Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37668 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37668 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME CENTONZE
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nata a Cascina il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza della Corte d’assise di Pisa del 9/4/2025 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 9.4.2025, la Corte d’assise di Pisa ha provveduto, in funzione di giudice dell’esecuzione, su una richiesta di audizione di un testimone nelle forme dell’incidente probatorio, quale prova prodromica ad un eventuale giudizio di revisione della sentenza di condanna pronunciata il 14.1.2008 dalla stessa Corte di assise di Pisa nei confronti di NOME COGNOME per il reato di omicidio in concorso con NOME COGNOME.
L’ordinanza premette che l’istante ha chiesto l’assunzione della testimonianza di NOME COGNOME, all’epoca convivente della RAGIONE_SOCIALE e imputato in procedimento connesso relativo all’occultamento del cadavere della vittima dell’omicidio per la quale la RAGIONE_SOCIALE stessa Ł stata condannata.
La Corte d’assise ha rigettato l’istanza in considerazione del fatto che le dichiarazioni di COGNOME sono state già valutate nella sentenza di condanna, dalla cui motivazione emerge che tale soggetto, citato ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., si avvalse della facoltà di non rispondere e che pertanto furono acquisite le dichiarazioni da lui rese in sede di interrogatorio al pubblico ministero il 24/10/2006, unitamente alle conversazioni tra lui e la COGNOME intercettate nei momenti antecedenti all’interrogatorio.
La sentenza considerò attendibile il colloquio intercettato, in cui COGNOME fece emergere che nulla sapeva su cosa avesse fatto la sua convivente nella notte dell’omicidio e che, dinanzi ai tentativi della donna di convincerlo che entrambi si erano recati per soccorrere la vittima, replicò dicendo che in realtà lui era andato sul posto solo tre giorni dopo per spostare il cadavere, senza fare alcun cenno all’ipotesi che la COGNOME fosse rimasta con lui per tutta la notte. Di converso, i giudici di cognizione reputarono false le dichiarazioni rese da COGNOME al pubblico ministero, nel corso delle quali egli cambiò piø
volte la propria versione, evidentemente suggestionato anche dal precedente colloquio.
La Corte d’assise, pertanto, ha ritenuto che le dichiarazioni di COGNOME costituiscano un elemento già raccolto e valutato dai giudici della condanna, mentre con l’istanza Ł stata proposta in realtà una rivisitazione dei fatti accertati nella sentenza passata in giudicato, in assenza di prove nuove e di elementi decisivi ai fini di un’eventuale proscioglimento della condannata in sede di revisione, laddove invece la colpevolezza della COGNOME Ł stata fondata su molteplici, gravi e univoci elementi indiziari accuratamente vagliati nella sentenza di condanna.
2.Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME, articolando due motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce violazione di legge in relazione agli artt. 391bis , 632, 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Il ricorso sostiene che la Corte di assise di Pisa ha compiuto un’indebita anticipazione della valutazione di merito del contenuto della prova richiesta.
Il diniego dell’assunzione della prova Ł da considerarsi legittimo solo quando l’istanza sia manifestamente infondata e l’atto richiesto non sia astrattamente idoneo ad apportare elementi nuovi e decisivi. Il giudice dell’esecuzione Ł tenuto a una verifica meramente prognostica circa la potenziale rilevanza della prova richiesta e non deve entrare nel merito della sua attendibilità o decisività che Ł riservato alla fase della revisione.
La Corte d’assise ha operato, dunque, una valutazione sostanziale circa l’inutilità della testimonianza di COGNOME, basandosi sugli elementi già disponibili in sentenza e omettendo di considerare che la audizione avrebbe potuto far emergere dichiarazioni diverse alla luce dei numerosi elementi di novità che erano stati rappresentati nell’istanza.
2.2 Con il secondo motivo, deduce il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata.
Il ricorso censura che l’ordinanza Ł affetta da un vizio di motivazione apparente e manifestamente illogica, in quanto la Corte d’assise si Ł limitata a considerare genericamente il fatto che COGNOME aveva già reso dichiarazioni valutate nel giudizio di cognizione, senza tenere conto della nuova prospettazione difensiva che si basava su elementi non esaminati nel processo.
Con requisitoria scritta trasmessa il 14.8.2025, il AVV_NOTAIO Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, osservando, in primo luogo, che il giudice dell’esecuzione si Ł esattamente attenuto ai principi richiamati dal ricorrente per l’acquisizione delle prove al fine di una eventuale istanza di revisione, alla luce dei quali ha puntualmente evidenziato che l’assunzione delle dichiarazioni del coimputato COGNOME NOME non costituisca nØ prova nuova, nØ prova sopravvenuta, nØ prova decisiva, considerato anche che le sue dichiarazioni sono state già valutate in sede di processo di cognizione. Quanto, in secondo luogo, al dedotto vizio di motivazione, il ricorso Ł da considerarsi manifestamente infondato, perchØ il provvedimento impugnato Ł dotato di motivazione compiuta, oltre che coerente e congrua.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł complessivamente infondato per le ragioni di seguito esposte.
La richiesta di incidente probatorio Ł stata formulata dal difensore di NOME COGNOME alla luce del disposto dell’art. 391bis , comma 11, cod. proc. pen., secondo cui quando la persona in grado di riferire circostanze utili – convocata dal difensore medesimo per l’assunzione di informazioni – si sia avvalsa della facoltà di non rispondere prevista dalla lett. d) del precedente comma 3 della medesima disposizione di legge, si può chiedere che
si proceda alla sua audizione con incidente probatorio.
Quando, dopo la irrevocabilità della sentenza di condanna, il difensore del condannato chieda di svolgere indagini difensive previste dall’art. 327bis cod. proc. pen. che siano funzionali all’eventuale richiesta di revisione e che, ai sensi dell’art. 391nonies cod. proc. pen., comportino l’autorizzazione o l’intervento dell’autorità giudiziaria, la competenza a provvedere spetta al giudice dell’esecuzione (Sez. 4, n. 21543 del 21/3/2024, COGNOME, Rv. 286445 – 01; Sez. 1, n. 2603 del 12/1/2021, COGNOME, Rv. 280356 – 01; Sez. 1, n. 1599 del 5/12/2006, dep. 2007, Confl. comp. in proc. Piemonte, Rv. 236236 – 01).
Ciò premesso, si tratta innanzitutto di stabilire quali siano i confini entro i quali possono essere esercitati i poteri del giudice dell’esecuzione che sia richiesto di procedere all’assunzione della prova con incidente probatorio.
In linea con quanto già condivisibilmente affermato da questa Corte sul piø generale tema delle richieste prodromiche alla revisione del processo (Sez. 1, n. 44591 del 3/5/2018, Calia, Rv. 273979 – 01, in motivazione), non si può ritenere che il giudice dell’esecuzione adito sia tenuto ad accogliere la richiesta di incidente probatorio.
La norma di riferimento che regola l’assunzione dei provvedimenti sulla richiesta di incidente probatorio resta l’art. 398 cod. proc. pen., secondo cui ‘il giudice pronuncia ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio’.
Una interpretazione che propugnasse la ineluttabilità dell’accoglimento della richiesta si porrebbe in insanabile contrasto con la lettera della norma del codice di rito da applicare e farebbe inammissibilmente assumere alla decisione del giudice i caratteri dell”atto dovuto’.
Se Ł così, appare convincente la ricostruzione secondo cui la delimitazione dei poteri del giudice dell’esecuzione nella fase intercorrente tra il passaggio in giudicato della condanna e la eventuale richiesta di revisione non può che essere strettamente correlata ai requisiti di cui dev’essere munita l’istanza per poter essere presa in considerazione in senso favorevole(così, ancora, Sez. 1, Calia, già sopra citata).
In particolare, il potere del giudice dell’esecuzione nell’apprezzamento delle istanze del difensore del condannato si ricava dal complesso del sistema processuale, che in ogni fase processuale prevede che il diritto alla prova delle parti processuali (art. 190 cod. proc. pen.) non sia assoluto, ma sottoposto ad un filtro di valutazione del giudice.
In questa prospettiva, deve tenersi conto che nel giudizio di revisione il diritto alla prova può essere esercitato soltanto se le prove nuove sono sopravvenute o scoperte dopo la condanna e se esse da, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto (artt. 630 e 631 cod. proc. pen.).
Sarebbe, pertanto, incoerente con il sistema processuale costruire, nella sola fase che intercorre tra il giudicato di condanna e l’inizio del giudizio di revisione, una sorta di diritto assoluto alla prova del condannato, che impedisca al giudice di filtrare le istanze e che renda la sua decisione vincolata (Sez. 1, n. 22615 del 21/03/2024, C., Rv. 286591 – 01, in motivazione).
Così delineati i limiti dei poteri del giudice dell’esecuzione, deve necessariamente ricordarsi, allora, che l’istituto della revisione non si configura come un’impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo, definitivamente concluso, non Ł stato rilevato o non Ł stato dedotto, bensì costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti della cosa giudicata dando priorità alle esigenze di giustizia sostanziale rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici; di conseguenza, la risoluzione del giudicato non può avere come presupposto una
diversa valutazione del dedotto o un’inedita disamina del deducibile (il giudicato, infatti, copre entrambi), bensì l’emergenza di nuovi elementi estranei e diversi da quelli definiti nel processo (Sez. 2, n. 7111 del 2/12/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212267 – 01; Sez. 6, n. 18338 del 10/3/2003, COGNOME, Rv. 227242 – 01).
