Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6597 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6597 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal COGNOME NOME nato a Terni il 20/05/1974; nel procedimento a carico del medesimo; avverso la ordinanza del 08/10/2024 del tribunale di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale del riesame di Bologna, adito con atto di appello nell’interesse di COGNOME NOME avverso il rigetto della richiesta di revoca o sostituzione della misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, in ordine a reati in materia di stupefacenti, confermava l’impugnata ordinanza.
Avverso la predetta sentenza COGNOME NOMECOGNOME mediante il proprio difensore ha proposto, con un unico motivo, ricorso per cassazione.
Deduce vizi di violazione di legge processuale riguardo all’art. 274 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. , e all’art. 275 cod. proc. pen. rappresentando la intervenuta cessazione dell’attualità e concretezza del pericolo di reiterazione
a fronte anche del tempo trascorso tra i fatti e l’applicazione della misura. Contesta anche la circostanza per cui il tribunale avrebbe illegittimamente disatteso l’incompatibilità della misura con il lavoro del ricorrente di grafic pubblicitario, come tale impegnato in frequenti viaggi. Mancherebbe anche la spiegazione della concretezza del pericolo di recidivanza e del criterio di scelta della misura attualmente in atto, definita dal ricorrente di tipo custodiale.
4. Il ricorso è inammissibile. Va preliminarmente ribadito che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì – come nel caso di specie – quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
Nel caso in esame, il tribunale ha espressamente evidenziato l’attribuzione, al ricorrente, di un’ipotesi di reato in materia di stupefacenti inerente la detenzione a fini di spaccio di cocaina.
Ha quindi evidenziato come in sede di riesame era stata confermata (con successiva dichiarazione di inammissibilità in sede di legittimità, del ricorso proposto dall’indagato), la ordinanza genetica applicativa della custodia in carcere e quindi era stato confermato sia il quadro indiziario, che quello cautelare, a fronte, a tale ultimo riguardo, di ritenuti contatti dell’uomo con ambienti del narcotraffico di “sicuro spessore” e dell’acquisto di un quantitativo significativo di droga.
Con l’ordinanza in esame, ha altresì dichiarato inammissibili alcune censure d’appello, con particolare riferimento, per quanto qui di interesse, alla dedotta incompatibilità della misura con il mestiere attualmente svolto, oltre a evidenziarne la genericità sub specie della mancata illustrazione delle ragioni di tale dedotta incompatibilità.
Il collegio della cautela, quindi, sempre limitatamente a quanto qui di interesse, ha correttamente evidenziato come il tempo trascorso dalla applicazione della misura può integrare un elemento idoneo a fini di revoca o sostituzione della stessa solo ove ricorra con altri elementi che, come tali, consentano al tempo stesso di essere qualificato come fatto sopravvenuto incidente sulle esigenze cautelari. Invero questa Corte al riguardo ha più volte precisato che il c.d. “tempo silente”, trascorso dalla commissione del reato, deve essere oggetto di valutazione, a norma dell’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., da parte del giudice che emette l’ordinanza che dispone la misura cautelare, mentre
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analoga valutazione non è richiesta dall’art. 299 cod. proc. pen. ai fini della revoca o della sostituzione della misura, rispetto alle quali l’unico tempo che assume rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della misura in poi, essendo qualificabile, in presenza di ulteriori elementi, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari. (Sez. 2 – n. 12807 del 19/02/2020 Rv. 278999 01). Il linea con tale indirizzo quindi, il collegio ha correttamente rilevato che tempo invocato dal ricorrente non assume rilievo in mancanza di altri elementi utili a fornire spessore a tale dato, ai fini in esame. Ed ha coerentemente escluso che integrino elementi di novità, da valutare assieme al decorso del tempo, la puntuale osservanza delle prescrizioni, trattandosi di condizione obbligata di attuazione della misura, altrimenti suscettibile di provvedimento di aggravamento, e come tale non espressiva di una scelta autonoma idonea a definire l’insorgenza di una situazione soggettiva o oggettiva modificata in senso positivo per l’interessato.
Rispetto a tale motivazione, ineccepibile, non si individuano puntuali vizi: da una parte emerge una generica (come tale inammissibile) rivendicazione di sopravvenuta insussistenza delle esigenze cautelari con vizio di legge inficiante il provvedimento; dall’altra, in assenza di dati oggettivi, come tali in grado di supportare validamente un asserito giudizio di violazione di legge, e in presenza, piuttosto, di affermazioni, lo si ripete, apodittiche, il ricorrente ricade in censu meramente rivalutative e indeterminate ed evita di confrontarsi con le argomentazioni – corrette – del collegio. Infine, a fronte della dichiarazione di inammissibilità della censura da parte del tribunale, anche perché generica, sulla incompatibilità tra misura e lavoro, il ricorrente, inammissibilmente, non ha confutato il fondamento del rilievo. Laddove è noto che il motivo dichiarato generico non può formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, e ciò persino quando la decisione del giudice dell’impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (sez. 3, n.10709 del 25/11/2014 (dep. 13/03/2015 ) Rv. 262700 – 01.)
f Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese de procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2025.