Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 38564 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 38564 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/11/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a Roma il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 28/03/2025 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto la declaratoria di inamnnissibilità il ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28/03/2025 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Velletri in data 26/03/2024, che aveva condannato NOME per il reato di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada alla pena di mesi sei di arresto con i doppi benefici.
L’imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico /articolato motivo.
2.1. Sotto un primo profilo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 178, comma 1, lett. a) e 179 cod. proc. pen. Osserva che il decreto penale di condanna emesso nei confronti dell’odierno ricorrente non è stato notificato né al condannato, né al difensore di fiducia già
nominato; che, invero, con riferimento alla notifica al COGNOME, l’ufficiale postale ne ha dichiarato l’irreperibilità, nonostante il condannato fosse regolarmente residente nel luogo in cui aveva eletto domicilio e il giudice non ha disposto le necessarie ricerche, mentre la notifica al difensore è stata effettuata presso il difensore di ufficio, nonostante fosse già intervenuta nomina fiduciaria; che, dunque, né il condannato, né il difensore hanno potuto valutare se prestare acquiescenza al decreto penale di condanna, godendo in tal modo della riduzione della pena ovvero proporre opposizione, con la possibilità di accedere ai riti alternativi; che, in conclusione, il decreto penale il condanna è stato erroneamente revocato; che la nullità di ordine generale conseguente all’omessa notifica del decreto penale al condannato è stata ritualmente eccepita nel giudizio di primo grado che è seguito; che, nel caso di specie, si è verificato un abuso di diritto, essendo stato negato al condannato di poter aderire al decreto penale di condanna ed essendo impedito al difensore di poter eccepire nei termini una nullità di ordine generale; che, anzi, si tratta di nullità assoluta ed insanabile del decreto, che comporta la restituzione in termini; che, in ogni caso, nelle more del giudizio di appello il reato si è prescritto.
2.2. Sotto un diverso profilo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Evidenzia che il percorso argomentativo della Corte territoriale contiene errori logici evidenti, atteso che ha omesso di valutare che il decreto penale di condanna non è stato notificato né al difensore di fiducia, né al condannato, per una presunta irreperibilità, certificata dall’ufficiale postale, che avrebbe dovuto obbligare il giudice a disporre le necessarie ricerche; che in entrambe le sentenze di merito non è stato correttamente ricostruito il fatto e che non è stata presa in esame l’alternativa di dover esaminare l’eccepita nullità di ordine generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, in quanto è manifestamente infondato l’unico motivo cui è affidato.
Invero, in tema di revoca del decreto penale di condanna, anche di recente, questa Corte di legittimità ha avuto cura di affermare che nel giudizio incardinato a seguito di revoca del decreto penale di condanna, ai sensi dell’art. 460, comma 4, cod. proc. pen., non è possibile far valere vizi afferenti a tale provvedimento, essendo esso inoppugnabile (Sez. 4, n. 3011 del 19/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287503 – 01; Sez. 4, n. 12350 del 14/01/2020, COGNOME, Rv. 278916 – 02). È stato, in proposito, precisato che «l’art. 460, comma 4, cod. proc. pen.
prevede che il decreto penale debba essere revocato quando non sia stato possibile eseguire la notificazione per irreperibilità dell’imputato, ma non prevede espressamente che la nullità della notifica determini la nullità della revoca. Tale nullità dovrebbe pertanto essere desunta dall’art. 178 cod. proc. pen.: si dovrebbe ritenere che la revoca di un decreto penale di condanna, se disposta a causa della nullità della citazione di quel decreto, comporti l’inosservanza di disposizioni concernenti “l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale” (art. 178 lett. b), oppure di disposizioni concernenti “l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato” (art. 178 lett. c)» (Sez. 4, n. 3011/2024, cit.); che nessuna delle due possibili opzioni ha fondamento: i) la prima perché, a seguito della revoca del decreto penale, gli atti sono restituiti al pubblico ministero, che resta libero di esercitare l’azione penale in forme diverse rispetto a quella che aveva prescelto, li) la seconda perché l’art. 111 Cost. scolpisce il diritto dell’imputato al rito ordinario, non ai meno garantiti riti alternativi. Del resto, è del tutto evidente che mai il diritto di difesa potrebb essere pregiudicato da un rito alternativo che, rispetto a quello ordinario, appresta minori garanzie, in assenza del contraddittorio.
