Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44699 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44699 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Stoicanesti il 28/01/1976 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
avverso la sentenza del 06/03/2024 della Corte di appello di Roma, seconda sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che è stata richiesta dal difensore la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del dl. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria con la quale il sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilità del ricorso; udita la discussione del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Velletri emessa in data 14/03/2023, ha dichiarato NOME COGNOME responsabile del delitto di ricettazione di quattro autovetture provento di furto, rinvenute all’interno di un capannone oggetto di contratto di locazione commerciale a lui intestato (capo A) di imputazione); lo ha invece asso to per l’analogo reato di cui al capo B) relativo ad altro veicolo di provenienza furtiva e, per l’effetto, ha rideterminato la pena inflitta in anni due mesi sei di reclusion ed euro 2.600,00 di multa.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b), c) d) ed e), ccd. proc. pen. con riferimento all’ordinanza emessa dal giudice di primo grado con la quale era stata revocata, per superfluità, la prova testimoniale introdotta dalla difesa e già ammessa.
Rispetto a tale provvedimento, oggetto di censura formulata nell’atto di appello, la Corte territoriale sul punto non si è pronunciata.
Deduce, in particolare, il ricorrente:
che il provvedimento di revoca emesso dal Tribunale è privo di motivazione ed è stato adottato senza sentire le parti in contradditorio, in violazione dell’art. 495 comma 4, cod. proc. pen.;
-che tale statuizione ha comportato la lesione del diritto di difesa dell’imputato in quanto l’audizione dei due testimoni era prova decisiva per dimostrare la sua estraneità al delitto del quale è stato ritenuto responsabile;
-che la Corte territoriale ha travisato la censura mossa nell’atto di appello all’ordinanza di revoca delle prove a discarico, inquadrandola sotto il diverso profilo della mancata sottoposizione ad esame da parte dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello ha omesso di pronunciarsi in ordine alla nullità dell’ordinanza emessa dal giudice di primo grado con la quale era stata disposta la revoca, per superfluità, della assunzione dei testimoni a discarico introdotti dalla difesa dell’imputato.
2.1. Preliminarmente va evidenziato che la questione processuale non è stata dedotta nell’atto di appello mediante specifica impugnazione dell’ordinanza di revoca pronunciata dal Tribunale, pur tuttavia è stata prospettata nel primo motivo di gravame proposto nel giudizio di legittimità.
Può trovare dunque applicazione il principio affermato da questa Corte a Sezioni Unite secondo cui l’art. 591, comma primo lett. c), cod. proc. pen. che commina la sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione per l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 581 cod. proc. pen. ( la quale postula, tra l’al l’indicazione del provvedimento impugnato) deve essere letto non isolatamenl:e, bensì nel contesto normativo complessivo concernente le impugnazioni, che denota la scelta legislativa del “favor impugnationis”, con prevalenza della manifestazione di volontà della parte di impugnare ove sia possibile individuare, comunque, il provvedimento che si è inteso censurare; ne consegue che non può essere ritenuto motivo di inammissibilità dell’impugnazione avverso un’ordinanza dibattimentale la circostanza che nell’atto di gravame proposto contro la sentenza manchi l’espressa dichiarazione di impugnazione anche dell’ordinanza, quando nello stesso – come avvenuto nella fattispecie – venga comunque denunciata l’illegittimità di questa, con esposizione delle relative ragion (Sez. U, n. 10296 del 12/10/1993, COGNOME, Rv. 195000).
2.2. Tanto premesso, in primo luogo va effettivamente dato atto che la Corte di appello non si è pronunciata in via espressa sulla dedotta nullità dell’ordinanza di revoca per superfluità di prove testimoniali difensive originariamente ammesse; tuttavia, può dirsi che la statuizione del primo giudice sia stata giustificata in vi implicita laddove in sentenza (pagine 3 e 4) si evidenzia come decisivo ed inconfutabile il dato documentale attestante la titolarità in capo all’imputato del contratto di locazione dell’immobile adibito a deposito di autovetture rubate, rispetto al quale l’imputato era rimasto silente non avendo fornito alcuna spiegazione alternativa.
2.3. È peraltro palesemente generica la deduzione difensiva prospettata nel presente ricorso nella parte in cui si afferma che la disposta revoca dei testimoni era decisiva per dimostrare l’estraneità di NOME COGNOME al reato contestato.
