Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6075 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 6075 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CASTROLIBERO il 25/01/1977
avverso l’ordinanza del 19/09/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di CATANZARO;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG, NOME COGNOME che si riporta alla requisitoria già depositata e notificata alle parti, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. uditi i difensori, avv. COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME‘ che insistono per l’accoglimento dei motivi di ricorso ai quali si riportano.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 19 settembre 2024 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha rigettato l’appello presentato, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., da NOME COGNOME avverso il provvedimento con cui il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della stessa città ha respinto l’istanza di revoca della misura cautelare della custodia in carcere applicata a suo carico per il delitto di associazione mafiosa.
Il Collegio calabrese, nel condividere le valutazioni espresse dal giudice procedente e ritenere, per contro, l’infondatezza delle obiezioni svolte dall’imputato, ha osservato, tra l’altro, che, una volta formatosi il giudicat cautelare sull’ordinanza applicativa della misura coercitiva, la sua revoca o sostituzione presuppongono la sopravvenienza di nuovi elementi tali da giustificare la rivalutazione di quelli già apprezzati, ed aggiunto che, nel caso di specie, le circostanze segnalate da Superbo – il quale ha lamentato la violazione del ne bis in idem, essendo circoscritta la contestazione ad un’epoca, non oltrepassante il marzo del 2013, per la quale egli è già stato giudicato – non incidono sulle conclusioni già raggiunte in punto di gravità indiziaria né dimostrano che i fatti di oggetto di addebito coincidano con quelli già accertati nell’ambito di precedente, autonomo procedimento (c.d. «Vulpes»), conclusosi con sentenza irrevocabile.
Al riguardo, ha sottolineato, tra l’altro, che all’atto dell’emissione del tito custodiale, risalente al 27 settembre 2022, il giudizio di gravità indiziaria è stat fondato sulle dichiarazioni rese, a carico di COGNOME, da alcuni collaboratori di giustizia, oltre che sugli esiti delle eseguite intercettazioni, enucleando comportamenti illeciti, concretatisi nella militanza associativa, che oltrepassano ampiamente il periodo cui si riferisce il precedente accertamento giurisdizionale.
Il Tribunale del riesame ha, in particolare, segnalato che nella conversazione registrata il 25 febbraio 2017, i fratelli COGNOME indicano COGNOME, menzionato come «NOME di Cosenza», quale soggetto inserito nella cosca COGNOME che, in ragione della contingente detenzione dei sodali sovraordinati, fungeva, al tempo, da reggente della compagine, per poi aggiungere che anche il collaboratore COGNOME lo ha indicato quale esponente di spicco della consorteria, coinvolto, in epoca successiva rispetto a quella coperta dal giudicato, nelle attività estorsive e di narcotraffico, oltre che nei riti di affiliazione, e che medesimi termini si pongono le dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME concernenti, pure, condotte associative cronologicamente collocate oltre il 2013.
I giudici calabresi hanno, infine, stimato l’inidoneità dell’apporto di NOME COGNOME a smentire le conclusioni raggiunte in merito alla sussistenza, a carico di COGNOME, di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato associativo, così come enunciato nell’imputazione.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza degli avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale del riesame disatteso l’appello ex art. 310 cod. proc. pen. senza tenere debitamente conto delle censure rivolte alla decisione del Giudice dell’udienza preliminare ed invece valorizzando, al fine di attestare la protrazione della condotta associativa in tempo successivo a quello coperto del precedente giudicato, la conversazione tra i fratelli COGNOME priva di contenuto indiziante nei suoi confronti – nonché pretermettendo l’apporto di NOME COGNOME che ha rivelato come il collaboratore di giustizia COGNOME ha avuto modo di incontrare a più riprese altri dichiaranti, ciò che avrebbe dovuto indurre a dubitare della sua affidabilità.
Evidenzia, ulteriormente, che il Tribunale del riesame è pervenuto, giudicando in sede di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione, ad opposta soluzione con riferimento alla posizione del coimputato NOME COGNOME applicando un principio di diritto che, rettamente inteso, si pone in contrasto con l’ordinanza qui impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate o non consentite.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che, in sede di appello avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca o sostituzione di misura cautelare personale, il Tribunale, in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della natura autonoma della decisione appellata, non è tenuto a rivalutare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine agli allegati fatti nuovi, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro indiziario o stricto sensu cautelare (Sez. 2, n. 18130 del 13/04/2016, Antignano, Rv. 266676; Sez. 3, n. 43112 del 07/04/2015, C., Rv. 265569).
L’effetto devolutivo segna quindi i confini del sindacato del Tribunale adito ex art. 310 cod. proc. pen., e, correlativamente, quelli del giudice di legittimità chiamato a controllare il provvedimento emesso in sede di appello.
Nel caso in esame, il tema controverso attiene all’idoneità degli elementi di novità sopravvenuti alla formazione del giudicato ad incidere sulla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, avuto riguardo specificamente alla protrazione, da parte di NOME COGNOME, della condotta associativa in epoca successiva al marzo del 2013, ovvero in tempo non coperto dal precedente giudicato di condanna.
In proposito, il Tribunale del riesame ha offerto congrua spiegazione dell’assenza di qualsivoglia elemento di novità rilevante, svolgendo un ragionamento lineare e coerente, perché imperniato, a dispetto di quanto obiettato dal ricorrente, sulla ponderata, complessiva considerazione di tutte le evidenze disponibili.
Superbo, per contro, ponendosi in una prospettiva di mera confutazione, si è limitato a contestare la valenza indiziaria di un singolo elemento – la conversazione tra i germani Presta evocativa della caratura mafiosa di «Alberto di Cosenza» – che, va qui opportunamente replicato, deve essere apprezzata alla luce del complessivo compendio istruttorio e, quindi, delle univoche dichiarazioni di COGNOME, COGNOME, COGNOME.
Di tangibile ed insuperabile – genericità si rivelano, poi, le obiezioni legate all’apporto di COGNOME – le cui dichiarazioni non sono state, peraltro, allegate né integralmente trascritte, sicché il motivo appare, per questa parte, carente di autosufficienza – ed ai provvedimenti giurisdizionali emessi in relazione ad altro imputato e conseguenti alla delibazione di un compendio indiziario non coincidente con quello afferente alla posizione dell’odierno ricorrente.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione GLYPH della GLYPH causa GLYPH di GLYPH inammissibilità», GLYPH alla GLYPH declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 12/12/2024.