Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8631 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8631 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Scilla (RC) il 29/01/1972
avverso la sentenza del 04/06/2024 della Corte di appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro, decidendo a sèguito di annullamento con rinvio di precedente sua ordinanza emessa a norma dell’art. 634, cod. proc. pen., ha rigettato la richiesta di revisione avanzata da NOME COGNOME e riguardante la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 29 luglio 2015, divenuta irrevocabile il 16 febbraio 2017, che lo aveva dichiarato colpevole e condannato per il delitto di estorsione pluriaggravata, commesso, in concorso con NOME COGNOME, ai danni dell’imprenditore NOME COGNOME.
1.1. Le prove nuove, poste a fondamento della richiesta, consistevano: a) nella consulenza tecnica di parte mediante la quale si era proceduto al riascolto ed alla trascrizione di un colloquio intercettato in carcere tra il predetto NOME ed i suoi familiari, i cui contenuti sarebbero sensibilmente divergenti da quelli risultanti dall’analoga attività compiuta dagli investigatori nel corso delle indagini e posti a base della sentenza di condanna; b) nelle dichiarazioni dell’allora compagna di COGNOME, che ha riferito di aver intrattenuto, all’epoca dei fatti, una relazione sentimentale clandestina con NOME, la quale spiegherebbe la ragione dei brevi e frequenti contatti telefonici tra l’utenza a lei intestata e quella in uso a costui, invece attribuiti in sentenza a Nasone e ricollegati all’attività estorsiva in atto.
1.2. La sentenza impugnata ha ritenuto non conferenti tali dati istruttori, rilevando: a) che la consulenza di parte non può considerarsi prova nuova, poiché non si fonda su una tecnica innovativa od una diversa metodica scientifica precedentemente non disponibile, essendo consistita semplicemente nel riascolto della conversazione con una versione aggiornata del medesimo software utilizzato dagli investigatori; b) che l’elaborato tecnico della difesa, rispetto alla trascrizione operata dagli inquirenti, presenta plurime lacune e significative divergenze giust’appunto nella parti valorizzate ai fini dell’affermazione di colpevolezza, senza che tuttavia venga offerta una spiegazione tecnica di tali divergenze; c) che la Corte d’appello, in camera di consiglio, ha proceduto all’ascolto diretto della conversazione intercettata ed al confronto con le trascrizioni operate dalle parti, potendone apprezzare la «piena corrispondenza» a quella effettuata dagli inquirenti; d) che già la Corte di cassazione, nella sentenza che aveva rigettato il ricorso avverso la decisione d’appello che aveva confermato la condanna, aveva stigmatizzato la genericità delle censure difensive sui risultati delle intercettazioni, poiché trascuravano le ulteriori risultanze probatorie valorizzate dai giudici di merito; e) che le dichiarazioni della compagna del COGNOME presentano scarsa affidabilità e nessuna valenza dimostrativa, poiché svalutate dalla concomitanza dei contatti telefonici con gli accessi di NOME al cantiere delle vittime dell’estorsione, e perché, comunque, relative ad un dato probatorio, quale quello dei contatti telefonici tra i correi, ritenuto semplicemente secondario e di supporto ai fini della condanna. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso tale decisione ricorre per Cassazione il condannato, con atto del proprio difensore, sulla base di tre motivi:
violazione di legge processuale e vizi di motivazione, nella parte in cui la sentenza, senza indicare sulla base di quali criteri sia giunta alla relativa conclusione, ha escluso che il software utilizzato dal consulente tecnico della
difesa, non esistente all’epoca delle indagini, costituisca una tecnica diversa ed innovativa, e quindi una “prova nuova”;
II) violazione di legge processuale e vizi di motivazione, per essere la sentenza prevenuta all’anzidetta determinazione senza procedere ad una perizia, ritenendo quest’ultima superflua e respingendo, perciò, la relativa richiesta difensiva; l’omessa trascrizione di alcuni passaggi della conversazione intercettata, infatti, censurata in sentenza come una lacuna dell’elaborato tecnico del consulente della difesa, non sarebbe il prodotto di un esame superficiale o trascurato, bensì troverebbe giustificazione nella non sufficiente chiarezza degli stessi, in ragione della scarsa qualità del dato sonoro;
III) violazione di legge processuale e vizi di motivazione, in punto di valutazione delle dichiarazioni della compagna del COGNOME: in proposito, la brevità dei contatti telefonici tra la sua utenza e quella di NOME sarebbe stata giustificata dalla natura clandestina del loro rapporto.
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. Esso risulta proposto da difensore non munito di procura speciale, non rivenendosi quest’ultima nel fascicolo trasmesso dal giudice di merito, né peraltro facendovi riferimento, anche soltanto indiretto od incidentale, lo stesso difensore in alcuno suo scritto versato in atti.
Va, dunque, ribadito il principio che, ai fini della proposizione del ricorso per cassazione avverso il provvedimento che ha deciso sull’istanza di revisione di un precedente giudicato, è condizione di legittimazione che il difensore sia munito di procura speciale. In forza dell’art. 571, comma 3, cod. proc. pen., infatti, la legittimazione ad impugnare i provvedimenti giurisdizionali compete al difensore dell’imputato e non anche, come nel caso della revisione, al difensore di colui che è già stato condannato (così, tra altre, Sez. 3, n. 18016 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 276080; Sez. 5, n. 32814 del 11/07/2006, COGNOME, Rv. 235197).
3.2. In ogni caso, si tratta d’impugnazione totalmente versata in fatto, a fronte di una motivazione immune da vizi logici, nella quale si dà atto, da un canto, dell’avvenuto ascolto diretto, da parte della Corte d’appello, della conversazione oggetto di ricorso e della conformità ad essa della relativa trascrizione valorizzata dai giudici della cognizione; e, dall’altro, si esclude motivatamente l’attendibilità delle dichiarazioni rese successivamente alla sentenza dalla compagna del COGNOME, poiché interessate e non sorrette da alcun elemento obiettivo di conferma. Osservazioni, queste, alla prima delle quali il ricorso non muove alcuna obiezione, laddove, alla seconda, oppone semplicemente una valutazione alternativa puramente ipotetica.
All’inammissibilità del ricorso consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2025.