Va ricordato, al riguardo, l’orientamento di legittimità che si condivide e qui si vuole ribadire, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, l’ammissibilità dell’impugnazione dell’ordinanza che, all’esito della istruttoria, abbia revocato una prova testimoniale già ammessa, è subordinata alla illustrazione dei motivi per i
quali la deposizione ritenuta superflua dal giudice fosse, invece, rilevante ai fini della decisione, trovando applicazione il principio di specificità di cui all’art. 5 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 15673 del 19/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252581; Sez. 1, n. 49799 del 11/10/2023, COGNOME, Rv. 285580).
Il ricorrente si è semplicemente limitato ad affermare in via apodittica che le testimonianze revocate, lungi dall’essere irrilevanti come affermato dal primo giudice, sarebbero state, invece, in grado di contrastare le prove assunte fornendo versioni alternative, senza tuttavia indicare i soggetti che avrebbero dovuto essere sentiti nel dibattimento di primo grado, senza illustrare le circostanze ed i temi oggetto della loro audizione e senza, infine, spiegare il concreto livello di decisività di tali portati dichiarativi, rispetto al materiale probatorio raccolto nel momento i cui il giudice li aveva ritenuti superflui.
Quanto alla dedotta lesione del diritto di difesa, ben avrebbe potuto l’imputato fornire elementi a propria discolpa in forma diversa dall’esame dibattimentale e cioè tramite il noto strumento delle dichiarazioni spontanee che potevano essere rese in dibattimento in ogni momento ed anche in limine deliberazione da parte del giudice di primo grado.
2.3. Il ricorso è affetto da inammissibilità anche sotto diverso profilo.
La revoca dell’ordinanza ammissiva dei testi della difesa, disposta senza motivazione in ordine alla superfluità della prova, determina una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (Sez. 5, n. 18351 del 17/02/2012, COGNOME, Rv. 252680; Sez. 5, n. 51522 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 257891; Sez. 2, n. 9761 del 10/02/2015, COGNOME, Rv. 263210; Sez. 6, n. 53823 del 05/10/2017, D.M., Rv. 271732).
La giurisprudenza di legittimità ha anche affermato che, qualora il giudice dichiari chiusa la fase istruttoria senza assumere una prova in precedenza ammessa e le parti, corrispondendo al suo invito, procedano alla discussione senza nulla rilevare in ordine alla incompletezza dell’istruzione, la prova non assunta deve ritenersi implicitamente revocata con l’acquiescenza delle parti medesime (Sez. 5, n. 7108 del 14/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266076; Sez. 3, n. 29649 del 27/3/2018, COGNOME, Rv. 273590; Sez. 5, n. 16976 del 12/02/2020, Polise, Rv. 279166).
Ebbene, dall’esame degli atti processuali, consentito a questa Corte in ragione della natura processuale del motivo oggetto di ricorso, emerge che all’udienza celebrata il 14/03/2023, immediatamente dopo la disposta revoca dei testi a discarico, le parti, su invito del giudice, concludevano nel merito ed il difensore dell’imputato chiedeva pronunzia assolutoria, senza eccepire alcunchè in punto di nullità dell’ordinanza in rito che, dunque, si è sanata.
La dedotta nullità, dunque, anche ove eventualmente sussistente, si è sanata già nel giudizio di primo grado, sicchè la doglianza fatta valere con l’atto di appello (anche a volerla ritenere non esaminata dai giudici di secondo grado, neppure in via implicita) era ab origine manifestamente infondata in quanto tardiva.
Ed invero, al fine di stabilire se l’omessa pronuncia su un motivo di appello sia vizio deducibile in sede di legittimità non è sufficiente il solo dato del mancato esame della censura specificamente devoluta, ma occorre verificare se essa rispondeva ai richiesti canoni di ammissibilità che ne legittimano lo scrutinio.
Al riguardo, va richiamato il consolidato principio affermato da questa Corte che qui si ribadisce – secondo cui è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello “ah origine” manifestamente infondato, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 6, n. 47222 del 6/10/2015, Ardore, Rv. 265878; Sez. 3, n. 35949 del 20/06/2019, COGNOME Rv. 276745; Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281).
Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000 n. 186), al versamento della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende, che si ritiene equa considerando che l’impugnazione è stata esperita per ragioni manifestamente infondate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 02/10/2024