nome del Popolo italiano
Data Udienza: 23/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME NOME
– Presidente –
Sent.n.sez.1251/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
CC – 23/09/2025
R.G.N. 17689/NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMENOME NOME a Lehliu (Romania) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa in data 21 febbraio 2025 dalla Corte di appello di Catania;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale NOME COGNOME, che ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catania ha riconosciuto, ai fini dell’esecuzione in Italia, la sentenza n. 133 emessa dalla Corte di appello di Bucarest in data 27 gennaio 2016, che ha confermato la sentenza n. 86 pronunciata in data 29 ottobre 2015 dalla Pretura di Lehliu Gara nei confronti di NOME COGNOME; questa sentenza ha condanNOME NOME alla pena di sette anni e quattro mesi per plurimi delitti di furto in abitazione commessi nel 2014.
L’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, difensore di NOME, ha proposto ricorso avverso tale sentenza e, proponendo quattro motivi, ne ha chiesto l’annullamento.
Il difensore ha premesso che la Corte di appello di Catania, con sentenza del 10 gennaio 2023, ha rifiutato l’esecuzione del mandato di arresto esecutivo emesso dall’autorità giudiziaria rumena nei confronti di COGNOME, in forza dell’art. 18, lett. h), della legge 22 aprile 2005, n. 69.
La Corte di appello di Catania, inoltre, con la sentenza indicata in epigrafe, su richiesta del Procuratore generale, ha provveduto al riconoscimento ai fini dell’esecuzione nello Stato italiano della pena inflitta dall’autorità giudiziaria rumena.
2.1. Il difensore, con il primo motivo, ha dedotto l’inosservanza dell’art. 12 d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161, in quanto nessuna richiesta di esecuzione in Italia della pena inflitta dallo Stato rumeno è pervenuta, né la sentenza di cui si chiede l’esecuzione è corredata dal certificato, come previsto dall’art. 4 della decisione quadro 2008/909/GAI.
Il sistema esecutivo delineato da questa decisione quadro, cui lo Stato italiano si è uniformato con il d.lgs. n. 161 del 2010, si fonda sul consenso dello Stato che ha emesso la sentenza da porre in esecuzione, in quanto «lo Stato di esecuzione non può ‘appropriarsi’ del titolo esecutivo straniero».
Lo Stato di esecuzione, dunque, a tutela della sovranità dello Stato che ha emesso la sentenza di condanna, non può dare alla sentenza estera un’esecuzione difforme da quella delineata nella decisione-quadro.
Il mancato interesse dello Stato rumeno all’esecuzione della pena predetta, dopo il decorso di dieci anni, peraltro, dimostrerebbe proprio l’avvenuta prescrizione della pena inflitta al ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo il difensore ha censurato la violazione dell’art. 10 d.lgs. n. 161 del 2010, in quanto la Corte d’appello non ha tenuto conto di tutti i presupposti necessari per il riconoscimento e, in particolare: nessuna richiesta è pervenuta dallo Stato rumeno; non è stato acquisito il consenso di COGNOME e manca in consenso del Ministro della Giustizia, venendo in rilievo l’esecuzione di una sentenza di condanna emessa da uno Stato estero nei confronti di una persona che non ha la cittadinanza italiana.
2.3. Con il terzo motivo il difensore ha eccepito la violazione dell’art. 13 d.lgs. n. 161 del 2010, in quanto, come risulta dalla sentenza di condanna, il ricorrente durante la fase del giudizio non è stato sentito, né ha partecipato al processo, che si è svolto in sua assenza.
Non essendo allegato alla sentenza il certificato e non essendo stato prodotto il fascicolo relativo all’esecuzione in territorio italiano del mandato di arresto europeo, inoltre, non sarebbe noto se l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo svoltosi nei suoi confronti e se ha volutamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione avverso la sentenza emessa dall’autorità giudiziaria rumena.
2.4. Con il quarto motivo il difensore ha dedotto, in via subordinata, l’inosservanza dell’art. 10, comma 5, d.lgs. n. 161 del 2010, in quanto la Corte d’appello di Catania ha illegittimamente ritenuto la pena irrogata dall’autorità giudiziaria rumena compatibile con quella prevista in Italia per casi simili.
I giudici di appello, infatti, non avrebbero considerato che nel caso di specie l’aumento di pena determiNOME per la continuazione è di gran lunga superiore al triplo della pena base, in quanto la pena base anni di due di reclusione è stata aumentata di cinque anni e quattro mesi di reclusione (per un totale di sette anni e quattro mesi di reclusione), in violazione del disposto dell’art. 81, secondo comma, cod. pen.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 14 luglio 2025, il Procuratore generale, NOME COGNOME, ha chiesto di annullare la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Catania con riferimento alla pena irrogata con la sentenza riconosciuta, rigettando nel resto il ricorso.
In data 1 agosto 2025 la Corte di appello di Catania ha comunicato che il ricorrente è stato tratto in arresto in data 1 luglio 2025 in Slovenia in esecuzione del mandato di arresto europeo relativo alla sentenza n. 133 emessa dalla Corte di Appello di Bucarest (Romania) del 27 gennaio 2016 di conferma della sentenza n. 86 emessa in data 29 ottobre 2015 dalla Pretura di Lehiiu Gara di Condanna di COGNOME NOME e che in data 28 luglio 2025 il ricorrente è stato consegNOME all’autorità rumena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto.
Con il primo motivo, il difensore ha dedotto l’inosservanza dell’art. 12 d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161, in quanto nessuna richiesta di esecuzione in Italia della pena inflitta dallo Stato rumeno è pervenuta, né la sentenza di cui si chiede l’esecuzione è corredata dal certificato, come previsto dall’art. 4 della decisione quadro 2008/909/GAI.
3. Il motivo è fondato.
3.1. Il sistema esecutivo delineato dalla decisione quadro 2008/909/GAI, che l’ordinamento italiano ha recepito con il d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161, si fonda sul consenso dello Stato che ha emesso la sentenza da porre in esecuzione.
L’autorità giudiziaria rumena, tuttavia, non ha espresso alcun consenso all’esecuzione della pena irrogata nei confronti di NOME in territorio italiano, come è dimostrato anche dall’arresto del ricorrente in Slovenia e dall’inizio dell’esecuzione della pena irrogata in territorio rumeno.
3.2. La pronuncia della Corte di appello di Catania si fonda invero sul presupposto, un tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, in tema di mandato di arresto europeo, la Corte d’appello che rifiuta la consegna ai sensi dell’art. 18bis , lett. c), della legge 22 aprile 2005, n. 69, disponendo l’esecuzione nello Stato della pena inflitta al cittadino italiano o di altro paese dell’Unione legittimamente residente o dimorante in Italia è tenuta al formale riconoscimento della sentenza su cui si fonda il m.a.e. secondo quanto previsto dal d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161 (contenente disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/909/GAI del 27 aprile 2008, sul principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive, ai fini della loro esecuzione nell’Unione Europea) e, quindi, a verificare la compatibilità della pena irrogata con la legislazione italiana ( ex plurimis : sez. 6, n. 29865 del 26/10/2020, Rapa, Rv. 279957 – 01).
3.3. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, nella recente sentenza del 4 settembre 2025, nella causa C-305/22, relativa proprio ad una fattispecie analoga a quella oggetto del ricorso, ha, tuttavia, negato fondamento a questo orientamento.
La Grande Sezione della Corte di Giustizia ha, infatti, affermato che:
l’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, e gli articoli 4, 22 e 25 della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che: da un lato, il rifiuto dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, fondato sul motivo di non esecuzione facoltativa previsto all’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584, di consegnare una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà personale, presuppone che tale autorità giudiziaria rispetti le condizioni e la procedura previste dalla decisione
quadro 2008/909 per quanto riguarda il riconoscimento della sentenza di condanna a tale pena e la presa in carico dell’esecuzione di detta pena; dall’altro lato, lo Stato di emissione conserva il diritto di eseguire la stessa pena, e quindi di mantenere il mandato d’arresto europeo, in circostanze in cui, senza aver rispettato le condizioni e la procedura previste dalla decisione quadro 2008/909 quanto al riconoscimento di tale sentenza e a tale presa in carico, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione abbia rifiutato, sulla base di tale motivo, l’esecuzione di detto mandato d’arresto europeo;
l’articolo 3, punto 2, della decisione quadro 2002/584 deve essere interpretato nel senso che: non costituisce una «sentenza definitiva per gli stessi fatti», ai sensi di tale disposizione, una decisione con la quale l’autorità giudiziaria dell’esecuzione ha rifiutato, sulla base dell’articolo 4, punto 6, di tale decisione quadro, di consegnare una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà personale, ha riconosciuto la sentenza di condanna a tale pena e ha disposto l’esecuzione di detta pena nello Stato di esecuzione
3.4. Con la sentenza n. 30618 del 08/09/2025 (dep. 12/09/2025), la Sesta Sezione penale, in tema di mandato di arresto europeo esecutivo, ha affermato che, nel caso in cui, prima della sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia del 4 settembre 2025, C305/22, sia già iniziata l’esecuzione della pena in Italia e la Corte di appello non abbia richiesto il consenso dello Stato di emissione, procedendo unilateralmente al riconoscimento ed all’esecuzione della sentenza di condanna, lo Stato di emissione, ai sensi degli artt. 13 e 22 della Decisione Quadro 2008/909/GAI, non può procedere all’esecuzione della pena irrogata.
3.5. Il riconoscimento unilaterale della pena irrogata dallo Stato membro deve, dunque, essere escluso anche quando, come nella specie, l’esecuzione del mandato di arresto europeo sia stata rifiutata e l’esecuzione della pena non sia stata contestualmente disposta dalla Corte di appello.
3.6. Il carattere assorbente dell’accoglimento di questo motivo esime dal delibare le ulteriori censure proposte dal ricorrente.
Alla stregua di tali rilievi, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in mancanza del presupposto per il riconoscimento di sentenza penale straniera.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in mancanza del presupposto per il riconoscimento di sentenza penale straniera.
Così deciso il 23/09/2025. Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME