Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23722 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23722 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/07/2023 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME COGNOME scritta udito il difensorel
Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della dott.ssa NOME COGNOME, Sostituta Procuratrice generale presso questa Corte, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con le statuizioni consequenziali.
RITENUTO IN FATTO
Con una prima ordinanza, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME, avendo ritenuto a suo carico, in presenza di esigenze cautelari, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di omicidio aggravato e di rapina aggravata in danno di NOME COGNOME, detta NOME, fatti commessi il 3 aprile 2011. Per tali reati erano state pronunciate sentenze di condanna divenute irrevocabili a carico di NOME COGNOME e NOME COGNOME, individuati come due dei tre responsabili.
La citata ordinanza di custodia cautelare nei confronti di COGNOME era stata confermata con provvedimento del Tribunale di Napoli adito per il riesame, ma, su richiesta del Pubblico Ministero, era stata revocata dallo stesso Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, con ordinanza del 26 aprile 2023, sulla base del rilievo che essa era stata adottata senza che fosse stata previamente autorizzata la riapertura delle indagini, necessaria perché era stato già emesso un decreto di archiviazione nei confronti di COGNOME per tali fatti.
Dopo l’autorizzazione alla riapertura delle indagini, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli emetteva nei confronti di COGNOME, per gli stessi fatti, una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere, datata 9 giugno 2023 e confermata con ordinanza del 3 luglio 2023 dal Tribunale di Napoli, che era stato nuovamente adito per il riesame.
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del riesame in data 3 luglio 2023, di conferma dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli del 9 giugno 2023.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., violazione dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen. Afferma che il Tribunale avrebbe dovuto rilevare l’inutilizzabilità della dichiarazione di COGNOME, poiché costui era stato sentito senza il rispetto delle modalità stabilite dall’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., nonostante a suo carico sussistessero già inequivoci indizi di reità.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., violazione dell’art. 414, comma 2-bis, cod. proc. pen. Afferma che il Tribunale avrebbe dovuto ritenere inutilizzabili le dichiarazioni rese da NOME COGNOME il 17 giugno 2021, perché la loro assunzione, non essendo relativa a un diverso procedimento, ma al presente, ed essendo stata compiuta in epoca precedente alla riapertura delle indagini, avrebbe dovuto essere ripetuta dopo il provvedimento che aveva autorizzato la riapertura. In mancanza, tali dichiarazioni erano inutilizzabili, ai sensi del comma ora citato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso, volto a far ritenere l’inutilizzabilità de dichiarazioni rese da NOME COGNOME, è inammissibile per genericità.
1.1. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motiv di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta «prova di resistenza», in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identi convincimento. (Sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv. 269218-01; Sez. 3, Sentenza n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Rv. 26201101)
1.2. In applicazione del richiamato principio di diritto, pienamente condivisibile, deve affermarsi, con riferimento al caso specifico ora in esame, che il ricorso è inammissibile, come sopra anticipato, perché il ricorrente non ha illustrato l’incidenza dell’eventuale eliminazione delle dichiarazioni di NOME COGNOME ai fini della «prova di resistenza». Nel ricorso, infatti, non è stato svolto un ragionamento idoneo a dimostrare che, in mancanza delle dichiarazioni di COGNOME, le residue risultanze risultino insufficienti a giustificare il convincimento espress nell’ordinanza del Tribunale impugnata.
Il secondo motivo di ricorso, volto a far ritenere che le dichiarazioni rese da NOME COGNOME, prima della riapertura delle indagini, siano inutilizzabili, è inammissibile, per mancanza di specificità.
2.1. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che sono utilizzabili le dichiarazioni rese, prima dell’autorizzazione del giudice alla riapertura delle indagini, in procedimento diverso da quello oggetto della pregressa archiviazione e relative a fatto qualificato come oggettivamente diverso da quello sul quale
l’archiviazione sia intervenuta. (Sez. 1, Sentenza n. 17724 del 01/04/2010, Rv. 247070-01).
2.2. In applicazione del richiamato principio di diritto, pienamente condivisibile, deve affermarsi, con riferimento al caso ora in esame, che il ricorso è inammissibile, come sopra anticipato, perché la mera allegazione, da parte del ricorrente, del verbale di interrogatorio di NOME COGNOME, del 17 giugno 2021, non è idonea a dimostrare che l’assunzione delle dichiarazioni non appartenga a un procedimento diverso. Non è dimostrato, quindi, che le dichiarazioni siano inutilizzabili, in applicazione dell’art. 414, comma 2-bis, cod. proc. pen., in mancanza di riassunzione nel procedimento in riferimento al quale il Tribunale si è pronunciato con l’ordinanza impugnata.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, conseguentemente, il ricorrente deve essere condanNOME al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla stregua del principio di diritto affermato da Corte cost. n. 186 del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione dell’impugnazione.
Ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen., la cancelleria curerà la trasmissione del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario in cui NOME COGNOME è ristretto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 14 dicembre 2023.