Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27129 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27129 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/08/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANZARO
lette le conclusioni del PG, in persona di NOME COGNOME, che ha chiesto una udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; dichiarazione d’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza sopra indicata, il Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro revocava a NOME COGNOME la misura della semilibertà già concessagli a seguito di un fatto – a lui attribuito in sede di procedimento disciplinare – consistito nel non essersi attenuto agli ordini impartitigli dalla Poli penitenziaria al momento del rientro in istituto, in particolare, per aver egli tenut una condotta gravemente oltraggiosa e minacciosa nei confronti del personale addetto al servizio penitenziario che lo aveva invitato a levarsi una collanina in tessuto che egli, invece, asseriva gli fosse stato consentito di indossarla.
In particolare, il Tribunale, descritto tale comportamento oggetto anche di sanzione disciplinare, ha richiamato le gravi condanne (art. 416-bis cod. pen e altri reati aggravati dal metodo o dalle finalità mafiose) per cui il COGNOME era detenuto e ha rilevato che, quando anche fosse stato autorizzato a indossare la collanina in tessuto che gli era stato chiesto di depositare al rientro in istituto, n avrebbe dovuto reagire in modo violento alla richiesta, bensì – in coerenza con il “sicuro ravvedimento” alla base del beneficio penitenziario già riconosciutogli avrebbe dovuto rivolgersi alle autorità preposte per tutelare ciò che riteneva essere un suo diritto.
Avverso il suddetto provvedimento NOME COGNOME ricorre per cassazione, tramite rituale ministero difensivo, sulla base di tre motivi.
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la mancata assunzione di una prova decisiva ovvero il non essere state acquisite dal Tribunale le relazioni, redatte in altri procedimenti dai servizi sociali, nelle quali si era evidenziato u comportamento sempre corretto.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione, poiché dal provvedimento impugnato non emerge .quella inidoneità al trattamento necessaria per la revoca della semilibertà, come invece ritenuta desumibile dalla gravità attribuita alle condotte del ricorrente.
Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia una violazione di legge, in relazione all’art. 50, commi secondo e quarto, legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), p4gehià- non essere state esaminate le giustificazioni addotte dal già semilibero e l’episodio contestatogli avrebbe rappresentato solamente un evento isolato, avvenuto all’interno del carcere, quando lo stesso era già rientrato, quindi, ininfluente ai fini della decisione assunta.
Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto una dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato ) In NAIR aspecifico e generico, quindi, passibile di una dichiarazione d’inammissibilità.
Preliminarmente va ribadito che «assumono rilievo, ai fini del giudizio di revoca del beneficio della semilibertà, le condotte che, per natura, modalità di commissione ed oggetto, siano tali da arrecare grave “vulnus” al rapporto fiduciario che deve esistere tra il condannato semilibero e gli organi del trattamento dovendosi valutare se il complessivo comportamento del condannato riveli l’inidoneità al trattamento e quindi l’esito negativo dell’esperimento» (Sez. 1, n. 46631 del 25/10/2019, COGNOME, Rv. 277452).
In particolare, è stato da questa Corte reiteratamente affermato che, ai fini del giudizio sull’inidoneità del condannato al trattamento e sulla conseguente revoca del beneficio della semilibertà, occorre stabilire se il comportamento complessivamente valutato sia tale da dimostrare l’inidoneità al trattamento stesso e l’esito conseguentemente negativo dell’esperimento.
In tale prospettiva legittimamente può essere, quindi, attribuito rilievo a condotte che, per la loro natura, per le loro modalità di commissione e per il loro oggetto, siano tali da arrecare grave vulnus al rapporto fiduciario che deve esistere tra il condannato semilibero e gli organi del trattamento.
Il provvedimento impugnato ha fornito, in relazione ai sopraesposti profili una motivazione compiuta, esente da vizi logici e giuridici, valorizzando, in particolare, la gravità dell’episodio, peraltro non isolato, e l’incoerenza dello stess rispetto all’indice di “sicuro ravvedimento” già riconosciutogli per il quale, invec di reagire in maniera scomposta con atteggiamento “mafioso”, avrebbe dovuto rivolgersi con gli strumenti ordinamentali alle autorità preposte alla tutela del diritto che aveva ritenuto ingiustamente violato.
In realtà, il ricorso, più che individuare singoli aspetti del provvedimento impugnato da sottoporre a censura, tende a provocare una nuova, non consentita valutazione delle circostanze di fatto, in quanto tali insindacabili in sede d legittimità. L’ordinanza impugnata, peraltro, ha correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, con motivazione congrua, adeguata e priva di erronea applicazione della legge penale e processuale.
In particolare, non v’è prova che sia stata sollecitata l’acquisizione delle relazioni positive sul comportamento del ricorrente – con relativo vizio di autosufficienza del primo motivo – e, quando anche fosse stato così, non è stato
specificato in che modo tali positive risultanze avrebbero potuto elidere la gravità dell’episodio, non isolato, che ha tradito il rapporto fiduciario con gli organi de trattamento.
Analogamente, il secondo motivo, denunciante l’omessa, insufficiente e inidonea motivazione del provvedimento impugnato in relazione all’esito del trattamento, non si confronta affatto con le ragioni della decisione assunta dal Tribunale di sorveglianza e cita una serie di atti non allegati al ricorso, limitandosi a sostenere che un unico episodio sarebbe inidoneo a giustificare l’intervenuta revoca del beneficio.
Il terzo motivo, infine, richiama la bontà delle giustificazioni addotte dal ricorrente – sempre senza alcuna allegazione, neanche per estratto – lamentando l’assenza di valutazione da parte del Tribunale ed evidenziando che non sarebbe spiegato in che modo il ricorrente si sarebbe potuto tutelare dall’ordine di consegnare la collanina in tessuto, nonché il fatto che, poiché l’episodio – ritenuto unico e isolato – si è svolto all’interno del carcere, quindi, esso non poteva essere considerato ai fini della revoca del beneficio. Come già affermato, anche questa doglianza è viziata da un difetto di autosufficienza, nonché manifestamente infondata nel merito rispetto alla possibilità di rivolgere un reclamo (alla Direzione del carcere ovvero alla Magistratura di sorveglianza) ai sensi dell’art. 35 Ord. pen. e, infine, è errata laddove è stato ritenuto che, quando anche fosse stato un unico ed isolato episodio, esso può essere ritenuto sufficiente a rivelare il non adeguato ravvedimento alla base del beneficio già concesso e, in conclusione, nella parte in cui tale “tradimento” della fiducia già accordata debba manifestarsi solo all’esterno dell’istituto.
Ne consegue, pertanto, che l’ordinanza impugnata si sottrae a qualsiasi censura, avendo il Tribunale dato conto del grave comportamento ascritto al detenuto già semilibero, ritenuto correttamente di gravità tale da giustificare, anche sul piano della sproporzione tra la richiesta del personale penitenziario e la reazione scomposta del ricorrente, l’adozione della revoca del beneficio, senza che si possa qui pretendere una nuova, non consentita valutazione delle circostanze di fatto, in quanto tali, insindacabili in sede di legittimità.
Dalle considerazioni ora esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente 2 condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000), di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso il 3/4/2024