Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15496 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15496 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LOCRI il 16/07/1982
avverso l’ordinanza del 24/10/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, dott. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con istanza del 12/4/2024, COGNOME NOME chiedeva la revisione, ai sensi dell’art. 630 comma 1 lett. a), c) e d) cod. proc. pen., della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria in data 8/6/2020, div. irr. il 23/9/2021, che lo aveva condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73 comma 4 e 80 d.P.R. 309/90. Nell’istanza, la difesa esponeva che:
a) ricorrevano i presupposti di cui all’art. 630 comma 1 lett. a) cod. proc. pen. in quanto:
COGNOME NOME era stata condannato per la detenzione di kg. 5,870 di marijuana rinvenuti e sequestrati, il 31/5/2013, nell’auto condotta da COGNOME NOME, dove, secondo l’ipotesi accusatoria, erano stati collocati da COGNOME NOME, mentre era stato assolto dal segmento della condotta lui contestata nel medesimo capo che lo vedeva vendere unitamente al fratello NOME kg. 10 di marijuana, tramite COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, a ignoti acquirenti che poi, constatata la scarsa qualità della droga, l’avevano restituita ai germani, così determinando l’esigenza del trasporto in Calabria e la consegna a Mazza, individuato quale vettore;
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in ordine ai medesimi fatti per cui COGNOME NOME era stato condannato, con sentenza della Corte d’appello di Roma, divenuta irrevocabile il 9/10/2020, erano stati mandati assolti;
il contrasto fra le due sentenze era evidente avendo ritenuto i giudici romani che COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME non avevano acquistato da COGNOME NOME e COGNOME NOME 10 kg. di marijuana – o comunque concorso nell’operazione- e, di conseguenza, non li avevano potuti restituire -o comunque non si erano adoperati affinché ciò avvenisse-, affidandola a Mazza per il trasporto in Calabria, mentre i giudici calabresi avevano sì escluso che i germani COGNOME avessero ceduto a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME i 10 kg. di marjuana, ma avevano ugualmente condannato COGNOME NOME per la droga sequestrata a Mazza ritenendo che i 5,870 kg. sequestrati fossero stati restituiti dagli acquirenti a causa della scadente qualità;
ricorrevano i presupposti di cui all’art. 630 comma 1 lett. c) in quanto:
la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria, alla pag. 334, nella parte in cui aveva proceduto all’identificazione dell’istante, “è errata, atteso che soggetto che avrebbe posto in essere la condotta delittuosa, per cui è stata emessa sentenza di condanna, è stato identificato dai giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria in COGNOME NOME, nato a Locri il 25/11/1979″;
il quantitativo di marijuana sequestrato a Mazza non corrispondeva a quanto sarebbe stato ceduto agli ignoti acquirenti e da costoro, in seguito, restituito;
ricorrevano i presupposti di cui all’art. 630 comma 1 lett. d) cod. proc. pen. in quanto la condanna era relativa a un fatto diverso da quello oggetto di contestazione, essendo rimasto accertato che la droga sequestrata non poteva costituire parte di quella ceduta agli ignoti acquirenti e da questi ultimi restitu ai germani COGNOME.
Con ordinanza depositata il 24/10/2024, la Corte di appello di Catanzaro, con provvedimento emesso de plano, ai sensi dell’art. 634 cod. proc. pen., ha dichiarato inammissibile l’istanza rilevando:
in relazione al primo profilo, che non sussisteva una oggettiva incompatibilità fra i fatti “come stabiliti a fondamento delle diverse sentenze”, non potendo assumere rilievo la circostanza che lo stesso quadro probatorio, in due diversi procedimenti, fosse stato utilizzato, da un giudice, per assolvere un imputato e, da un altro, per condannare un concorrente nello stesso reato;
in relazione al secondo profilo, che l’istanza era fondata su elementi di prova già ampiamente valutati dalla Corte d’appello di Reggio Calabria;
in relazione al terzo profilo, che la revisione è consentita nell’ipotesi in cui condanna sia stata emessa in conseguenza di falsità in atti o in giudizio ovvero di altro fatto previsto dalla legge come reato, presupposti non ricorrenti nell’ipotesi in valutazione.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione Strangio, a mezzo del difensore, che, con il primo motivo, denuncia la violazione di legge processuale e il deficit di motivazione lamentando che l’ordinanza era stata adottata de plano e non dava contezza delle ragioni fondanti l’inammissibilità. Si lamenta che la Corte distrettuale aveva proceduto a una valutazione nel merito delle due sentenze, tant’è che aveva ritenuto che si fosse in presenza di una diversa valutazione dei medesimi fatti da parte delle due corti d’appello, non consentita con la procedura de plano, in cui il controllo giurisdizionale si esaurisce nella verifica della irrevocabilità della sentenza antagonista e nella pertinenza di tale decisione ai fatti oggetto della sentenza di condanna. Si aggiunge che:
l’ordinanza non teneva conto che nella sentenza della Corte d’appello di Roma la droga sequestrata era riferibile solamente a Mazza mentre in quella della corte calabrese era attribuita anche ai fratelli COGNOME;
” il contrasto di giudicati …è interno alla stessa sentenza” della Corte d’appell di Reggio Calabria, in quanto era stata escluso che COGNOME NOME, in concorso con il fratello NOME, avesse ceduto ad ignoti acquirenti 10 kg. di marijuana poi restituita dai medesimi ai germani.
3.1 Con il secondo motivo, si denuncia la violazione di legge processuale e il deficit di motivazione. Si deduce che la motivazione dell’ordinanza consiste nell’elencazione di una serie di massime di giurisprudenza senza alcun riferimento alla vicenda di Strangio, così che non spiega le ragioni per cui si era ritenuta l’oggettiva compatibilità fra i fatti posti a fondamento delle due sentenze. Si precisa, per la seconda volta, che la sentenza della Corte d’appello di Roma aveva affermato che la droga sequestrata a Mazza non era riconducibile a COGNOME NOME e COGNOME NOME, sottolineando che tale conclusione si traeva dalla stessa sentenza di condanna, avendo i giudici reggini escluso che la droga sequestrata fosse la parte residua di una precedente fornitura effettuata dai germani ad acquirenti rimasti ignoti.
3.2 Con il terzo motivo, si denuncia la violazione di legge processuale e il vizio di motivazione. Si lamenta che anche in relazione al capo della richiesta di revisione avanzata ai sensi dell’art. 630 comma 1 lett. d) cod. proc. pen la risposta della Corte territoriale era apparente, limitandosi l’ordinanza a richiamare una serie di principi giurisprudenziali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
In premessa, va dato atto che in tema di revisione per l’incompatibilità fra giudicati, si registrano due differenti posizioni interpretative.
Un primo approdo ritiene che il controllo giurisdizionale che può condurre alla declaratoria dell’inammissibilità dell’istanza per manifesta infondatezza, ex art. 634 cod. proc. pen., deve avere ad oggetto la verifica dell’irrevocabilità della sentenza che si vuole abbia introdotto il fatto antagonista e la mera pertinenza di tale decisione ai fatti oggetto del giudizio di condanna, non potendo tale controllo estendersi alla “tenuta” della sentenza oggetto della domanda di revisione rispetto ai contenuti della ulteriore pronuncia, che va obbligatoriamente realizzato in contraddittorio (Sez. 1, n. 50460 del 25/05/2017, COGNOME, Rv. 271821 – 01; Sez. 6, n. 18818 del 08/03/2013, COGNOME, Rv. 255477).
Secondo un secondo orientamento, invece, il giudizio sull’ammissibilità o meno della domanda di revoca della sentenza non può prescindere da una pur sommaria valutazione e comparazione tra le due sentenze che si assumono in contrasto, non potendo il giudice limitarsi a verificare esclusivamente l’irrevocabilità dell decisione che avrebbe introdotto il fatto antagonista e la mera pertinenza di tale sentenza ai fatti oggetto del giudizio di condanna (Sez. 2, n. 29373 del 18/09/2020, Nocerino, Rv. 280002 – 01; Sez. 2, n. 3054 del 11/12/2024, V.).
Orbene, nel caso di specie, la valutazione che sorregge la declaratoria di inammissibilità GLYPH impugnata GLYPH travalica GLYPH i GLYPH limiti GLYPH del GLYPH controllo GLYPH preliminare sull’ammissibilità dell’istanza di revisione previsti dall’art. 634 comma 1 cod. proc. pen., qualunque sia l’opzione esegetica privilegiata.
La Corte d’appello di Catanzaro, infatti, non si è limita a verificare se la sentenza di Reggio Calabria, che aveva mandati assolti i fratelli NOME e NOME COGNOME dal segmento dell’imputazione che addebitava loro di aver venduto a ignoti trafficanti, tramite COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, una partita di kg. 10 di marijuana ritenendoli responsabili, in concorso con COGNOME, per la detenzione degli oltre cinque chili di stupefacente sequestrati a San Severino il 31/5/2013, fosse compatibile, in base a una valutazione sommaria delle vicende, con quella adottata dalla Corte d’appello di Roma, che aveva mandati assolti COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME dal concorso nel delitto di
cui all’art. 73 d.PR 309/90 in relazione alla cessione da parte dei fratelli COGNOME di 10 kg. di marijuana a ignoti acquirenti laziali, ma procede a un controllo più
penetrante, coinvolgente il materiale probatorio fondante le due decisioni, per giungere alla conclusione che vi è l’identità del “quadro probatorio” tenuto in
considerazione nei due giudizi ma che tale sovrapponibilità non giustifica la revisione della sentenza di condanna, venendo in rilievo non una inconciliabilità
fra i fatti storici accertati ma una contraddittorietà logica tra le valutazioni espres da due diversi organi giurisdizionali chiamati a giudicare, in differenti processi
soggetti ritenuti responsabili in concorso del medesimo reato.
3. Non si è, quindi, dinanzi a una constatazione di infondatezza del tutto evidente, che non richiede alcun esame in quanto riscontrabile ictu oculi ma di una
valutazione complessa, che investe il merito dell’istanza, che, con l’emissione della declaratoria d’inammissibilità de plano, ha finito per privare la parte richiedente
delle garanzie del contraddittorio, “funzionale alla più ampia prospettazione dialettica delle tesi pose a sostegno della domanda, aspetto che di certo rientra
nella copertura costituzionale del diritto di difesa” (Sez. 1, n. 50460 del 25/5/2017, Sciumé).
Va, pertanto, disposto l’annullamento della decisione impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, ex art. 634 comma 2 cod. proc. pen., che procederà a una nuova valutazione, sulla base dei principi innanzi espressi, dell’ammissibilità della domanda di revisione.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Salerno.
Così deciso il 1/4/2025