Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29647 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29647 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a BERAT( ALBANIA) il 24/09/1975
avverso la sentenza del 12/12/2002 del TRIBUNALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 2 aprile 2025,Ia Corte d’appello di Brescia, a seguito della proposizione da parte della difesa di NOME COGNOME dell’istanza di revisione europea ai sensi degli artt. 629, 630, 632, comma 1, lett. a) e 633, comma 1, cod. proc.pen., come letto alla luce della sentenza della Corte cost. n. 113 del 2011, della sentenza del Tribunale di Milano n. 11385/20021emessa in data 12.12.2002 e divenuta irrevocabile il 29.3.2003, con la quale il NOME é stato dichiarato responsabile del delitto di cui agli artt. 74, commi 1,2,3 e 4 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 (commesso dall’inizio del 1998 all’ottobre del 1999) con condanna alla pena di anni 15 di reclusione, rilevato che l’art. 36 d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 ha introdotto un apposito rimedio per l’esecuzione delle decisioni del giudice europeo codificandolo nell’art.628 bis cod.proc.pen. ed affidandolo alla competenza della Corte di cassazione, ritenendosi incompetente a trattare il procedimento di revisione europea, ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte di Cassazione.
Al fine di meglio inquadrare i fatti oggetto del presente procedimento occorre premettere che :
in data 18 settembre 2000 il GIP di Milano emetteva nei confronti di NOME COGNOME l’ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui all’art. 74 commi 1, 2, 3, 4 d.P.r. 309 del 1990 (capo n. 21 dell’imputazione);
al fine di dare esecuzione all’ordine di carcerazione preventiva gli operanti tentavano di rintracciare il Polovina, ricerche culminate nel verbale di vane ricerche del 20 ottobre 2000;
il Gip del Tribunale di Milano, ritenendo che l’irreperibilità di NOME COGNOME indicasse chiaramente la volontà di sottrarsi alla giustizia, in data 27 ottobre 2000,lo dichiarava latitante ex artt. 295 e 296 cod.proc..pen..provvedendo alla nomina di un difensore di ufficio ex art. 97 comma 4, cod.proc.pen.; il Gup quindi dichiarava NOME COGNOME contumace ed il processo si svolgeva senza la sua partecipazione;
all’esito del dibattimento ) il Tribunale di Milano, con sentenza del 12 dicembre 2002, depositata in data 4 febbraio 2003, riteneva NOME COGNOME responsabile del reato di associazione finalizzata al traffico di droga ex art. 74 commi 1, 2, 3, 4, d.p.r. n. 309 del 1990, assolvendolo, invece, dal reato-fine di cui all’art. 73, comma 1 e 4, d.p.r. n. 309 del 1990, condannandolo alla pena di 15 anni di reclusione;
l’avvocato d’ufficio di NOME COGNOME ritualmente informato del deposito in cancelleria dell’estratto contumaciale della sentenza del Tribunale di Milano ex art. 548 cod.proc.pen.,
non provvedeva a presentare appello e, di conseguenza, la sentenza diventava definitiva in data 29 marzo 2003;
il 21 maggio 2019, NOME COGNOME veniva tratto in arresto dall’Autorità albanese in forza di una domanda di arresto provvisorio ai fini dell’estradizione, formulata dal Ministro della Giustizia italiano, volta a dare esecuzione all’ordine di esecuzione emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano;
-a seguito della richiesta di estradizione datata 2 marzo 2021 il Tribunale distrettuale di Berat ,in data 23 maggio 2019 / dichiarava che non sussistevano le condizioni per il riconoscimento della sentenza del Tribunale di Milano ai sensi dell’art. 10 della Convenzione europea di estradizione (per intervenuta prescrizione della pena); e pur convalidando l’arresto provvisorio, rimetteva in libertà il COGNOME;
il Ministero della Giustizia in data 2 marzo 2021, in virtù della modifica legislativa intervenuta sull’art. 10 della Convenzione, ratificata dall’Italia il agosto 2019/ inoltrava alla Repubblica d’Albania un’ulteriore richiesta di estradizione dei COGNOME, fondata sul medesimo ordine di esecuzione e quindi sulla medesima sentenza, in ordine al cui esito non risultava pervenuta alcuna informazione;
NOME COGNOME contattava per la prima volta un avvocato italiano, il quale, esaminate le carte processuali, presentava alla Corte d’Appello di Milano richiesta di restituzione in termini ex art. 175 cod.proc.pen.. al fine di proporre appello avverso la sentenza di condanna di primo grado;
-la Corte d’appello di Milano rigettava l’istanza, ritenendo che, a seguito dell’arresto provvisorio, il COGNOME avesse avuto effettiva conoscenza del provvedimento emesso nei suoi confronti, vale a dire della sentenza contumaciale emessa dal Tribunale di Milano, sicché é da quel momento che decorreva il termine di trenta giorni previsto dall’art. 175 cod.proc.pen. in quanto il differimento del dies a quo al momento della consegna nella specie non poteva configurarsi, stante la liberazione del COGNOME, e poiché il COGNOME era venuto a conoscenza della sentenza in data 23 maggio 2019 e la richiesta ex art. 175 cod.proc.pen. era stata avanzata in data 6 settembre 2021 la stessa era da considerarsi tardiva;
il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte d’appello veniva dichiarato inammissibile da questa Suprema Corte, Sez. 3, con sentenza n. 4806 del 2025 (in quanto proposto da soggetto non legittimato);
in ultimo il difensore del COGNOME instaurava un incidente di esecuzione presso la Sesta Sezione Penale del Tribunale di Milano, conclusosi con la pronuncia di inammissibilità in quanto volto a “riproporre un rimedio già esperito e
dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello di Milano, con ordinanza successivamente confermata dalla Corte di Cassazione”.
Così ricostruita la vicenda processuale, la domanda da ultimo azionata dalla difesa del COGNOME dinnanzi alla Corte d’appello di Brescia, con istanza in data 25.2.2024, é quella della revisione europea del giudicato di condanna, in attuazione dei principi sanciti dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo in materia di contumacia e segnatamente nel caso di accertata violazione dell’art. 6 CEDU.
Nella stessa si assumeva che, alla luce della ricostruzione della vicenda del Polovina, risulta evidente l’errore su cui si è fondata la dichiarazione di contumacia del medesimo nell’ambito del processo di primo grado e, conseguentemente, l’ingiustizia di una sentenza di condanna pronunciata nella totale impossibilità dell’imputato di contribuire alla corretta ricostruzione de fatti addebitatigli, e il perdurante diniego di giustizia di cui il condannato vittima.
Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per l’annullamento della sentenza del Tribunale di Milano, con rinvio per nuovo esame.
La difesa del condannato ha depositato memoria ex art. 611 cod.proc.pen. in cui, preso atto che la Corte d’appello ha individuato lo strumento idoneo in quello di cui all’art. 628 bis cod.proc.pen. / ha posto in rilievo che il dettato del nuovo art. 628-bis cod.proc.pen. si discosta, quantomeno da un punto di vista letterale, dal dettato giurisprudenziale secondo cui la portata applicativa delle sentenze definitive della Corte EDU si estende ai cd. H fratelli minorr. 1
Dal dato letterale della norma è chiaro che il presupposto per presentare ricorso alla Corte di cassazione è la preventiva presentazione del ricorso alla Corte EDU, volto ad accertare la violazione dei principi sanciti dalla CEDU, nei confronti del medesimo soggetto che ha presentato il ricorso.
Si ritiene, pertanto, che il convincimento della Corte d’Appello di Brescia non può dunque che essere letto in una interpretazione dell’art. 628-bis c.p.p. che tenga conto sia dei principi costituzionali sia dei principi dell’art. 46 CEDU secondo il quale il principio sancito dalla Corte EDU è direttamente applicabile anche ai c.d. fratelli minori, senza deroghe o limitazioni per il solo fatto che non sia intervenuta un’apposita sentenza nel caso in esame.
Laddove invece non si ritenesse di poter procedere ad una lettura costituzionalmente orientata, si porrebbe la necessità di dover investire la Corte Costituzionale affinché dichiari l’illegittimità dell’art. 628-bis cod.proc.pen. nel parte in cui non preveda la possibilità di ricorrere a tale mezzo in assenza di una sentenza di condanna della Corte EDU relativa al soggetto ricorrente che abbia tuttavia subito una violazione identica a quella patita da altri soggetti.
Infine, laddove non si ritenesse di accogliere l’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello bresciana, dovrà propendersi per la coesistenza dell’istituto della revisione europea (utilizzabile da chi non abbia presentato tempestivamente ricorso alla Corte EDU al fine di far accertare l’avvenuta violazione di un proprio diritto) con quello di cui all’art. 628-bis c.p.p. (ricorribile solo da chi a tempestivamente attivato il rimedio europeo) e la conseguente restituzione della presente istanza alla Corte d’Appello di Brescia affinché ne esamini il merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso é inammissibile per le ragioni che di seguito si andranno ad esplicitare.