D’altra parte, deve rilevarsi che è vero che il procedimento per decreto può arrecare vantaggi all’imputato, sia in relazione al trattamento sanzionatorio, sia perché non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, né l’applicazione di pene accessorie, ma è altrettanto vero che il vigente sistema processuale non riconosce tutela alla mera aspettativa di poter fruire di questi vantaggi e, dunque, non consente di riconoscere all’imputato il diritto a veder definito il procedimento con decreto penale di condanna, piuttosto che con giudizio ordinario. Invero, a fronte della scelta del pubblico ministero di esercitare, nei casi previsti dall’art. 459 cod. proc. pen., l’azione penale con richiesta di decreto penale di condanna ovvero con la citazione a giudizio, l’indagato non ha alcun potere di interferire sulla scelta, né è prevista una interlocuzione preventiva con la parte pubblica sul punto.
Dunque, è incompatibile con la vigente normativa la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo la quale, quando viene emesso un decreto penale di condanna, il condannato ha diritto alla notifica dell’atto e, quindi, può poi far valere in giudizio la nullità della notifica e quella derivata del provvedimento di revoca del decreto penale. Del resto, è stato condivisibilmente affermato che «la regolarità della notifica del decreto penale di condanna è funzionale a garantire all’imputato la possibilità di proporre opposizione e ad evitare che un decreto possa diventare esecutivo ancorché l’imputato non ne sia stato informato: se la notifica del decreto penale di condanna è nulla, l’imputato ha diritto a far valere questa nullità per proporre opposizione e ottenere che, nel giudizio conseguente,
il decreto penale di condanna sia revocato ex art. 463, comma 3, cod. proc. pen. Il sistema delineato dal legislatore, però, non contiene alcuna disposizione dalla quale sia possibile desumere che l’imputato ha diritto ad ottenere la nuova emissione di un decreto penale erroneamente revocato, per di più mantenendo la possibilità di scegliere se opporlo o rinunciare a farlo» (Sez. 4, n. 3011/2025, cit.). In altri termini, non è possibile affermare che, quando un decreto penale è stato emesso, l’imputato ha diritto alla notifica di quel decreto, sicché la revoca è affetta da nullità se la notifica, possibile, non è avvenuta.
Tale arresto si pone nel solco della consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il principio di tassatività delle impugnazioni comporta l’inoppugnabilità del provvedimento che dispone la revoca del decreto penale di condanna ai sensi dell’art. 460 cod. proc. pen., tranne che nei casi di abnormità, per i quali è prevista la ricorribilità in sede di legittimità (Sez. 4, n. 12350/2020 cit.; Sez. 3, n. 16786 del 28/02/2013, Berenbruch, Rv. 255093 – 01). Così, si è escluso che possa essere ritenuto abnorme un provvedimento di revoca adottato sull’erroneo presupposto dell’irreperibilità dell’imputato (Sez. 4, n. 47373 del 25/09/2008, COGNOME, Rv. 242764 – 01; Sez. 4, n. 12350 del 14/01/2020, COGNOME, Rv. 278916 – 01), affermandosi che la revoca non può essere considerata abnorme «allorquando l’impossibilità di notificazione sia frutto di un’errata considerazione dei presupposti di fatto della stessa» perché, in questi casi, il provvedimento è fondato «sia pure erroneamente, su una irreperibilità del destinatario nel senso generale predetto» (Sez. 3, n. 16786/2013, cit.).
In conclusione, quando la revoca è fondata sulla constatazione che l’atto non ha potuto essere notificato, anche se questa mancata notifica è frutto di un errore, il provvedimento non può ritenersi abnorme, atteso che, nell’emetterlo, il giudice ha valutato le modalità della notificazione e, anche se questa valutazione è frutto di una errata percezione dell’esistenza delle situazioni di fatto che giustificano la revoca, non si può sostenere che il giudice abbia esercitato un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale.
Comunque, impregiudicata la non impugnabilità della revoca del decreto penale di condanna, se pure si volesse ritenere che il provvedimento di revoca sia impugnabile, ai sensi dell’art. 586 cod. proc. pen., unitamente alla sentenza emessa all’esito del dibattimento, osserva il Collegio che nel caso di specie il ricorrente non ha allegato nemmeno quale sia stato il pregiudizio ricevuto dal provvedimento impugnato, per cui il ricorso sarebbe comunque inammissibile per essere del tutto generica la doglianza.
2. All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché –
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 5 novembre 2025.