Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 45853 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 45853 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nato in Marocco il 6/6/1993
avverso l’ordinanza del 14/6/2024 della Corte di appello di Brescia
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 14 giugno 2024 la Corte di appello di Brescia ha dichiarato l’inammissibilità della richiesta di revisione proposta da NOME COGNOME avverso la pronuncia di condanna emessa il 20 luglio 2018 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, confermata dalla Corte di appello della stessa città e divenuta irrevocabile il 25 ottobre 2019.
Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME che ha dedotto l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 630, lett. c), cod. proc. pen. e vizi della motivazione, per essere stato ritenuto che la richiesta di revisione non indicasse alcuna prova nuova. Il ricorrente ha precisato che il Giudice non aveva valutato la trascrizione di due telefonate, effettuata nell’elaborato del consulente di parte, da cui emergerebbero differenze rispetto ai contenuti dei brogliacci acquisiti in sede di giudizio abbreviato; inoltre, la prova nuova sarebbe decisiva in quanto le due telefonate sono state poste a fondamento della ritenuta partecipazione associativa del condannato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, essendo manifestamente infondato il motivo dedotto.
La Corte di appello di Brescia ha affermato che il ricorrente non aveva indicato alcuna prova nuova suscettibile di portare all’assoluzione del condannato, ma si era limitato a proporre una interpretazione del tenore delle conversazioni, peraltro svolte interamente in lingua araba e con impiego di linguaggio criptico, cifrato o quantomeno allusivo da parte dei soggetti intercettati, diversa rispetto al senso attribuito ai colloqui captati dai Giudici del merito. La Corte territoriale ha precisato che la prova è costituita dalle bobine e il giudice può utilizzare il contenuto delle intercettazioni procedendo direttamente al loro ascolto, indipendentemente dalla trascrizione, che costituisce la mera trasposizione grafica del loro contenuto, sicché, nel caso in esame, nessuna prova nuova risultava acquisita o proposta dal ricorrente a sostegno della richiesta di revisione.
La motivazione del provvedimento impugnato è immune da vizi.
Per costante giurisprudenza di legittimità, infatti, nella nozione di prove nuove, rilevanti a norma dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., non rientrano quelle esplicitamente valutate dal giudice di merito, anche se erroneamente, potendo in tal caso essere proposti gli ordinari mezzi di impugnazione (Sez. 3, n. 23967 del 23/03/2023, P., Rv. 284688 – 01; Sez. 3, n. 34970 del 3/11/2020, COGNOME, Rv. 280046 – 01).
Nel caso in esame, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, il ricorrente non ha posto a base della domanda di revisione una prova nuova.
Giova ricordare al riguardo che la Corte costituzionale, in tema di intercettazioni telefoniche, ha evidenziato che «la trascrizione non costituisce la prova diretta di una conversazione, ma va considerata solo come un’operazione rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove acquisite mediante la registrazione fonica» (sentenze n. 336 del 2008 e n. 204 del 2012).
L’assunto del Giudice delle leggi si pone in sintonia con gli arresti della giurisprudenza di legittimità, che ha ripetutamente affermato che la prova delle conversazioni intercettate è costituita dai nastri e dalle bobine, mentre la trascrizione delle stesse, anche quella effettuata nelle forme della perizia, non costituisce prova diretta di una conversazione, ma deve essere considerata solo come un’operazione rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove acquisite mediante la registrazione fonica (Sez. 5, n. 12737 del 17/02/2020, COGNOME, Rv. 278863 – 01; Sez. 6, n. 46007 del 6/07/2018, COGNOME, Rv. 274280 – 01; Sez. 6, n. 13213 del 15/03/2016, COGNOME, Rv. 266775 – 01).
Si è precisato, inoltre, che il contenuto delle conversazioni intercettate può essere provato anche mediante deposizione testimoniale, non essendo necessaria la trascrizione delle registrazioni nelle forme della perizia. Ciò proprio perché la prova è costituita dalla bobina o dalla cassetta; l’art. 271, comma 1, cod. proc. pen. non richiama la previsione dell’art. 268, comma 7, cod. proc. pen. tra le disposizioni la cui inosservanza determina l’inutilizzabilità e la mancata trascrizione non è espressamente prevista né come causa di nullità, né è riconducibile alle ipotesi di nullità di ordine generale, tipizzate dall’art. 178 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 2507 del 28/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282696 01).
Occorre solo precisare che in passato si parlava di “bobine e nastri” mentre ora il sistema di registrazione e i supporti sono rispondenti alla tecnologia più avanzata ma i principi sono i medesimi.
Alla luce di quanto precede deve allora osservarsi che, nel caso in disamina, come rimarcato nel provvedimento impugnato, le bobine delle intercettazioni erano già state acquisite agli atti e il ricorrente, con il richiamo all’elaborato del consulente di parte, che aveva attribuito una diversa interpretazione alle conversazioni telefoniche, si era limitato a sollecitare in sede di revisione una nuova interpretazione di prove preesistenti.
Per di più, avendo optato per il giudizio abbreviato, il ricorrente aveva accettato di essere giudicato sulla base della trascrizione delle telefonate agli atti.
È evidente, pertanto, che correttamente la domanda di revisione è stata dichiarata inammissibile.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero – della sanzione pecuniaria di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 novembre 2024.