Revoca Misura Alternativa: Cosa Succede se il Tribunale Decide in Ritardo?
La gestione delle misure alternative alla detenzione è un aspetto cruciale del diritto penitenziario, bilanciando le esigenze di risocializzazione del condannato con quelle di sicurezza della collettività. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale riguardo la revoca misura alternativa e i termini procedurali. L’ordinanza chiarisce le conseguenze del mancato rispetto del termine di trenta giorni previsto per la decisione del Tribunale di Sorveglianza, un tema di grande rilevanza pratica.
I Fatti del Caso
Un individuo, ammesso a una misura alternativa alla detenzione, si è visto revocare tale beneficio da un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Napoli. Contro questa decisione, ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su un unico argomento: il Tribunale di Sorveglianza avrebbe emesso il provvedimento di revoca oltre il termine di trenta giorni stabilito dalla legge. Secondo il ricorrente, tale ritardo avrebbe dovuto invalidare la decisione stessa.
La Questione Giuridica sulla Revoca Misura Alternativa
Il nucleo della controversia legale verteva sull’interpretazione degli effetti derivanti dalla violazione del termine procedurale di trenta giorni. La domanda era: la mancata osservanza di questo termine da parte del Tribunale di Sorveglianza comporta l’illegittimità e quindi la nullità del provvedimento di revoca misura alternativa?
Questa questione non è nuova e ha importanti implicazioni sulla stabilità dei provvedimenti giudiziari e sulla certezza del diritto nell’esecuzione penale.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo l’argomento del ricorrente ‘manifestamente infondato’. Gli Ermellini hanno chiarito, richiamando una giurisprudenza consolidata e pacifica, che la scadenza del termine di trenta giorni non ha alcun impatto sulla validità del provvedimento di revoca.
La Corte ha spiegato che l’unica conseguenza del ritardo è la ‘perdita di efficacia del provvedimento di sospensione della misura’. In pratica, quando il magistrato di sorveglianza sospende provvisoriamente la misura alternativa in attesa della decisione collegiale del Tribunale, questa sospensione ha una durata limitata. Se il Tribunale non decide entro trenta giorni, la sospensione cessa, ma ciò non impedisce al Tribunale stesso di procedere validamente, anche se in ritardo, con la valutazione nel merito e con l’eventuale provvedimento di revoca definitivo. La validità della revoca, quindi, non è collegata al rispetto di quel termine procedurale, che ha una funzione diversa.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La decisione della Cassazione rafforza un principio di stabilità giuridica: i vizi procedurali meramente ‘ordinatorii’ (che cioè non incidono sul diritto di difesa o sul contraddittorio) non possono travolgere la sostanza di una decisione. In questo caso, la valutazione sulla violazione delle prescrizioni da parte del condannato, che ha portato alla revoca, resta valida e fondata.
Di conseguenza, il ricorso è stato respinto e il ricorrente è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione tipica per i ricorsi ritenuti inammissibili e temerari. Questa ordinanza serve come un chiaro monito: i termini procedurali hanno una loro funzione specifica e la loro violazione non sempre produce l’effetto invalidante sperato dalla parte che la eccepisce.
Il mancato rispetto del termine di 30 giorni per la decisione del Tribunale di Sorveglianza rende nulla la revoca della misura alternativa?
No, la Cassazione ha chiarito che il superamento di questo termine comporta solo la perdita di efficacia del precedente provvedimento di sospensione provvisoria della misura, ma non invalida la decisione finale di revoca.
Qual è la conseguenza per chi presenta un ricorso ritenuto manifestamente infondato?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende.
Su quale base la Corte di Cassazione ha preso questa decisione?
La Corte ha basato la sua decisione su una consolidata giurisprudenza, ovvero su precedenti sentenze della stessa Corte che hanno già affrontato e risolto la medesima questione, garantendo così coerenza e certezza nell’applicazione del diritto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4118 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4118 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/07/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione;
Ritenuto che l’unico argomento dedotto nel ricorso è manifestamente infondato, in quanto in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità sulla circostanza che la mancata osservanza del termine di trenta giorni previsto per l’adozione della decisione del Tribunale di sorveglianza in ordine alla revoca della misura alternativa comporta unicamente la perdita di efficacia del provvedimento di sospensione della misura stessa precedentemente adottato dal magistrato di sorveglianza, mentre non ha alcun rilievo in relazione al provvedimento di revoca (Sez. 7, Ordinanza n. 16600 del 12/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281309; Sez. 1, Sentenza n. 44556 del 18/11/2010, COGNOME, Rv. 248986);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 11 gennaio 2024.