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Revoca affidamento in prova: la condotta è decisiva

La Corte di Cassazione ha confermato la revoca dell’affidamento in prova per un soggetto che aveva simulato un rapporto di lavoro dipendente per una società di cui era in realtà titolare effettivo. Tale comportamento, unito alla violazione delle pene accessorie e al disinteresse per gli obblighi riparatori, ha dimostrato una totale assenza di adesione al percorso di risocializzazione, giustificando la revoca affidamento in prova con efficacia retroattiva (ex tunc).

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Revoca Affidamento in Prova: Quando la Condotta Svela l’Inganno

La concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta un’importante opportunità di risocializzazione per il condannato, ma si fonda su un patto di fiducia con lo Stato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza che la sincerità e la coerenza del comportamento sono requisiti imprescindibili per mantenere il beneficio. Il caso in esame dimostra come la revoca affidamento in prova possa essere disposta anche in assenza di nuovi reati, qualora la condotta complessiva del soggetto riveli una mancata adesione al programma rieducativo sin dall’inizio.

I Fatti di Causa

Al ricorrente era stata concessa la misura alternativa dell’affidamento in prova nel febbraio 2023. Successivamente, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna revocava tale misura con efficacia retroattiva (ex tunc). La decisione si basava su una serie di elementi emersi a carico del soggetto, tra cui nuove accuse penali e, soprattutto, una circostanza cruciale: per tutto il periodo, l’uomo aveva dichiarato di essere un lavoratore dipendente presso una società, mentre in realtà ne era il titolare effettivo. Questa intestazione fittizia gli permetteva non solo di continuare a operare nello stesso ambito di ‘criminalità economica’ per cui era stato condannato (bancarotta fraudolenta), ma anche di violare palesemente le pene accessorie che gli erano state inflitte, come il divieto di gestire imprese.

Il Ricorso in Cassazione e la Revoca Affidamento in Prova

L’interessato presentava ricorso per cassazione, sostenendo che la revoca fosse illegittima. La sua difesa argomentava che i fatti contestati erano datati e legati a un’ordinanza di custodia cautelare poi revocata. Sosteneva, inoltre, che non erano emersi nuovi reati durante l’affidamento e che la sola violazione delle pene accessorie non potesse giustificare una misura così drastica, a fronte di relazioni positive dei servizi sociali (UEPE). Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato completamente questa linea difensiva, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha chiarito che il punto centrale non era la fondatezza delle nuove accuse, ma la condotta complessiva del condannato. Le motivazioni della decisione si fondano su tre pilastri:

1. La Condotta Ingannevole: La circostanza più grave, secondo i giudici, è stata l’aver simulato una posizione lavorativa subordinata. Questo comportamento non è stato un semplice errore, ma una scelta deliberata per aggirare i divieti imposti dalla condanna e per presentare una situazione personale non veritiera al fine di ottenere e mantenere la misura alternativa. Tale simulazione ha dimostrato un’assoluta mancanza di lealtà verso il percorso rieducativo.

2. La Violazione delle Pene Accessorie: La fittizia intestazione della società era funzionale a violare le pene accessorie, che sono parte integrante della sanzione penale. Ignorare tali divieti è un segnale inequivocabile di non aver compreso il disvalore delle proprie azioni passate e di non voler recidere i legami con il contesto criminale di provenienza.

3. Il Disinteresse per gli Obblighi Riparatori: Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, le relazioni dell’UEPE non erano del tutto positive. Anzi, evidenziavano un ‘costante e totale disinteresse’ del soggetto verso l’adempimento degli obblighi riparatori, nonostante le ripetute sollecitazioni. Questo elemento ha ulteriormente rafforzato la convinzione dei giudici circa la sua mancata adesione al programma.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio fondamentale: per la revoca affidamento in prova, non è sempre necessaria la commissione di un nuovo reato. Comportamenti che, nel loro complesso, dimostrano una radicale e originaria incompatibilità con il percorso di risocializzazione sono sufficienti a giustificare la revoca, anche con effetto ex tunc. La lealtà, la trasparenza e l’effettiva volontà di cambiare sono condizioni essenziali e non negoziabili per poter beneficiare di misure alternative alla detenzione. Fingere di aderire a un programma, mentre si continuano a violare le regole, equivale a non averlo mai iniziato.

Per quale motivo principale è stato revocato l’affidamento in prova?
La revoca è stata disposta perché il condannato ha simulato un rapporto di lavoro dipendente per una società di cui era in realtà il titolare effettivo. Questo comportamento ingannevole ha dimostrato la sua mancata adesione al percorso di risocializzazione e gli ha permesso di violare le pene accessorie della sua condanna.

È necessario commettere un nuovo reato per vedersi revocare l’affidamento in prova?
No. La sentenza chiarisce che la revoca può essere giustificata anche da comportamenti che, pur non costituendo un nuovo reato, rivelano una totale assenza di volontà di partecipare al programma rieducativo, come la violazione sistematica delle prescrizioni e una condotta simulatoria.

Cosa significa che la revoca ha avuto effetto ‘ex tunc’?
Significa che la revoca ha efficacia retroattiva. Il periodo trascorso in affidamento in prova non viene considerato come pena scontata, come se la misura non fosse mai stata concessa. Ciò avviene quando si ritiene che il soggetto non abbia mai aderito sinceramente al programma sin dal suo inizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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