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Richiesta misura cautelare: basta allegare gli atti?

La Corte di Cassazione chiarisce i requisiti formali per la richiesta di misura cautelare da parte del Pubblico Ministero. Con la sentenza in esame, ha stabilito che per la validità della richiesta è sufficiente allegare gli atti di indagine su cui si fonda, senza la necessità di una specifica e puntuale motivazione al suo interno. L’obbligo di motivare spetta al giudice che decide, non alla parte che richiede il provvedimento. Il ricorso dell’indagato, basato su questo presunto difetto, è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Richiesta Misura Cautelare: Allegare gli Atti è Sufficiente?

La formulazione di una richiesta misura cautelare da parte del Pubblico Ministero rappresenta un momento cruciale nelle indagini preliminari. Ma quali sono i requisiti formali che tale richiesta deve rispettare per essere considerata valida? È necessario che il PM motivi analiticamente il valore di ogni prova allegata, oppure è sufficiente la semplice trasmissione degli atti al giudice? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale su questo aspetto, delineando con precisione i confini tra gli obblighi dell’accusa e le prerogative del giudice.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine dalla richiesta di applicazione di una misura cautelare (arresti domiciliari) avanzata da un Pubblico Ministero nei confronti di un indagato. Inizialmente, il Giudice per le indagini preliminari (GIP) aveva respinto tale richiesta. Successivamente, il PM aveva presentato nuovi elementi investigativi, semplicemente allegandoli a una nuova istanza senza però richiamarli esplicitamente nel corpo del testo. Il GIP, ritenendo che la mera allegazione di atti non fosse sufficiente a consentirgli di valutarne la rilevanza, aveva nuovamente respinto la richiesta.

Il Pubblico Ministero ha quindi proposto appello al Tribunale del Riesame, il quale ha ribaltato la decisione del GIP, accogliendo l’appello e disponendo la misura degli arresti domiciliari a carico dell’indagato. Contro quest’ultima ordinanza, la difesa dell’indagato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, il Tribunale non aveva chiarito se, per rendere utilizzabili i nuovi elementi, fosse necessario un esplicito richiamo nella richiesta del PM o se bastasse la loro allegazione materiale.

La validità della richiesta misura cautelare secondo la Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 291, comma 1, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che le misure cautelari sono disposte su richiesta del pubblico ministero, il quale “presenta al giudice competente gli elementi su cui la richiesta si fonda”.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha chiarito che il verbo “presentare” non implica un obbligo di motivazione dettagliata all’interno della richiesta stessa. L’obbligo del PM è quello di mettere a disposizione del giudice tutto il materiale investigativo rilevante, allegando gli atti di indagine che supportano l’ipotesi accusatoria. La norma non richiede né la trascrizione degli atti né una specifica e puntuale argomentazione a sostegno del loro valore probatorio da parte dell’organo di accusa.

I giudici hanno sottolineato una distinzione fondamentale: la domanda cautelare è qualificata dall’allegazione degli atti su cui si fonda, mentre l’obbligo di motivazione è un dovere che incombe sul giudice chiamato a decidere. Citando un precedente orientamento giurisprudenziale (Sez. F, n. 34201 del 25/08/2009), la Corte ha ribadito che la richiesta del PM può anche non essere connotata da una specifica motivazione, essendo quest’ultima un requisito essenziale del provvedimento del giudice.

Di conseguenza, la tesi difensiva secondo cui sarebbe stato necessario richiamare esplicitamente gli atti allegati per renderli utilizzabili è stata giudicata manifestamente infondata. Su un punto così palesemente privo di fondamento, il Tribunale del riesame non aveva alcun obbligo di fornire una motivazione specifica.

Conclusioni

Questa pronuncia consolida un importante principio di procedura penale, volto a garantire l’efficienza e la speditezza della fase cautelare. Viene confermata la netta separazione dei ruoli: al Pubblico Ministero spetta il compito di raccogliere e presentare gli elementi d’accusa; al Giudice spetta il potere e il dovere di valutarli criticamente e di motivare in modo approfondito la propria decisione. Per gli operatori del diritto, la lezione è chiara: la validità di una richiesta misura cautelare si gioca sulla completezza e pertinenza degli atti allegati, non sulla capacità argomentativa del PM nel descriverli. La valutazione del fumus commissi delicti è e rimane una prerogativa esclusiva dell’organo giudicante.

Per presentare una richiesta di misura cautelare, il pubblico ministero deve motivare come i nuovi atti di indagine supportano l’accusa?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è richiesta una motivazione specifica e puntuale nella richiesta del PM. È sufficiente che il pubblico ministero presenti al giudice gli elementi su cui si fonda la richiesta, allegando fisicamente gli atti di indagine pertinenti.

Qual è la differenza tra l’obbligo del PM e quello del giudice nella fase cautelare?
L’obbligo del Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 291 c.p.p., è quello di presentare gli elementi d’accusa (gli atti di indagine). L’obbligo di motivare in modo puntuale e specifico la decisione sulla base di quegli elementi è, invece, un dovere esclusivo del giudice chiamato a provvedere sulla richiesta.

Perché il ricorso dell’indagato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la questione sollevata dalla difesa è stata ritenuta ‘manifestamente infondata’. La tesi secondo cui il PM avrebbe dovuto esplicitamente richiamare gli atti allegati nella sua richiesta era così palesemente contraria alla legge e alla giurisprudenza consolidata che non meritava un esame nel merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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