Revoca Affidamento in Prova: La Cassazione Conferma la Decisione del Tribunale
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nell’esecuzione della pena: la revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale. Questa misura, concepita per il reinserimento del condannato, si basa su un patto di fiducia tra lo Stato e l’individuo. La sentenza chiarisce quali comportamenti possono rompere questo patto, giustificando un ritorno al regime detentivo. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.
I Fatti di Causa
Il caso nasce da una decisione del Tribunale di Sorveglianza di Lecce, che aveva revocato la misura dell’affidamento in prova concessa a un individuo. La causa scatenante della revoca è stata la notizia di una querela per truffa a carico del soggetto. Il Tribunale aveva precedentemente rinviato l’udienza per permettere alla difesa di dimostrare l’avvenuta restituzione delle somme oggetto della truffa, come previsto in un accordo transattivo. Tuttavia, nessuna prova in tal senso è stata fornita.
Di conseguenza, il Tribunale ha ritenuto il comportamento del condannato incompatibile con la prosecuzione della misura alternativa, revocandola e dichiarando la pena espiata fino a una data specifica (10/10/2023).
Il Ricorso in Cassazione: le ragioni della difesa
Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due vizi:
1. Carenza e illogicità della motivazione: La difesa sosteneva che il Tribunale non avesse adeguatamente spiegato perché il comportamento tenuto fosse incompatibile con il percorso di reinserimento.
2. Errata motivazione sulla revoca ex tunc: Venivano contestate anche le ragioni che hanno portato alla revoca con effetto retroattivo.
In sostanza, il ricorrente chiedeva alla Corte Suprema di riesaminare la valutazione del Tribunale di Sorveglianza, ritenendola ingiusta e immotivata.
La Revoca dell’Affidamento in Prova e le Motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni della difesa. La motivazione della Suprema Corte si basa su principi fondamentali del processo penale.
Innanzitutto, la Corte ha ribadito che il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. I ricorsi che si limitano a criticare la valutazione dei fatti operata dal giudice precedente, proponendone una diversa lettura, sono definiti “mere doglianze in fatto” e, come tali, inammissibili. Il compito della Cassazione non è rivalutare le prove, ma verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione sia logica e non contraddittoria.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il Tribunale di Sorveglianza avesse operato in modo giuridicamente ineccepibile. La querela per truffa non è stata vista come un evento isolato, ma come un chiaro indicatore della “mancata comprensione, da parte del condannato, della finalità eminentemente rieducativa” della misura. L’affidamento in prova si fonda sulla fiducia che il soggetto rispetti le regole e si impegni in un percorso di cambiamento. Commettere un nuovo reato, specialmente uno come la truffa che si basa sull’inganno, è un segnale forte che questa fiducia è stata tradita.
Inoltre, la Cassazione ha sottolineato l’atteggiamento del condannato durante il procedimento di sorveglianza: pur avendo avuto la possibilità di difendersi e di dimostrare la sua buona fede (ad esempio, provando la restituzione del denaro), ha mostrato “indifferenza sul punto specifico”. Questo comportamento ha rafforzato la prognosi di inaffidabilità già formulata dal Tribunale, rendendo la revoca una conseguenza logica e motivata.
Conclusioni
La decisione della Corte di Cassazione riafferma un principio chiave: l’affidamento in prova non è un diritto acquisito, ma una possibilità condizionata a un comportamento coerente con il percorso di reinserimento sociale. La commissione di nuovi reati durante questo periodo, soprattutto se indicativa di una persistente inclinazione a delinquere, costituisce una violazione del patto fiduciario e giustifica pienamente la revoca della misura. La valutazione di tale incompatibilità spetta al Tribunale di Sorveglianza, e la sua decisione, se logicamente motivata e priva di vizi di legge, non può essere messa in discussione in sede di legittimità attraverso una semplice rilettura dei fatti.
Quando può essere revocato l’affidamento in prova al servizio sociale?
L’affidamento in prova può essere revocato quando il comportamento del soggetto risulta incompatibile con la prosecuzione della misura, ad esempio a causa della commissione di un nuovo reato che dimostra la mancata adesione al percorso rieducativo.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione dei fatti compiuta dal Tribunale di Sorveglianza?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Pertanto, non può rivalutare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della decisione impugnata. Le critiche sulla valutazione dei fatti sono considerate ‘mere doglianze’ e rendono il ricorso inammissibile.
Quale valore ha la commissione di un nuovo reato durante l’affidamento in prova?
Ha un valore molto significativo. Secondo la Corte, la commissione di un nuovo reato è un forte indicatore della mancata comprensione della finalità rieducativa della misura alternativa. Dimostra un’inaffidabilità del soggetto che giustifica la revoca del beneficio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33892 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33892 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a FRANCAVILLA FONTANA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/03/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Lecce ha revocato la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, in vigore nei confronti di NOME COGNOME, come da ordinanza del medesimo Tribunale di sorveglianza del 08/11/2022, per essersi acquisita notizia di una querela per truffa a carico dello stesso (nel provvedimento si rappresenta come l’udienza precedente rispetto a quella conclusiva sia stata rinviata, per consentire alla difesa di fornir la prova della avvenuta restituzione della somma indicata nell’accordo transattivo depositato; all’udienza conclusiva, secondo il Tribunale di sorveglianza, non è stata però fornita alcuna prova in tal senso); Il Tribunale di sorveglianza, nel revocare l’affidamento, ha dichiarato espiata la pena fino al 10/10/2023.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, per il tramite del difensore AVV_NOTAIO, deducendo carenza e illogicità della motivazione, laddove si afferma l’incompatibilità del comportamento tenuto dal ricorrente, con la prosecuzione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, nonché carenza e illogicità della decisione, con riferimento alle ragioni poste a fondamento della revoca ex tunc della misura alternativa.
Il ricorso è inammissibile. Le censure sussunte nell’atto di impugnazione, infatti, non sono consentite in sede di legittimità, in quanto costituite da mere doglianze versate in fatto, volte direttamente a sollecitare una rivalutazione degli elementi di valutazione e conoscenza posti a fondamento della decisione impugnata, oltre che ad esaltare dedotti spunti di contraddittorietà, che risultano – al contrario – del tutto assenti nel testo dell’avversato provvedimento.
Dette doglianze sono, altresì, riproduttive di argomentazioni già adeguatamente vagliate e disattese – in base a un ineccepibile argomentare giuridico – dal Tribunale di sorveglianza di Lecce. Invero, detto Tribunale ha preso in considerazione la univoca significazione della querela presentata nei confronti del ricorrente, considerandola evocativa della mancata comprensione – da parte dello stesso – della finalità eminentemente rieducativa, intimamente connessa alla misura alternativa concessagli. Pur avendo avuto la possibilità di addurre elementi a propria discolpa, il condannato ha poi dimostrato indifferenza sul punto specifico, così validando la prognosi di inaffidabilità formulata.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ravvisandosi ipotesi di
I
esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 01 luglio 2024.