La richiesta oggi al vaglio di questa Corte attiene ad un’istanza ex art. 628 bis cod.proc.pen., così riqualificata dalla Corte d’appello di Brescia l’istanza di “revisione europea” proposta dalla difesa di NOME COGNOME con conseguente trasmissione degli atti a questa Corte di legittimità.
Giova premettere che l’art. 628 bis cod.proc.pen., inserito dalll’art. 36 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 di attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134, risponde alle sollecitazioni sovranazionali, che esigevano l’introduzione, nel nostro diritto processuale, di meccanismi che dessero esecuzione alle decisioni definitive della Corte EDU, in ossequio al disposto dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione, secondo cui “(I)e Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti”.
In questo contesto assumeva particolare rilievo la Raccomandazione del 19 gennaio 2000 del Comitato dei Ministri, che aveva affermato la necessità che gli Stati soccombenti dinanzi alla Corte di Strasburgo non provvedessero solo a versare somme a titolo di equa soddisfazione ai ricorrenti vittoriosi, ma anche ad adottare ogni misura che, adattandosi alle peculiarità del caso concreto, fosse idonea a porre fine alla violazione constatata.
La disposizione, collocata nel titolo III-bis del libro IX, rubricato «Rimedi pe l’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo» prevede che «Il condannato e la persona sottoposta a misura di sicurezza possono richiedere alla Corte di cassazione di revocare la sentenza penale o il decreto penale di condanna pronunciati nei loro confronti, di disporre la riapertura del procedimento o, comunque, di adottare i provvedimenti necessari per eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, quando hanno proposto ricorso per l’accertamento di una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dai Protocolli addizionali alla
Convenzione e la Corte europea ha accolto il ricorso con decisione definitiva, oppure ha disposto la cancellazione dal ruolo del ricorso ai sensi dell’articolo 37 della Convenzione a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello Stato»
Come meglio viene specificato dal successivo comma 5, «fuori dei casi di inammissibilità, la Corte di cassazione accoglie la richiesta quando la violazione accertata dalla Corte europea, per natura e gravità, ha avuto una incidenza effettiva sulla sentenza o sul decreto penale di condanna pronunciati nei confronti del richiedente. Se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto o comunque risulta superfluo il rinvio, la Corte assume i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra, la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna. Altrimenti trasmette gli atti al giudice dell’esecuzione o dispone la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione e stabilisce se e in quale parte conservano efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi.
La denominazione, la collocazione topografica (la norma è collocata tra le disposizioni in materia di ricorso per cassazione e quelle relative al giudizio di revisione), la circostanza che l’istituto riguardi una sentenza o un decreto penale irrevocabili, cui sia seguito l’accoglimento da parte della Corte europea del relativo ricorso (ovvero la cancellazione dello stesso dal ruolo in ragione del riconoscimento della violazione da parte dello Stato), sono elementi che portano senza dubbio a qualificare il rimedio previsto dall’art. 628-bis cod. proc. pen. quale mezzo di impugnazione straordinario.
Detto istituto é stato introdotto a seguito del susseguirsi di «tentativi ermeneutici di riempimento del vuoto normativo» in cui la Corte di cassazione e la Corte costituzionale k- hanno cercato di individuare tra i principi e le regole presenti dell’ordinamento vigente, strumenti capaci di assicurare la realizzazione dei precetti sovranazionali.
La situazione di incertezza non era cambiata neppure dopo l’introduzione nel nostro ordinamento, per effetto della sentenza costituzionale n. 113 del 2011, della c.d. revisione europea, ovvero l’adattamento del mezzo di impugnazione straordinario disciplinato dagli artt. 630 ss. cod.proc.pen. alla riapertura de processo per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte di Strasburgo ai sensi dell’art. 46, par. 1, Cedu.
Tale pronuncia ha certo compiuto un passo importante verso la risoluzione del problema, senza tuttavia giungere a un traguardo convincente e quindi decisivo. In conseguenza della sentenza additiva non si è generata, infatti, una
disposizione in perfetta armonia con l’istituto della revisione, il cui schema è legato ad un errore di fatto, che presuppone un nuovo giudizio di merito, e che è per giunta attivabile solo quando sia pronosticabile la modifica della condanna in proscioglimento: tutte condizioni mai richieste nella prospettiva della restitutio i integrum delineata dalla giurisprudenza europea.
