Revoca Sospensione Condizionale e Abolitio Criminis: I Limiti del Giudice
Quando una legge interviene a cancellare un reato, si parla di abolitio criminis. Ma cosa accade ai benefici concessi con la sentenza di condanna, come la sospensione condizionale della pena? Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa chiarezza sui poteri del giudice dell’esecuzione, stabilendo che la revoca sospensione condizionale non è una conseguenza automatica della decriminalizzazione. Questo caso analizza i confini entro cui il giudice può operare, ribadendo un principio fondamentale della fase esecutiva.
Il Caso: Decriminalizzazione Parziale e la Richiesta del Condannato
I fatti traggono origine da un decreto penale di condanna emesso nel 2017 per un reato previsto dalla Legge n. 638/1983, commesso nel 2012. Al condannato era stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Successivamente, una modifica legislativa ha decriminalizzato la condotta contestata, configurando un’ipotesi di abolitio criminis. Di conseguenza, il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha revocato parzialmente il decreto penale di condanna. Tuttavia, il giudice ha respinto la richiesta del condannato di revocare anche il beneficio della sospensione condizionale. Contro questa decisione, l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge.
La Decisione della Cassazione sulla revoca sospensione condizionale
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno stabilito che la richiesta del ricorrente era manifestamente infondata. Secondo la Corte, l’eliminazione del beneficio della sospensione condizionale precedentemente accordata non rientra tra le attribuzioni del giudice dell’esecuzione quando interviene una abolitio criminis.
Il ricorrente è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della manifesta infondatezza del suo ricorso e della colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha fondato la sua decisione su un consolidato principio giurisprudenziale (richiamando la sentenza n. 43278/2019). Il punto centrale è la distinzione tra i poteri del giudice della cognizione (che emette la sentenza) e quelli del giudice dell’esecuzione (che ne gestisce l’applicazione).
Quando si verifica una abolitio criminis parziale, che magari interessa il reato più grave posto a fondamento di un vincolo di continuazione, il giudice dell’esecuzione ha poteri limitati. Può, e deve, rideterminare la pena per il reato o i reati che non sono stati decriminalizzati. Tuttavia, il suo intervento si ferma qui.
La Corte ha chiarito che non rientra tra i poteri del giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 673 del codice di procedura penale, modificare il trattamento sanzionatorio in modo più ampio. In particolare, non può:
1. Sostituire una pena detentiva residua con una pena pecuniaria.
2. Revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena già concesso con la sentenza originaria.
Queste modifiche, infatti, attengono a valutazioni di merito che spettano al giudice della cognizione e non possono essere rimesse in discussione nella fase esecutiva, se non nei casi espressamente previsti dalla legge. Poiché la revoca del beneficio non è una conseguenza ammessa dall’art. 673 c.p.p., la richiesta del ricorrente è stata giudicata al di fuori dell’ambito di applicazione della norma.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un confine netto tra la fase di cognizione e quella di esecuzione. L’abolitio criminis impone al giudice dell’esecuzione di adeguare la condanna alla nuova realtà normativa, ma senza stravolgere l’impianto sanzionatorio e i benefici originariamente concessi.
In pratica, la sospensione condizionale, una volta concessa, rimane ‘ancorata’ alla condanna residua, anche se la pena viene rideterminata a seguito di una decriminalizzazione parziale. Per il condannato, ciò significa che il beneficio resta valido, ma anche che il suo ‘curriculum’ giudiziario continua a riportare la concessione di tale beneficio, con le relative conseguenze per il futuro. La decisione serve a garantire certezza giuridica, evitando che la fase esecutiva diventi un’occasione per rimettere in discussione valutazioni di merito ormai cristallizzate nella sentenza definitiva.
Se un reato viene decriminalizzato (abolitio criminis), la sospensione condizionale della pena concessa per quel reato viene automaticamente revocata?
No, secondo la Corte di Cassazione, la revoca della sospensione condizionale non è una conseguenza automatica o ammissibile dell’abolitio criminis in fase esecutiva.
Quali sono i poteri del giudice dell’esecuzione quando una condanna viene parzialmente revocata per abolitio criminis?
Il giudice dell’esecuzione ha il potere di rideterminare la pena per il reato residuo, ma non può eliminare il beneficio della sospensione condizionale precedentemente concesso né sostituire la pena detentiva con una pecuniaria, poiché tali modifiche esulano dalle sue attribuzioni ai sensi dell’art. 673 c.p.p.
Perché la richiesta di revoca della sospensione condizionale è stata dichiarata inammissibile?
La richiesta è stata ritenuta manifestamente infondata, e quindi inammissibile, perché l’eliminazione del beneficio della sospensione condizionale non rientra tra i poteri che la legge conferisce al giudice dell’esecuzione nel contesto di una declaratoria di abolitio criminis.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46892 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46892 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN GAVINO MONREALE il 25/09/1970
avverso l’ordinanza del 26/06/2024 del TRIBUNALE di CAGLIARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Visti gli atti e l’ordinanza in epigrafe emessa dal Tribunale di Cagliari, in funzione di giudice dell’esecuzione, con la quale è stato revocato il decreto penale emesso dal medesimo Ufficio in data 18.1.2017 per il reato di cui all’art. 2 legge n. 638 del 1983, limitatamente all’annualità 2012, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen.;
letto il ricorso con il quale è stato articolato un unico motivo di censura per violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla decisione del giudice dell’esecuzione di non accogliere la richiesta di revoca della sospensione condizionale della pena concessa con il predetto decreto penale;
letta la memoria del difensore;
rilevato che:
deve essere ribadito il principio per cui «in tema di esecuzione, qualora, per effetto di “abolitio criminis”, sia parzialmente revocata la condanna per il reato più grave posto a fondamento del vincolo della continuazione, che venga così ad essere risolto, è legittimo il provvedimento con cui il giudice – nel rideterminare la pena per il residuo reato già satellite – respinga la richiesta del condannato di sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria e di revocare il beneficio della sospensione condizionale precedentemente concesso, non rientrando siffatte modifiche del trattamento sanzionatorio tra i poteri del giudice dell’esecuzione. (Sez. 1, n. 43278 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277145 – 02);
ritenuto, pertanto, che la richiesta del ricorrente sia manifestamente infondata non rientrando fra le attribuzioni del giudice dell’esecuzione la possibile eliminazione del beneficio della sospensione condizionale precedentemente accordata, atteso che tale provvedimento non rientra tra quelli conseguenti ammessi ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen.;
considerato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/11/2024