L’istituto della revisione, invero, Ł diretto a che al giudicato sia sostituita una nuova, diversa pronuncia, all’esito di un nuovo, diverso, giudizio; ma, perchØ il giudizio sia “nuovo”, esso deve necessariamente fondarsi su elementi di indagine diversi da quelli compresi nel processo conclusosi con il giudizio precedente (Sez. U, n. 6019 dell’11/5/1993, COGNOME e altri, Rv. 193421 – 01).
Per stare a casi analoghi a quello in esame, Ł stato affermato, in particolare, che, allorchØ le nuove prove consistano in dichiarazioni testimoniali, esse debbono avere la forza di ribaltare il costrutto accusatorio, nella comparazione con quelle già raccolte nel giudizio di cognizione (Sez. 2, n. 1562 del 14/2/2019, COGNOME, Rv. 276437 – 01; Sez. 6, n. 32384 del 18/6/2003, COGNOME, Rv. 226291 – 01).
Di tali parametri di giudizio, l’ordinanza impugnata ha fatto adeguata applicazione nella vicenda di specie.
La Corte d’assise ha fondato il rigetto della richiesta sulla circostanza che le dichiarazioni di COGNOME fossero state già acquisite nel processo di cognizione (dopo che si era avvalso della facoltà di non rispondere ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen.), peraltro osservando – rilievo, questo, nient’affatto marginale – che i giudici le valutarono inattendibili alla luce di una sua conversazione con la COGNOME intercettata nel corso delle indagini e ritennero che l’uomo avesse dopo piø volte cambiato versione.
Di conseguenza, la Corte d’assise ha ritenuto che, essendo il contributo dichiarativo di COGNOME un elemento già raccolto e valutato nel giudizio di cognizione, la richiesta di incidente probatorio non riguardasse una prova nuova o sopravvenuta alla condanna e mirasse inammissibilmente ad una rivisitazione critica dei fatti accertati con la sentenza irrevocabile.
Stante la sostanziale sovrapponibilità della prova richiesta con la prova già raccolta, l’ordinanza ha appropriatamente concluso, pertanto, che difettasse il requisito della ‘novità’ della prova, inderogabile parametro di valutazione del diritto alla prova.
Questa conclusione Ł stata supportata anche dalla considerazione che l’istanza difensiva non apportasse, di contro, ‘alcun elemento decisivo ai fini di un eventuale proscioglimento in sede di giudizio di revisione’.
A fronte di tale motivazione, il ricorso muove al provvedimento impugnato non piø che una censura di sconfinamento dal perimetro della valutazione del giudice dell’esecuzione circa la rilevanza della prova richiesta.
Tuttavia, le doglianze rimangono generiche e il ricorrente non le supporta con la precisa prospettazione della decisività della prova stessa ai fini del proscioglimento della COGNOME, sebbene spetti alla parte dedurre la decisività dello specifico atto di indagine difensiva richiesto e l’utilità che si mira a conseguire attraverso l’esercizio del diritto (Sez. 1, n. 44591 del 3/5/2018, Calia, Rv. 273979 – 01; Sez. 1, n. 39754 del 21/7/2017, COGNOME, n.m.).
Ne consegue che rimane infondata anche la censura di manifesta illogicità della motivazione, laddove invece la Corte d’assise ha del tutto ragionevolmente annesso un rilievo sfavorevole alla mancata indicazione, da parte dell’istante, dello specifico e diverso risultato cui l’accertamento richiesto sarebbe approdato, e ciò conformemente ai principi, anche di ordine sistematico, che negano l’ammissibilità di una richiesta istruttoria meramente “esplorativa”.
Del resto, anche le doglianze articolate nel ricorso mancano della allegazione di elementi circostanziali specifici, di cui sia prospettata e dimostrata la idoneità ad orientare diversamente l’accertamento processuale nella direzione di una decisiva modifica del quadro probatorio già cristallizzato nel giudizio di cui si intende chiedere la revisione.
Dee ritenersi, dunque, che la Corte d’assise di Pisa abbia fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di indagini difensive finalizzate alla ricerca e all’individuazione di elementi di prova per l’eventuale promovimento del giudizio di revisione, il giudice dell’esecuzione deve valutare l’ammissibilità e la fondatezza della richiesta del condannato, onde verificare che la stessa abbia ad oggetto una prova nuova, ossia sopravvenuta o scoperta dopo la condanna, e decisiva, ossia in grado di dimostrare che il condannato deve essere prosciolto, e non sia meramente esplorativa, ma indichi il diverso specifico risultato al quale si intende pervenire grazie al chiesto accertamento (così le già citate sentenze Sez. 1, n. 22615 del 21/03/2024, C., Rv. 286591 – 01 e Sez. 1, n. 44591 del 3/5/2018, Calia, Rv. 273979 – 01),
Sulla scorta di quanto fin qui osservato, il ricorso Ł da considerarsi compressivamente infondato e, pertanto, deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 02/10/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME