Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17699 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17699 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata in Moldavia il 05/02/1965
avverso la ordinanza del 25/02/2025 della Corte di appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la revoca (rectíus, rigetto) del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Bologna rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di NOME COGNOME volta alla revoca del consenso espresso dalla predetta al fine della sua estradizione alla Moldavia.
La Corte di appello dava atto che l’estradanda, che in sede di convalida dell’arresto aveva dichiarato di parlare e comprendere la lingua italiana, aveva espresso per due volte e alla presenza del difensore il consenso all’estradizione: la prima volta all’udienza del 6 gennaio 2025 di convalida dell’arresto e la seconda volta all’udienza del 14 gennaio 2025, questa volta anche alla presenza di u
interprete richiesto dalla estradanda per meglio esporre il suo pensiero; che in entrambe le udienze la predetta era stata posta al corrente delle accuse a lei mosse, tanto da dichiarare di voler tornare in Moldavia per chiarire le questioni e ottenere giustizia e di essere stata già al corrente dell’esistenza del processo in Moldavia, avendo anche incaricato in primo momento un avvocato per tutelarla e di non conoscerne l’attuale stato.
Ciò premesso, secondo la Corte territoriale, la circostanza che nel decreto di estradizione fosse fatto riferimento a diversi fatti di frode e di traffico di influen non veniva a mutare la sostanza storica e fattuale dei fatti sui quali aveva espresso il consenso.
In ogni caso, l’intervenuto decreto ministeriale di consegna rendeva irrilevante la revoca del consenso, avendo la interessata come unico rimedio quello del ricorso davanti al giudice amministrativo.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’interessata, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 205 disp. att. cod. proc. pen., 703 e 717 cod. proc. pen., 2 Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione.
L’ordinanza impugnata ha violato l’art. 205 cit. in quanto tale norma dà rilievo ai fini della revoca del consenso all’estradizione alla ignoranza di circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione assunta e alla successiva modifica di tali circostanze.
Il consenso espresso all’udienza del 6 gennaio 2025 scontava la conoscenza di scarse informazioni fornite alla ricorrente (l’esistenza di un mandato di arresto per una condanna a 21 anni di reclusione per fatti di frode commessi nel periodo 2004-2013, e la assenza di un interprete; le stesse informazioni erano fornite anche alla successiva udienza e non risulta dal verbale che sia stata informata dei motivi della domanda di estradizione).
In ogni caso, la Corte di appello non può aver comunicato alla ricorrente nulla in più di quello che emergeva dalla nota del Ministero dell’Interno del 5 gennaio 2025, contenente una breve esposizione dei fatti, che in ogni caso non rispettava l’art. 2 del terzo Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione per la prestazione del consenso.
Risulta così violato anche l’art. 4 del medesimo Protocollo che richiede che la manifestazione del consenso sia volontaria e consapevole.
L’ordinanza impugnata non ha considerato inoltre che all’udienza del 14 gennaio 2025 la ricorrente aveva chiesto di conferire con il figlio per decidere sul da farsi e che tale colloquio era stato autorizzato.
La ricorrente non è stata messo al corrente delle conseguenze giuridiche derivanti dalla manifestazione del consenso.
Dal tenore delle dichiarazioni rese dalla ricorrente all’udienza del 6 gennaio 2025 si evince che la finalità del consenso era quella di difendersi in Moldavia, ritenendo il processo ancora pendente. Inoltre, solo successivamente la ricorrente è venuta a conoscenza della presenza del reato di traffico di influenze, circostanza non rilevabile e non rilevata prima della sua manifestazione del consenso.
Illegittimamente, infine, la Corte di appello ha ritenuto il consenso non più revocabile nella fase successiva all’emissione del decreto di estradizione da parte del ministro. A tal fine si richiama l’art. 4, par. 3 del terzo Protocollo citato, secondo il quale la revoca può intervenire fino alla definitività della decisione della parte richiesta sull’estradizione.
La difesa ha fatto pervenire una memoria di replica con la quale sostiene che la fase giurisdizionale non si è conclusa e non è stato notificato al Ministero il verbale dell’udienza del 14 gennaio 2025, dovendosi ritenere che il consenso prestato anteriormente sia tamquam non esset. Fa presente i limiti derivanti dalla tutela davanti al giudice amministrativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.
La questione che risulta assorbente rispetto alle complessive censure proposte dalla ricorrente è quella di stabilire se sia consentito all’interessato far valere davanti all’autorità giudiziaria ordinaria la revoca del consenso all’estradizione, una volta emesso il decreto ministeriale di estradizione.
Il procedimento per l’estradizione, come stabilisce l’art. 701 cod. proc. pen., non prevede la fase del controllo giurisdizionale sulla domanda estradizionale, una volta che sia acquisito il consenso dell’estradando. In tal caso, in esito al consenso, si instaura soltanto la fase cosiddetta ministeriale della decisione affidata al Ministro della Giustizia di cui all’art. 708 cod. proc. pen.
Emesso il decreto ministeriale di estradizione segue la fase esecutiva per la consegna della persona ricercata.
In questa fase all’autorità giudiziaria ordinaria compete soltanto il sindacato giurisdizionale GLYPH sull’ingiustificato GLYPH perdurare GLYPH della GLYPH restrizione GLYPH in GLYPH vinculis
dell’estradando in attesa della consegna (Sez. U, n. 26156 del 28/05/2003, Di
NOME, Rv. 224613), mentre alla stessa non è consentito incidere sulla decisione già assunta dal Ministro.
A tal fine l’interessato potrà adire il giudice amministrativo, essendo oramai pacifico che il decreto
de quo – del quale è evidente il collegamento attuativo con
la sfera dell’indirizzo politico internazionale dello Stato – è un atto di al amministrazione, pertanto sindacabile da parte del giudice amministrativo (tra
tante, da ultimo, Cons. Stato, n. 3095 del 04/04/2024).
Detto sindacato, mentre non può investire direttamente il merito di una scelta che l’ordinamento configura come latamente discrezionale o tradursi nel riesame
di provvedimenti giurisdizionali adottati dal Giudice penale (allorché questi abbia riscontrato la sussistenza delle condizioni tecnico giuridiche di estradabilità), può
rilevare i vizi di violazione di legge.
In quella sede, pertanto, la ricorrente potrà far valere anche la violazione di norme pattizie, la cui attuazione deve assicurata dallo Stato italiano, inteso nella
sua totalità.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La ricorrente deve, pertanto, essere condannata, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ai pagamento delle spese del procedimento.
Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15/04/2025.