Con riguardo all’art. 630 cod.proc.pen. va rilevato che la sentenza della Corte cost. n. 113 del 2011, dichiarando la parziale illegittimità costituzionale dell’ar 630 cod. proc. pen., ha finito per introdurre un aggiuntivo caso di revisione «quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo». Nella delineata prospettiva, si è posto il problema di definire gli esatti confini d siffatto obbligo di conformazione e l’estensibilità del medesimo ai casi, analoghi, sebbene non sottoposti alla Corte di Strasburgo, ovvero ai c.d. “fratelli minori” del ricorrente vittorioso a Strasburgo. Con tale espressione, ormai ampiamente nota al linguaggio giuridico, si fa riferimento a coloro che, pur non avendo mai personalmente adito la Corte europea dei diritti dell’uomo, si trovano nell’identica posizione sostanziale rìspetto alla quale i giudici europei abbiano riscontrato una violazione della Cedu, in un procedimento riguardante un soggetto diverso.
2.1. Con il nuovo istituto si è rimessa quindi alla Corte di cassazione la possibilità di verificare non solo l’ammissibilità della richiesta ma anche il tenore del pregiudizio patito in concreto dal ricorrente, opzione in linea con le soluzioni individuate nella maggior parte degli altri Stati europei, ove si è ritenuto necessario affidare al giudice di legittimità il compito di garantire l’uniformi delle decisioni e la tenuta dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento sovranazionale, a garanzia dell’equilibrio di un sistema di tutela multilivello.
2.2. Con la norma de qua, il legislatore ha preso posizione anche sulle vicende dei c.d. “fratelli minori”, esplicitando che il nuovo mezzo d’impugnazione sarà proponibile soltanto dal soggetto che ha presentato il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Oltre al chiaro dettato normativo, sul punto assume una posizione netta la Relazione Illustrativa al decreto legislativo, per cui «soggetti legittimati individuati esclusivamente nel ricorrente in sede europea, con conseguente esclusione dei terzi non impugnanti che avrebbero potuto vantare la medesima violazione».
Si tratta di una scelta di natura politica del legislatore, la quale si ba principalmente sul fatto che la Corte EDU è prima di tutto un giudice del caso concreto, le cui valutazioni non possono sempre e comunque essere estese alle vicende di altri soggetti.
Quindi per principio consolidato, maturato sotto il vigore dell’istituto della c. revisione europea, introdotto con sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 2011 (con cui il rimedio di cui all’art. 628 bis cod.proc.pen.si pone nel ricordato rapporto di continuità), la riapertura del processo non è, infatti, consentita i assenza di esito favorevole ottenuto dall’interessato dinanzi alla Corte EDU, da attuare in Italia (Sez. 5, n. 7918 del 13/12/2018, dep. 2019, Di Dato, Rv. 275628-01; Sez. 1, n. 56163 del 23/10/2018, COGNOME, Rv. 274557-01; Sez. 2, n. 40889 del 20/06/2017, COGNOME, Rv. 271198-01; v. anche Sez. U, n. 8544 del 24/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278054-01).
Venendo al caso che ci occupa, ripercorsa la vicenda processuale del Polovina, la domanda azionata non costituisce lo strumento processuale volto ad ottenere la riapertura ab initio del procedimento, essendo prospettabili altre opzioni.
Ed, invero, difetta il presupposto per l’applicazione dell’ art. 628 bi cod.proc.pen., ovvero la preventiva presentazione del ricorso alla Corte EDU, e la successiva pronuncia volta ad accertare la violazione dei principi sanciti dalla CEDU, nei confronti del medesimo soggetto che ha presentato il ricorso.
La legittimazione ad esperire il rimedio introdotto con l’art. 628 bis cod.p.p., è riconosciuta invero al condannato e alla persona sottoposta a misura di sicurezza che abbia impugnato un provvedimento interno di condanna per l’accertamento di una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione. Ottenuta una pronuncia favorevole dalla Corte europea, ovvero la cancellazione dal ruolo, il ricorrente potrà adire la Corte di cassazione affinché attivi il provvedimento più adatto ad eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazion convenzionale.
Nè comunque, per le ragioni già esposte, può avallarsi una interpretazione dell’art. 628-bis c.p.p. secondo cui la norma possa essere direttamente applicabile anche ai c.d. fratelli minori, senza quindi che sia intervenuta un’apposita sentenza nel caso in esame.
Quanto alla richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art 628 bis cod.proc.pen. nella parte in cui non preveda la possibilità di ricorrere a tale mezzo in assenza di una sentenza di condanna della Corte EDU relativa al soggetto ricorrente che abbia tuttavia subito una violazione identica a quella patita da altri soggetti, la questione é manifestamente infondata, tenuto conto della ratio dell’istituto che é quella di dare attuazione alle decisioni della Cor europea dei diritti dell’Uomo.
In conclusione il ricorso é inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
NOME inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di Euro cinquecento in favore della Cassa del
ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 luglio 2025
nsore
II /Presid