Revoca per Abolitio Criminis: Quando la Cassazione Dice No
L’istituto della revoca per abolitio criminis rappresenta un principio di civiltà giuridica fondamentale: nessuno può essere punito per un fatto che la legge non considera più reato. Tuttavia, il suo utilizzo è strettamente circoscritto e non può diventare un pretesto per riaprire processi conclusi. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i limiti di questo strumento, dichiarando inammissibile il ricorso di un cittadino che tentava di contestare nel merito una condanna definitiva.
Il Fatto: Un Tentativo di Revoca Respinto
La vicenda trae origine dalla richiesta di un uomo, condannato in via definitiva per il reato previsto dall’art. 483 del codice penale, di vedere revocata la propria sentenza. La sua istanza, basata sull’art. 673 del codice di procedura penale, sosteneva implicitamente una presunta abrogazione della norma incriminatrice.
Il Giudice dell’Esecuzione presso la Corte d’Appello di Bologna aveva già respinto la richiesta, sottolineando che il reato in questione non era mai stato abrogato. Nonostante ciò, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentandosi non tanto di una reale abolizione del reato, quanto dei motivi di merito che avevano portato alla sua condanna.
La Questione Giuridica: I Limiti della Revoca per Abolitio Criminis
Il cuore della questione sottoposta alla Corte Suprema non era se il reato fosse stato effettivamente cancellato dall’ordinamento, ma se la procedura di revoca per abolitio criminis potesse essere usata come una sorta di appello tardivo per ridiscutere la colpevolezza dell’imputato.
La risposta della Corte è stata netta e conforme al suo consolidato orientamento. L’istituto previsto dall’art. 673 c.p.p. conferisce al giudice dell’esecuzione un potere ben preciso e limitato: verificare, con un’attività puramente ricognitiva, se la norma incriminatrice applicata in una sentenza di condanna abbia perso efficacia. Non gli consente, invece, di compiere nuove valutazioni sul fatto storico, sulle prove o su eventuali vizi procedurali del processo di cognizione.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
Nel dichiarare il ricorso inammissibile, la Corte ha esposto chiaramente le sue motivazioni, fondate su principi cardine del nostro sistema processuale.
Inesistenza dell’Abolitio Criminis
In primo luogo, i giudici hanno confermato quanto già stabilito dalla Corte d’Appello: il reato di cui all’art. 483 c.p. non è stato oggetto di alcuna abrogazione. Già solo questo fatto rendeva la richiesta manifestamente infondata.
Intangibilità del Giudicato
Il punto centrale della decisione risiede nel principio dell’intangibilità del giudicato. La Cassazione ha ribadito che eventuali vizi o errori verificatisi nel corso del giudizio di merito devono essere fatti valere esclusivamente attraverso i mezzi di impugnazione previsti dalla legge (appello, ricorso per cassazione) nei termini stabiliti. Una volta che la sentenza diventa definitiva, le questioni di fatto e di diritto in essa decise vengono ‘sanate’ e coperte dal giudicato. Non è possibile, in fase esecutiva, rimettere in discussione ciò che è stato irrevocabilmente accertato.
Uso Improprio dello Strumento Processuale
La Corte ha osservato come il ricorrente avesse utilizzato in modo improprio l’istanza ex art. 673 c.p.p. per sollevare doglianze relative al merito della sua responsabilità penale. Questo tentativo è stato considerato un abuso dello strumento processuale, destinato a finalità completamente diverse.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza si conclude con una dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 c.p.p. per i ricorsi temerari.
Questa decisione rafforza un principio fondamentale: la certezza del diritto e la stabilità delle decisioni giudiziarie. Sebbene esistano strumenti eccezionali per porre rimedio a errori giudiziari (come la revisione del processo) o per adeguare le pene a nuove leggi (come l’abolitio criminis), questi non possono essere distorti per aggirare le preclusioni e i termini del sistema delle impugnazioni. La fase dell’esecuzione penale serve a dare attuazione a un comando giudiziale definitivo, non a riscrivere la storia del processo.
È possibile chiedere la revoca di una condanna penale definitiva se il reato viene abrogato?
Sì, l’ordinamento prevede l’istituto della ‘revoca per abolitio criminis’ (art. 673 c.p.p.), che consente di cancellare gli effetti di una condanna se la legge che prevedeva quel reato è stata abrogata.
Posso usare la richiesta di revoca per abolitio criminis per contestare errori avvenuti durante il processo?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che questa procedura serve solo a verificare se la norma penale sia stata effettivamente abrogata. Non può essere utilizzata per lamentare vizi o errori del processo di merito, i quali devono essere contestati con gli appelli ordinari prima che la sentenza diventi definitiva.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, il cui importo è determinato dalla Corte.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5337 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5337 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 12/04/1966
avverso l’ordinanza del 11/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Rilevato che il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso il provvedimento emesso dalla Corte di appello di Bologna, quale giudice dell’esecuzione, è inammissibile perch manifestamente infondato;
rilevato che del tutto correttamente il G.E. ha respinto l’istanza di revoca ex art. 673 proc. pen. della sentenza di condanna emessa nei confronti del COGNOME per il reato di cu all’art. 483 cod. pen., evidenziando come detto reato non risultasse abrogato;
osservato che il ricorrente, pur avendo impropriamente avanzato un’istanza ex art. 673 cod,proc. pen., si duole dell’intervenuta condanna per il reato di cui all’art. 483 cod. pe motivi di merito;
Ritenuto che in tema di revoca per “abolitio crinninis”, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. deve escludersi l’operatività dell’istituto allorché esso richieda da parte del g dell’esecuzione, non un riscontro meramente ricognitivo dell’intervenuta perdita di efficacia d norma incriminatrice applicata nel giudizio di cognizione e che questa Corte ha costantemente affermato il principio per cui gli eventuali vizi verificatisi nel corso del giudizio di c debbono essere fatti valere con i mezzi d’impugnazione concessi contro la relativa sentenza, rimanendo altrimenti sanati e coperti dal giudicato (sez. 1, n. 16958 del 23/02/2018, Esposit Rv. 272604 – 01; Sez. 1, n. 4554 del 26/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242791; Sez. 1, n. 37979 del 10/06/2004, Condemi, Rv. 229580).
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/11/2024