Ricettazione assegno smarrito: quando lo smarrimento diventa furto
La questione della qualificazione giuridica dell’appropriazione di un bene smarrito è da sempre dibattuta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un caso specifico, quello della ricettazione di un assegno smarrito, stabilendo un principio chiaro: impossessarsi di un titolo di credito perso da altri non è una semplice appropriazione di cosa smarrita, ma un vero e proprio furto. Questa qualificazione ha conseguenze dirette per chi, successivamente, riceve tale bene.
I Fatti di Causa
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di ricettazione di un assegno bancario. In precedenza, lo stesso imputato era stato assolto dall’accusa di falsificazione del titolo e il reato di truffa era stato dichiarato estinto per remissione di querela. La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un punto cruciale: l’assegno non era stato rubato, ma semplicemente smarrito dal legittimo proprietario, come da denuncia di quest’ultimo. Secondo la tesi difensiva, mancando il delitto presupposto del furto, non poteva configurarsi neanche il reato di ricettazione.
La distinzione tra furto e appropriazione di cose smarrite
Il cuore della questione giuridica risiede nella differenza tra il furto e l’appropriazione di cose smarrite. Quest’ultima si configura quando ci si impossessa di un bene che il proprietario ha perso in modo tale da non avere più alcun potere di fatto su di esso e senza che l’oggetto rechi segni evidenti di appartenenza. Il furto, invece, presuppone la sottrazione del bene a chi lo detiene.
La difesa ha puntato su questa distinzione, argomentando che la denuncia di smarrimento escludeva la sottrazione violenta o fraudolenta tipica del furto, e di conseguenza faceva venir meno il presupposto del reato di ricettazione, che richiede che la cosa provenga da un delitto.
Le motivazioni: perché la ricettazione di un assegno smarrito è reato
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, rigettando completamente la tesi difensiva. I giudici hanno richiamato un principio giurisprudenziale consolidato, secondo cui l’impossessamento di beni come assegni in bianco, carte di credito o altri titoli simili, anche se smarriti, integra la condotta di furto e non di appropriazione di cose smarrite.
La motivazione risiede nella natura stessa di questi oggetti. Essi, spiegano i giudici, ‘conservano chiari e intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui’. Il semplice venir meno della relazione materiale tra il titolare e l’oggetto (lo smarrimento) non comporta la cessazione del potere di fatto che il proprietario esercita su di esso. In altre parole, un assegno, anche se trovato per terra, ‘parla’ del suo legittimo proprietario e del suo diritto su di esso. Chi se ne appropria, quindi, lo sottrae al legittimo possessore, commettendo un furto.
Di conseguenza, se l’appropriazione dell’assegno smarrito è qualificata come furto, sussiste pienamente il delitto presupposto necessario per configurare la ricettazione. Inoltre, la Corte ha sottolineato che la consapevolezza della provenienza delittuosa dell’oggetto, elemento soggettivo della ricettazione, può essere desunta da qualsiasi elemento, incluso il comportamento dell’imputato. Ricevere un bene che palesemente non ci appartiene e farne uso a fini delittuosi è stata considerata una prova evidente di tale consapevolezza.
Conclusioni
La decisione della Cassazione ribadisce un importante monito: trovare un assegno, una carta di credito o un altro documento simile e decidere di tenerlo non è un gesto privo di conseguenze legali. La legge considera tale azione un furto. Per chi riceve, acquista o utilizza un bene di questo tipo, sapendo o potendo immaginare la sua origine illecita, scatta una condanna per ricettazione. Questa ordinanza rafforza la tutela del possesso sui beni che, per loro natura, mantengono un legame intrinseco e riconoscibile con il loro proprietario, anche dopo uno smarrimento.
Trovare un assegno smarrito e tenerlo è considerato furto?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’appropriazione di un assegno smarrito integra il reato di furto, e non di appropriazione di cose smarrite, perché tale oggetto conserva chiari ed evidenti segni di appartenenza a un legittimo proprietario.
Si può essere condannati per ricettazione di un assegno che è stato solo smarrito?
Sì. Poiché l’atto di impossessarsi di un assegno smarrito è legalmente qualificato come furto (il ‘delitto presupposto’), chi successivamente riceve quell’assegno, consapevole della sua provenienza illecita, commette il reato di ricettazione.
Come si prova che una persona sapeva che l’assegno proveniva da un reato?
La consapevolezza della provenienza delittuosa può essere dedotta da qualsiasi elemento, compreso il comportamento dell’imputato. Secondo la Corte, il fatto di ricevere un bene che evidentemente appartiene ad altri e di utilizzarlo per fini illeciti è una prova chiara di tale consapevolezza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18877 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Data Udienza: 06/05/2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18877 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Composta da
– Presidente –
NOME
CC – 06/05/2025
R.G.N. 4445/2025
NOME COGNOME
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Roma il 18/11/1945
avverso la sentenza del 14/05/2024 della Corte d’appello di Perugia
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
Rilevato che con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza in data 10 giugno 2022 del Tribunale di Terni con la quale era stata affermata la penale responsabilità del COGNOME in relazione al contestato reato di ricettazione di un assegno bancario (art. 648 cod. pen.) accertato in data 31 luglio 2019 mentre lo stesso imputato era stato assolto dal contestato reato di cui all’art. 491 cod. pen. con la formula ‘perchØ il fatto non sussiste’; infine il Tribunale aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti del medesimo imputato per l’ulteriore reato di truffa per remissione di querela.
Rilevato che la difesa dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale deducendo violazione di legge in relazione all’intervenuta condanna per il reato di ricettazione atteso che il titolo di credito non risultava di provenienza delittuosa dato che il legittimo proprietario ne aveva denunciato il solo smarrimento.
Considerato che il ricorso Ł manifestamente infondato avendo la Corte territoriale richiamato il consolidato principio giurisprudenziale, condiviso anche dall’odierno Collegio, secondo il quale «Integra la condotta di furto, e non di appropriazione di cose smarrite, l’apprensione di assegni in bianco di un conto corrente bancario, o anche di carte di credito, che siano smarriti, perchØ tali oggetti conservano chiari e intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, sì che il venir meno della relazione materiale con il titolare non comporta la cessazione del potere di fatto da questi
esercitato» (Sez. 2, n. 24100 del 03/05/2011, COGNOME, Rv. 250566 – 01; Sez. 2, n. 11034 del 16/06/1999, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 214359 – 01; in senso conforme anche Sez. 2, n. 4132 del 18/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278225 – 01; Sez. 2, n. 46991 del 08/11/2013, COGNOME, Rv. 257432 – 01).
Considerato poi che in tema di ricettazione, la consapevolezza dell’agente della delittuosa provenienza della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, ed anche dal comportamento dell’imputato, che dimostri la certezza dell’origine illecita della cosa ricettata (Sez. 2, n. 9291 del 16/05/1991, COGNOME, Rv. 187940) elemento questo nel caso in esame di assoluta evidenza nel momento in cui l’imputato ha ricevuto un bene che non poteva ignorare essere di proprietà di altri e del quale ha fatto uso a fini delittuosi.
Rilevato , pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/05/2025.
Il Presidente NOME COGNOME