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Revisione europea: no senza sentenza CEDU

Un uomo condannato in assenza ha richiesto la revisione europea della sua sentenza, lamentando la violazione del diritto a un equo processo. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che il rimedio previsto dall’art. 628-bis c.p.p. presuppone inderogabilmente una precedente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) favorevole al ricorrente. Il rimedio non è estensibile ai cosiddetti ‘fratelli minori’, ovvero soggetti in situazioni analoghe ma privi di una pronuncia diretta della Corte EDU.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Revisione Europea: La Cassazione chiarisce i presupposti. No al rimedio senza una sentenza CEDU

La revisione europea rappresenta uno strumento fondamentale per garantire l’adeguamento dell’ordinamento italiano alle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Tuttavia, il suo accesso è subordinato a requisiti precisi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cardine: senza una preventiva sentenza della Corte di Strasburgo che accerti una violazione a danno del ricorrente, la via della revisione rimane preclusa. Analizziamo il caso per comprendere la portata di questa decisione.

I Fatti del Caso: Una Condanna in Assenza

La vicenda riguarda un cittadino straniero condannato in via definitiva nel 2003 dal Tribunale di Milano a 15 anni di reclusione per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Il processo si era svolto in sua assenza (all’epoca, in contumacia), poiché l’imputato era stato dichiarato latitante dopo che le ricerche per notificargli l’ordinanza di custodia cautelare avevano dato esito negativo. La difesa era stata assunta da un avvocato d’ufficio.

Il Percorso Giudiziario: Dalla Condanna al Ricorso in Cassazione

Anni dopo, nel 2019, l’uomo veniva arrestato nel suo paese d’origine su richiesta delle autorità italiane. Sebbene un tribunale locale avesse negato l’estradizione, il condannato veniva a conoscenza della sentenza a suo carico. Seguivano vari tentativi di rimettere in discussione quella condanna, tra cui una richiesta di restituzione nel termine per appellare e un incidente di esecuzione, tutti respinti o dichiarati inammissibili.

Infine, la difesa intraprendeva la strada della revisione europea, sostenendo che il processo in contumacia avesse violato l’art. 6 della CEDU (diritto a un equo processo). La Corte d’Appello di Brescia, investita della questione, si dichiarava incompetente, trasmettendo gli atti alla Corte di Cassazione in virtù del nuovo art. 628-bis del codice di procedura penale, introdotto dalla Riforma Cartabia.

La Nuova Disciplina della Revisione Europea

L’art. 628-bis c.p.p. ha codificato un rimedio specifico per dare esecuzione alle sentenze della Corte EDU. Esso consente al condannato, che abbia ottenuto una pronuncia favorevole da Strasburgo, di chiedere alla Corte di Cassazione di revocare la sentenza di condanna o di adottare i provvedimenti necessari per eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione accertata. Questa norma ha lo scopo di adeguare il sistema italiano agli obblighi internazionali derivanti dall’art. 46 della CEDU.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti decisivi sull’ambito di applicazione del nuovo istituto.

Il fulcro della decisione risiede nel presupposto necessario per attivare il rimedio: l’esistenza di una decisione definitiva della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che abbia accolto il ricorso presentato dal condannato, oppure che abbia disposto la cancellazione del ricorso a seguito del riconoscimento della violazione da parte dello Stato.

Nel caso di specie, il ricorrente non aveva mai adito la Corte di Strasburgo. La sua richiesta si basava su un’asserita violazione dei principi della CEDU, ma senza che tale violazione fosse stata formalmente e preventivamente accertata dall’organo competente, ovvero la Corte EDU stessa.

La Cassazione ha inoltre affrontato la questione dei cosiddetti “fratelli minori”. Con questa espressione si fa riferimento a soggetti che, pur trovandosi in una situazione giuridica identica a quella di un altro individuo che ha ottenuto una sentenza favorevole dalla CEDU, non hanno personalmente presentato ricorso. La Corte ha stabilito che la norma, per chiara scelta del legislatore, esclude l’estensione del rimedio a questi soggetti. La Relazione Illustrativa al decreto legislativo è esplicita nel limitare la legittimazione attiva al solo ricorrente in sede europea. Si tratta, secondo la Corte, di una scelta politica non irragionevole, fondata sul fatto che la Corte EDU giudica casi concreti e le sue valutazioni non sono automaticamente estensibili ad altre vicende.

Infine, è stata rigettata la richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale. La limitazione del rimedio non viola la Costituzione, poiché la finalità dell’art. 628-bis c.p.p. è proprio quella di dare attuazione a una specifica decisione della Corte EDU, non di creare un rimedio generale per tutte le presunte violazioni della Convenzione.

Conclusioni: L’Importanza della Sentenza

La sentenza consolida un principio fondamentale: la revisione europea disciplinata dall’art. 628-bis c.p.p. non è un’azione autonoma per far valere una violazione della CEDU davanti al giudice nazionale. È, invece, un rimedio esecutivo che presuppone un titolo, ovvero la sentenza della Corte di Strasburgo. Chi ritiene di aver subito una violazione dei propri diritti convenzionali deve prima percorrere la strada del ricorso alla Corte EDU. Solo in caso di esito favorevole potrà poi attivare il meccanismo interno per rimuovere gli effetti della condanna illegittima. Questa pronuncia chiarisce in modo definitivo i confini e le condizioni di accesso a uno strumento cruciale di dialogo tra ordinamento interno e sistema convenzionale.

È possibile chiedere la revisione europea di una condanna penale senza aver prima ottenuto una sentenza favorevole dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il presupposto indefettibile per presentare il ricorso ai sensi dell’art. 628-bis c.p.p. è l’esistenza di una decisione definitiva della CEDU che abbia accolto il ricorso del condannato o che sia stata cancellata dal ruolo a seguito del riconoscimento della violazione da parte dello Stato.

Il rimedio previsto dall’art. 628-bis c.p.p. si applica anche ai cosiddetti ‘fratelli minori’, cioè a chi si trova in una situazione identica a quella di un ricorrente che ha vinto alla CEDU?
No. La Corte ha chiarito che, per una precisa scelta del legislatore, il rimedio è proponibile soltanto dal soggetto che ha effettivamente presentato il ricorso alla Corte europea. Sono quindi esclusi i terzi che, pur potendo vantare la medesima violazione, non hanno adito la Corte di Strasburgo.

Qual è la finalità principale dell’istituto della revisione europea secondo l’art. 628-bis del codice di procedura penale?
La finalità è quella di dare esecuzione alle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, fornendo uno strumento per eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti da una violazione della Convenzione accertata dalla Corte stessa nei confronti di un preciso ricorrente. Non è un rimedio per far accertare la violazione direttamente dal giudice nazionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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