Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10003 Anno 2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10003 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nata a VENEZIA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 20/03/2024 della Corte d’appello di Trento visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il
rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in preambolo, la Corte di appello di Trento ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione, formulata ai sensi dell’art. 630 cod. proc. pen., della sentenza della Corte di assise di appello di Venezia, in data 17 ottobre 2028, irrevocabile l’8 gennaio 2020, che giudicando in sede di rinvio su annullamento di questa Corte in data 26 aprile 2018 – aveva condannato NOME COGNOME alla pena di venticinque anni di reclusione per i reati di omicidio di NOME COGNOME e di furto in abitazione di una collanina in oro appartenente alla defunta.
1.2. Con l’istanza di revisione, la condannata – dopo avere ricostruito le alterne vicende della propria posizione processuale e quella di NOME COGNOME, separatamente giudicata con il rito abbreviato e ritenuta responsabile, con sentenza della Corte di assise di appello di Venezia in data 28 novembre 2019, irrevocabile il 26 maggio 2020, dello stesso omicidio – ha rilevato il contrasto tra i giudicati, chiedendo alla Corte di appello di Trento la revoca della sentenza della Corte di assise di appello di Venezia, in data 17 ottobre 2028, irrevocabile l’8 gennaio 2020.
Secondo la prospettazione difensiva, l’inconciliabilità tra i giudicati consisteva nell’essere COGNOME, con la sentenza irrevocabile nei suoi riguardi, stata ritenuta l’unica responsabile del cennato omicidio, laddove invece COGNOME era stata ritenuta responsabile del medesimo fatto, ma in concorso con COGNOME. Il fatto storico “nuovo” e inconciliabile sarebbe costituito dalle dichiarazioni rese da COGNOME che aveva completamente scagionato COGNOME, dichiarandosi unica esecutrice del grave fatto di sangue e dalle valutazioni del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia che, nella sentenza del 5 dicembre 2018 nei riguardi di COGNOME, aveva valutato
inattendibile la chiamata in correità nei confronti di NOME COGNOME.
1.3. A ragione della decisione di rigetto, la Corte di appello ha osservato come la tesi propugnata fosse priva di pregio, poichØ nessuna inconciliabilità era ravvisabile tra le sentenze pronunciate nei riguardi delle due imputate.
Quanto alle dichiarazioni di COGNOME, ha osservato come quest’ultima avesse chiamato in reità COGNOME, salvo a ritrattare tale coinvolgimento, «ma che una ritrattazione maldestra poteva essere utilizzata come conferma dell’attendibilità delle dichiarazioni iniziali».
Ha rilevato che, in ogni caso, già la Corte di assise di appello di Venezia, nella prima sentenza pronunciata nel 2016 nei riguardi di COGNOME, aveva valutato le dichiarazioni di COGNOME e ritenuto che, «alla luce delle specifiche modalità e circostanze dei fatti e dei nuovi elementi probatori raccolti era possibile ritenere che l’imputata avesse agito in concorso con altra o altre persone e che fosse certa la sua colpevolezza avendo ella condiviso e concorso a realizzare il delittuoso progetto»; ha evidenziato come le dichiarazioni di COGNOME non avessero avuto alcuna incidenza sulla decisione finale, divenuta irrevocabile, nei riguardi di COGNOME.
Infine, a conferma dell’assenza di qualsiasi contrasto tra le decisioni, ha richiamato il contenuto della sentenza della Corte di assise di appello di Venezia in data 28 novembre 2019, irrevocabile il 26 maggio 2020, nella quale COGNOME non Ł stata ritenuta estranea al reato e, anzi, si Ł proceduto a uniformare le decisioni in punto di esclusione dell’aggravante dei futili motivi.
Avverso detta sentenza ricorre, con unico atto, NOME COGNOME, per mezzo dei difensori di fiducia AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, e deduce quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo denuncia vizio di motivazione, anche riguardo all’articolo 192 cod. proc. pen. e lamenta l’illogicità manifesta e la contraddittorietà della motivazione per travisamento del dato probatorio costituito dalle dichiarazioni della persona imputata nel medesimo reato, in procedimento connesso.
La ricorrente rammenta che l’istanza di revisione, proposta per conflitto di giudicati, muoveva dal presupposto che lo stesso delitto, nei suoi elementi essenziali, fosse stato oggetto, nelle diverse sedi processuali, di due ricostruzioni alternative e inconciliabili dei fatti e imputava tale risultato al diverso approccio dei Giudici di merito nei confronti dello stesso compendio probatorio costituito dalle deposizioni di NOME COGNOME, giudicata del medesimo omicidio in un procedimento separato. L’istanza di revisione sottoponeva, infatti, al Giudice della revisione un analitico confronto del contenuto delle versioni che COGNOME aveva reso in ordine all’omicidio di NOME COGNOME, con particolare riguardo alla attendibilità della prima versione (quella in cui la donna si assumeva ogni responsabilità di tale delitto) e alla plateale inverosimiglianza della seconda (avente a oggetto la chiamata in correità NOME COGNOME).
Lamenta la ricorrente che il Giudice della revisione avrebbe motivato travisando tali dichiarazioni, ritenendo erroneamente che la prima versione di COGNOME fosse quella in cui essa svolgeva dichiarazioni etero-accusatorie nei riguardi di COGNOME e la seconda invece fosse, invece, quella auto-accusatoria.
Detto errore avrebbe inevitabilmente travolto inevitabilmente il giudizio sulla ritenuta conciliabilità delle due pronunce.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione nella parte in cui la Corte di appello di Trento nega la diversità nella ricostruzione dei fatti nelle due pronunce.
La lettura dei due provvedimenti renderebbe, invece, evidente la diversità delle due ricostruzioni dei fatti storici, tanto che l’identico delitto Ł attribuito a due persone diverse. Il carattere di novità della sopravvenuta sentenza con cui si ascrive l’azione criminosa in via esclusiva a
COGNOME, avrebbe dovuto imporre alla Corte di appello di Trento di ritenere il compendio probatorio sul quale si Ł basata la condanna nei confronti di COGNOME irrimediabilmente compromesso.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia il vizio di motivazione in punto di ritenuta assenza di prove nuove.
Si censura l’affermazione secondo la quale le dichiarazioni di COGNOME erano già state prese in considerazione dalla Corte di assise di appello nella sentenza del 18 novembre 2016, imputando al Giudice della revisione di avere trascurato che, in seguito, era stata emessa la sentenza di primo grado nei riguardi di COGNOME che aveva dichiarato quest’ultima unica responsabile dell’omicidio.
2.4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia il vizio di motivazione in punto di negata esistenza dell’inconciliabilità tra le sentenze.
Il motivo, riprendendo un tema già affrontato nei precedenti, insiste nel censurare l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata rispetto a quanto allegato con l’istanza di revisione, laddove si evidenziava come COGNOME era stata imputata e condannata nel corso del giudizio di primo grado per aver commesso da sola l’omicidio, mentre COGNOME, imputata del medesimo omicidio in concorso con COGNOME, era stata condannata per avere compiuto l’azione omicidiaria da sola, con una motivazione che escludeva qualsiasi ipotesi di concorso.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, intervenuto con requisitoria scritta depositata in data 8 novembre 2024, ha prospettato il rigetto del ricorso.
In data 19 novembre 2024 la difesa ha depositato memoria con cui ha replicato alle conclusioni del Sostituto Procuratore generale, insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso che ha ripercorso e ulteriormente dettagliato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deduce censure infondate e dev’essere, pertanto, rigettato.
Come si evince chiaramente dalla lettera della legge, la revisione per contrasto di giudicati presuppone che i fatti posti a fondamento della condanna siano inconciliabili con quelli stabiliti in altra sentenza, sia essa di condanna o di assoluzione.
Si Ł chiarito che non Ł rilevante la divergenza di valutazioni, nØ rileva il diverso esito del giudizio, perchØ il contrasto tra decisioni difformi adottate in diversi giudizi a carico di diversi soggetti Ł considerato un evento non avulso dal sistema processuale.
Si tratta evidentemente di un’evenienza che il sistema processuale mira a prevenire, privilegiando la trattazione unitaria dei procedimenti a carico di imputati del medesimo reato o di reati tra loro connessi, al fine di evitare la disparità di giudizio a tutela della coerenza delle decisioni giudiziarie sotto il profilo della loro reciproca compatibilità.
Tuttavia, nel caso in cui la trattazione unitaria non sia stata possibile (ad esempio a causa delle differenti scelte processuali operate dagli imputati chiamati a rispondere per accuse tra esse interdipendenti sia in fatto, sia in diritto, come avviene quando soltanto taluni di essi optino per un rito premiale), il rischio di decisioni contrastanti non Ł rimediabile se non nei limiti previsti dall’istituto della revisione a tutela della coerenza delle decisioni giudiziarie, nel rispetto del valore della intangibilità del giudicato che non può essere sacrificato in modo indiscriminato fino a ricomprendervi ogni situazione di diverso esito dei giudizi emessi in procedimenti diversi nei confronti dei concorrenti nel medesimo reato.
Con riferimento all’ipotesi di revisione per contrasto tra giudicati Ł consolidato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide, secondo cui il ricorso all’istituto della
revisione Ł ammissibile solo ove si intenda emendare un errore sulla ricostruzione del fatto e non sulla valutazione dello stesso, che costituisce l’essenza stessa della giurisdizione.
Per tale indirizzo, la norma dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. non si riferisce ad un’inconciliabilità di natura logica tra due decisioni, bensì all’accertamento dei fatti stabiliti a fondamento della sentenza, che non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra decisione irrevocabile (Sez. 6, n.488 del 15/11/2016, COGNOME Martino, Rv. 269232).
Il principio vale anche nel caso di reati a partecipazione plurisoggettiva necessaria ovvero eventuale con condotte partecipative interdipendenti tra loro, come nel caso che ci occupa. ¨ stato affermato che, per la sussistenza della causa di revisione, laddove si tratti di un medesimo fatto di reato attribuito a piø concorrenti, Ł necessario che la vicenda sia stata ricostruita, nella due pronunce, come verificatasi con modalità del tutto differenti e che il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630, comma primo, lett. a), cod. proc. pen., non deve essere inteso in termini di mero contrasto di principio tra due sentenze, bensì con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui queste ultime si fondano (Sez. 6, n. 20029 del 27/02/2014, COGNOME, Rv. 259449); sicchØ non Ł ammissibile l’istanza di revisione che fa perno sul fatto che lo stesso quadro probatorio sia stato diversamente utilizzato per assolvere un imputato e condannare un concorrente nello stesso reato in due diversi procedimenti (Sez. 4, n. 1515 del 12/05/1999, Fucci D, Rv. 214643; nello stesso senso, Sez. 1, n. 6273 del 03/02/2009, Serio, Rv. 243231 e Sez. 4 n. 46885 del 07/11/2019, Lapadula, Rv. 277902).
L’applicazione dei suindicati principi in diritto al caso che ci occupa conduce, come anticipato, al rigetto del ricorso.
2.1. Quanto al primo motivo, il Collegio condivide con la ricorrente il rilievo sull’obiettiva confusione fatta dal Giudice della revisione tra il contenuto della prima e quello della seconda versione (contenente la chiamata in reità di COGNOME) dei fatti fornita da COGNOME e, tuttavia, osserva come lo stesso non sia suscettibile di avere alcuna incidenza sul nucleo essenziale della motivazione, ossia sull’insussistenza del contrasto che la Corte di appello di Trento ha spiegato con motivazione ineccepibile e che si sottrae a qualsiasi rilievo deducibile nella presente sede.
La Corte territoriale, invero, ha valorizzato la circostanza che la Corte di assise di appello di Venezia, nella prima sentenza pronunciata nel 2016 nei riguardi di COGNOME, aveva già valutato le dichiarazioni di COGNOME e che, ciò nonostante, le stesse non avessero avuto alcuna incidenza sulla decisione finale, divenuta irrevocabile, nei riguardi dell’imputata oggi ricorrente.
2.2. Venendo, dunque, all’esame dei connessi restanti motivi, che possono essere trattati congiuntamente, osserva il Collegio che la responsabilità di COGNOME per l’omicidio Ł stata affermata sulla scorta di un articolato quadro probatorio, costituito: i) dal rinvenimento presso il domicilio dell’imputata, dopo circa un mese dai fatti, di una collana spezzata, sulla quale erano rinvenute tracce del profilo genetico della vittima. Una collana simile a quella rinvenuta nel portagioie di COGNOME, era, di consueto, indossata dalla vittima, che la portava al collo con appesa una medaglietta anche qualche ora prima dell’omicidio, così com’Ł emerso dalla testimonianza della parrucchiera dove la donna si era recata lo stesso pomeriggio del delitto; nessuna collana di tal fatta, invece, era stata rinvenuta nell’abitazione della vittima, ma sotto il corpo privo di vita della donna, era stata trovata proprio la medaglietta che a quella collana era abbinata, a conferma della sua rottura e della sua probabile asportazione da parte dell’autore del brutale omicidio, come peraltro indicato dai graffi rilevati sul collo.; ii) le conversazioni intercettate tra l’imputata e la sorella NOME nella quali aveva fatto riferimento alle «pulizie fatte con un guanto, poi buttato via» e nelle quali manifestava la volontà di volersi sbarazzare della collana, nonchØ le deposizioni testimoniali
secondo le quali COGNOME si era espressa in termini offensivi nei riguardi della vittima e si era rifiutata di fornire il proprio profilo biologico; iii) le dichiarazioni contrastanti rese da COGNOME sull’appartenenza della collana in ordine alla quale , nell’immediatezza del suo rinvenimento, non era stata in grado di fornire spiegazioni, mentre soltanto successivamente, con affermazioni contraddittorie e non pienamente riscontrate dal teste di riferimento, aveva giustificato affermando che si trattava di un regalo di battesimo di sua sorella NOME, iv) la circostanza che l’imputata abitava sullo stesso pianerottolo della vittima, unitamente all’assenza di tracce (non solo dell’imputata, ma anche della vittima), nell’abitazione, circostanze ritenute sintomatiche del fatto che il luogo del delitto era stato accuratamente ripulito; v) le dichiarazioni di NOME COGNOME, sopravvenute al giudizio di primo grado, che i Giudici di merito inserivano nel quadro probatorio ricostruito dal giudice di primo grado, effettuando una valutazione, sia di quelle rese al Pubblico ministero, sia di quelle successivamente rese nel corso del giudizio di appello, a seguito della riapertura dell’istruttoria dibattimentale disposta su istanza delle parti, evidenziandone la sostanziale diversità, in quanto, con le prime, la COGNOME aveva negato ogni responsabilità della COGNOME nel delitto; con le seconde, invece, ne aveva affermato la piena responsabilità in qualità di concorrente.
A tale ultimo proposito, va qui evidenziato che i Giudici di merito nel condannare COGNOME avevano espressamente concluso che la diversità delle due versioni e le incongruenze presenti nella seconda, per incoerenza con gli altri elementi probatori acquisiti, non avevano fornito elementi processualmente utili, sicchØ era stata confermata la solidità del restante quadro probatorio delineato a carico di COGNOME, esprimendosi un giudizio d’irrilevanza sulla circostanza che questa avesse agito da sola o, invece, i concorso con altri.
Tali conclusioni – come chiarito dal Giudice della revisione – non si pongono in contrasto con le sentenze emesse nei riguardi di COGNOME.
E, infatti, nella sentenza di primo grado – diversamente da quanto sostenuto nel ricorso – non si rinviene l’affermazione secondo cui COGNOME aveva certamente agito da sola.
Al contrario: i) si valutano le dichiarazioni con le quali COGNOME chiama in reità COGNOME, che vengono espressamente qualificate quale contributo dichiarativo privo di utilità; ii) si richiama, ai sensi dell’art. 238bis cod. proc. pen., la sentenza di condanna di COGNOME, rimarcandosene la non autosufficienza della stessa, sicchØ l’affermazione di responsabilità di COGNOME non riposa su elementi in alcun modo riconducibili a COGNOME.
A ciò si aggiunga che – come evidenziato nel provvedimento impugnato – la sentenza della Corte di assise di appello di Venezia nei riguardi di COGNOME si esprime ancora piø chiaramente in punto di assenza di contrasto di giudicato, allorquando, preso atto dell’intervenuta pronuncia, con forza di giudicato, nei riguardi di COGNOME che ha escluso l’aggravante dei motivi futili, ne ha adeguato il giudicato anche per COGNOME, al fine di «evitare un’ingiustificata disparità di trattamento, dovendosi giudicare il medesimo fatto storico contestato ad entrambe le imputate» e, osserva il Collegio, ne ha altresì condiviso l’affermazione (espressa a p. 10) che l’idea di sottrarre la collana era insorta in un momento successivo alla volontà omicida, con ripercussioni in tema di aggravante del nesso teleologico e di qualificazione del fatto di cui al capo b) come delitto di furto, in luogo di quello di rapina originariamente contestato.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 26/11/2024
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME