Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17812 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17812 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato a CATANIA il 17/10/1977
avverso l’ordinanza del 07/11/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Corte di Cassazione – copia non ufficiale letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni scritte presentate dall’avv. NOME COGNOME il quale, nell’interesse di NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza della Corte di assise di appello di Catania NOME COGNOME fu condannato alla pena di 28 anni e 6 mesi di reclusione in quanto riconosciuto colpevole, in concorso con NOME COGNOME (giudicato separatamente con rito abbreviato), dei delitti di omicidio in danno di NOME COGNOME e di tentato omicidio in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché dei connessi reati di minaccia aggravata, porto abusivo di coltello e di pistola. Secondo quanto accertato in sede di merito, gli imputati avevano provocato un violento alterco con un gruppo di giovani all’interno di un locale notturno, dal quale erano stati, perciò, allontanati. Indi, poco tempo dopo, essi erano tornati nei pressi della discoteca, a bordo di distinte autovetture e a breve distanza l’uno dall’altro. COGNOME, armato di coltello e indossando guanti di lattice, aveva attirato su di sé gli originari co-rissanti, venendo rincorso ed aggredito da costoro; mentre COGNOME aveva esploso vari colpi di pistola, uccidendo uno dei giovani e ferendone gravemente altri due. Secondo le sentenze di merito, COGNOME aveva fatto da “esca” minacciando gli avversari e facendoli raggruppare in un punto preciso, consentendo così a COGNOME di sparare all’impazzata in loro direzione, colpendo alcuni di essi.
1.1. Avverso la sentenza di condanna la Difesa di Valle propose istanza di revisione, allegando: a) le dichiarazioni rese da un detenuto nello stesso istituto penitenziario in cui Valle era ristretto, tale NOME COGNOME il quale si sarebbe trovato fuori dalla discoteca la notte dell’omicidio e avrebbe visto che a sparare erano stati due catanesi senza l’apporto di COGNOME il quale stava, dunque, scontando la pena da innocente; b) la necessità di riesaminare il fascicolo fotografico in relazione al punto di entrata nell’anta della porta di ingresso del locale, da cui si desumerebbe che lo sparatore si trovava fuori dal mezzo, confutando la ricostruzione secondo cui i colpi sarebbero partiti dall’interno dell’autovettura; c) le intercettazioni riguardanti tale NOME COGNOME che si sarebbe trovato a bordo dell’autovettura di COGNOME e sarebbe stato a conoscenza dell’innocenza di COGNOME; d) il verbale dell’interrogatorio reso da quest’ultimo al Pubblico ministero il 17 aprile 2019, ove l’imputato, poi condannato, avrebbe chiarito le circostanze dell’accaduto e avrebbe affermato la presenza di D’Aquino sul luogo del delitto.
1.2. Con ordinanza n. 19/2024 in data 7 novembre 2024, la Corte di appello di Messina ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione avanzata nell’interesse di Valle, rilevando come le questioni poste dalla Difesa in ordine alla ricostruzione del fatto e ai possibili travisamenti che sarebbero stati compiuti dai primi Giudici fossero state già dedotte nel giudizio di cognizione, allorché era stata sostenuta, in tesi difensiva, l’autonomia dell’azione di COGNOME il quale non avrebbe avuto bisogno del contributo di COGNOME il quale si sarebbe determinato a chiamarlo al
telefono, dopo circa un’ora, soltanto perché aveva assistito al tragico evento di cui era stato inconsapevole determinatore, avendo egli fatto ritorno sul luogo per mera curiosità ed essendo stato aggredito dai rivali; circostanza che avrebbe suscitato, in suo soccorso, l’intervento non concordato da parte di COGNOME. Analogamente, secondo la Corte di appello il tema della presenza di una terza persona era già stato prospettato nel primo giudizio, avendo Valle riferito che COGNOME aveva agito servendosi della collaborazione di un altro soggetto che era in macchina con lui, NOME COGNOME, che aveva sparato il primo colpo verso la porta in modo da “stanare” i rivali. Tuttavia, già la Corte di cassazione aveva ritenuto che la presenza di un altro soggetto a bordo della vettura di COGNOME fosse «un dato irrilevante ai fini della ricostruzione della condotta concorsuale di Valle», di tal che la Corte territoriale ha anch’essa confermato l’irrilevanza della prospettare, in sede di revisione, della presenza di COGNOME al fine di escludere la responsabilità di COGNOME. Del tutto superflua è, poi, stata ritenuta la verifica dell dichiarazioni rese da COGNOME, compagno di detenzione di Valle, non essendovi alcuna certezza di una sua presenza qualificata nell’osservazione dei fatti la notte dell’omicidio. E priva di novità è stata ritenuta sia la richiesta riesame del fascicolo fotografico sul punto di entrata del proiettile sull’anta della porta di ingresso del locale, sia quella intesa a valorizzare il verbale dell’interrogatorio reso, a suo tempo, da COGNOME. Anche a voler ipotizzare una diversa sequenza dei colpi di arma da fuoco, costui era comunque tornato sul posto in azione coordinata con COGNOME e non, come inizialmente da lui dichiarato, al fine di «godersi la serata» ovvero, come sostenuto nella nuova versione dei fatti resa in sede di appello, allo scopo di dissuadere dal vendicarsi COGNOME e COGNOME. Anche la memoria integrativa inviata da COGNOME in data 29 ottobre 2024 è stata ritenuta dalla Corte territoriale non significativa, avendo essa prospettato una ricostruzione parziale e distorta dei fatti, posto che la stessa non si era confrontata con il dato dell’arrivo coordinato delle autovetture di Zuccaro e Valle e del parcheggio della macchina da parte di Valle a una certa distanza dal locale, verso il quale egli si era incamminato a piedi, armato di un coltello e calzando dei guanti in lattice, con evidente preordinazione della successiva azione offensiva. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In definitiva, secondo la Corte territoriale, la richiesta di revisione non aveva dedotto alcun reale fatto nuovo, né alcuna circostanza idonea a intaccare l’assetto probatorio formatosi con il giudicato, sicché dovevano ritenersi insussistenti i presupposti di cui all’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. Infatti, seppure possa considerarsi «nuova» anche la prova, già acquisita, ma non valutata dal giudice della cognizione, è comunque necessario che i «fatti nuovi» siano realmente capaci di alterare l’impianto motivazionale che ha portato alla condanna. Nel caso di specie, tuttavia, tale idoneità è stata però esclusa sul presupposto della manifesta infondatezza della prospettazione difensiva, sicché la
Corte territoriale è giunta, ai sensi dell’art. 634 cod. proc. pen., alla declaratori di inammissibilità a partire da una preliminare delibazione, di natura prognostica, circa l’effettiva idoneità delle «nuove» circostanze dedotte a «sconvolgere le precedenti acquisizioni probatorie» ovvero a «incrinarle fortemente, al punto da portare a conclusioni opposte».
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la declaratoria di inammissibilità per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 630, 631 e 639 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., che il provvedimento impugnato, contravvenendo ai prindpi espressi in materia dalla giurisprudenza di legittimità (a partire dalla decisione a Sezioni Unite, n. 624 del 26 settembre 2001, Pisano), abbia erroneamente interpretato i limiti propri del giudizio di ammissibilità dell’istanza di revision anticipando, nel primo segmento di tale procedimento, temi decisori strutturalmente demandati al momento successivo, ossia alla procedura caratterizzata dal contraddittorio di cui all’art. 636 cod. proc. pen.
Sotto un primo profilo, l’ordinanza riterrebbe non nuova la circostanza che COGNOME fosse presente al momento dei fatti, ma ometterebbe illogicamente di considerare che tale dato andrebbe riletto a partire dal contenuto delle intercettazioni tra lo stesso COGNOME e COGNOME, in cui il primo, inconsapevole di essere intercettato, avrebbe negato la partecipazione di Valle all’omicidio. Una affermazione, questa, potenzialmente idonea a scagionarlo, visto che COGNOME accompagnava il killer (COGNOME) e che, dunque, il suo punto di vista era particolarmente qualificato nell’escludere il ruolo di “esca” attribuito a Valle dalle sentenze di cognizione. Quanto, poi, alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali avrebbero confermato quanto affermato da NOME COGNOME la Corte di appello ne riterrebbe superflua l’escussione a partire da una valutazione delle singole prove che esorbiterebbe dalla mera verifica di ammissibilità dell’istanza di revisione e che sarebbe stata propria della fase rescissoria, la quale richiede il contradditorio. Infatti, la valutazione preliminare circa l’ammissibilità della richiesta avente ad oggetto prove nuove deve essere compiuta verificando l’idoneità in astratto, e non in concreto, delle prove, vecchie e nuove, a ribaltare il giudizio di colpevolezza nei confronti del condannato, dovendo, invece, ritenersi preclusa una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti. Pertanto, l’inammissibilità della richiest
di revisione per manifesta infondatezza, ai sensi dell’art. 634 cod. proc. pen., potrebbe essere pronunciata solo quando le ragioni poste a suo fondamento risultino, all’evidenza, inidonee a consentire una verifica circa l’esito del giudizio, mentre sarebbe del tutto estranea a tale preliminare apprezzamento la valutazione concernente l’effettiva capacità delle allegazioni difensive di travolgere il giudicato, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, posto che, diversamente opinando, ne deriverebbe un’indebita sovrapposizione tra momenti procedimentali che il legislatore avrebbe inteso tenere distinti.
L’istanza di revisione avrebbe messo seriamente in dubbio il ruolo di Valle, attraverso le prove nuove dedotte, costituite da prove tecniche totalmente nuove, ovvero da dichiarazioni di soggetti presenti sui luoghi. Il provvedimento impugnato, invece, avrebbe proceduto alla valutazione delle prove nuove senza arrestarsi al giudizio di astratta idoneità delle stesse nel determinare l’esito assolutorio dell’imputato, diffondendosi nel valutare, nel merito, la loro incidenza, come nel caso delle testimonianze dedotte. E, in tale ambito, avrebbe escluso il carattere della novità per talune delle prove indicate, ritenendo che la presenza sui luoghi di un terzo soggetto e le captazioni acquisite costituiscano una rivisitazione critica di dati già valutati. In realtà, l’individuazione di nu espressioni, in precedenza rimaste ignote, tratte dalle intercettazioni, costituirebbe un elemento di novità che non potrebbe essere riduttivamente catalogato come superfluo ai fini della revisione, posto che COGNOME viaggiava all’interno dell’autovettura di COGNOME al momento dell’omicidio e che, quindi, egli ben poteva riferire sul ruolo di COGNOME Quanto, poi, al fatto che COGNOME fosse tornato sul posto in azione coordinata con COGNOME, la Difesa opina che il provvedimento non darebbe contezza che tra le prove indicate nell’istanza di revisione figuravano le dichiarazioni di tale COGNOME, buttafuori della discoteca “RAGIONE_SOCIALE“, il quale «affermava che tutti gli avventori si trovavano all’interno della discoteca al momento dell’esplosione del primo colpo di arma da fuoco» (v. p. 15 della istanza di revisione), le quali sconfesserebbero la ricostruzione dei fatti che ha considerato Valle come un’esca. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In data 18 marzo 2025 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.
In data 3 aprile 2025 è pervenuta in Cancelleria una memoria a firma dell’avv. COGNOME trasmessa dall’avv. COGNOME a mezzo propria casella PEC. In essa, in replica alle conclusioni del Procuratore generale, la Difesa evidenzia, da un lato, che il provvedimento abbia formulato, nella fase rescindente del giudizio di revisione, un non consentito giudizio sull’attendibilità delle prove raccolte; e,
dall’altro lato, abbia ritenuto che l’istanza fosse volta a una nuova ricostruzione dei fatti e non a un raffronto tra le vecchie prove e le nuove. Dopo avere riassunto l’intera vicenda processuale, la memoria deduce, in particolare, che NOME COGNOME avrebbe ammesso di essere stato presente nel locale “Onda Latina” al momento dei fatti, evidenziando che il primo colpo di pistola verso la discoteca venne sparato da due catanesi che incitavano i rumeni a uscire dalla discoteca; Valle sarebbe intervenuto successivamente, avrebbe allontanato con forza i due catanesi e sarebbe stato inseguito da un marocchino che gli aveva scagliato contro una transenna; quindi lo sparatore (COGNOME) aveva fatto il giro dell’isolato e aveva poi fatto fuoco sul gruppetto degli assalitori di Valle. Benché COGNOME avesse smentito di avere reso tali dichiarazioni, altri detenuti, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avrebbero confermato di avere assistito, all’interno della Casa circondariale di Caltagirone, al colloquio tra COGNOME e COGNOME e di avere appreso da costui che il primo colpo di pistola al portone di ingresso della discoteca era stato esploso da COGNOME, alla presenza di COGNOME; e che la porta della discoteca era chiusa quando COGNOME era ritornato sui luoghi. Ciò che smentirebbe il fatto che COGNOME avesse svolto il ruolo di “esca” per stanare i rivali che si trovavano all’interno del locale “Onda Latina”. Quanto, poi, alle intercettazioni tra COGNOME e COGNOME, disposte in altro procedimento poi archiviato (n. 4389/2019 R.G.n.r. Mod 44 R.G.N.R.), esse non sarebbero mai state versate nel fascicolo del dibattimento relativo al procedimento penale a carico di COGNOME, sicché costituirebbero prove nuove, così come le dichiarazioni collaborative rese da COGNOME al Pubblico ministero nel procedimento separato n. 4839/19 e quelle rese da COGNOME e COGNOME, confermate dal manoscritto proveniente da COGNOME. La rilevanza delle dichiarazioni di COGNOME con riferimento all’effettivo ruolo di “esca” attribuito a COGNOME deriverebbe dal fatto che egli era presente sui luoghi, aveva assistito alle conversazioni tra COGNOME e COGNOME prima e dopo i fatti criminosi, viaggiava nell’auto con COGNOME quando questi aveva sparato ed era con COGNOME dopo il “pestaggio” da questi subito. Pertanto, in presenza di una fonte informativa diretta e qualificata, la nuova prova non potrebbe ritenersi oggettivamente inconferente, tale da determinare la manifesta infondatezza della richiesta ai fini della revisione del giudicato, tanto più in rapporto alle dichiarazioni rese da COGNOME in occasione della conversazione intercettata, mai valutata in sede di cognizione, che dimostrerebbe la sua conoscenza diretta dei fatti antecedenti al delitto, con particolare riferimento all’accordo tra i correi. In merito, infine, all’eventual giudizio di resistenza, non si sarebbe in presenza di un’infondatezza della richiesta e di un quadro probatorio sicuro e che tale giudizio, in assenza di coinvolgimento della difesa in contradditorio, avrebbe dovuto essere particolarmente approfondito e motivato. La Corte territoriale, ove avesse dubitato della veridicità delle nuove prove prospettate dalla difesa avrebbe dovuto valutarle singolarmente e, indi, in Corte di Cassazione – copia non ufficiale
sintesi complessiva. Al contrario essa non avrebbe, invece; offerto sicuri approdi interpretativi in ordine alla valenza delle nuove prove rappresentate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
2. Va premesso che l’art. 634 cod. proc. pen. prevede, al comma 1, una fase preliminare volta a colpire con la sanzione di inammissibilità le richieste formulate in relazione provvedimenti diversi da quelli contemplati dall’art. 629 cod. proc. pen. o da soggetti non legittimati ai sensi dell’art. 632 cod. proc. pen. o senza l’osservanza delle forme prescritte dall’art. 633 cod. proc. pen. ovvero al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 630 cod. proc. pen. o, ancora, quelle che non risultino idonee a realizzare gli effetti previsti dall’art. 631 cod. proc. pen. o che, già respinte, siano state ripresentate in assenza di elementi diversi ai sensi dell’art. 641 cod. proc. pen.; o, infine, tutte le richieste che risultino «manifestamente infondate». In questo modo, la corte di appello, cui è attribuita la competenza in relazione a tale fase preliminare, è chiamata, innanzitutto, a uno scrutinio diretto a verificare l’astratta potenzialità degli elementi dedotti nell’istanza a rovesciare il decisum su cui si è ormai formato il giudicato; e nel caso in cui lo scrutinio preliminare pervenga a un esito favorevole al richiedente, essa è anche investita della successiva cognizione di merito, distinta sul piano logico-funzionale dalla prima delibazione (così Sez. 3, n. 15402 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266810 01), nella quale si osservano le disposizioni di cui agli artt. 465 e ss. cod. proc. pen. in quanto applicabili.
In tale fase preliminare, la valutazione della corte di appello è diretta a verificare se gli elementi giuridico-fattuali posti a fondamento della richiesta siano sussumibili in talune delle ipotesi tassative contemplate dall’art. 630 cod. proc. pen., le quali «rappresentano la tipicizzazione legale di specifiche situazioni alle quali lo stesso ordinamento collega la probabilità di una condanna ingiusta e implicano il perentorio divieto di dissolvere ab intrinseco in mancanza di nuovi elementi. rimasti estranei ai precedenti giudizi – l’efficacia formale e sostanziale del giudicato sulla base di una diversa valutazione delle identiche prove esaminate nella sentenza divenuta irrevocabile». Secondo tale disposizione, invero, l’istanza può essere presentata: a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile; b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall’art. 3 ovvero una delle
questioni previste dall’art. 479 cod. proc. pen.; c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’art. 631; d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato. Una volta verificata la sussistenza di taluna delle ipotesi sopra indicate, la corte di appello deve compiere un ulteriore scrutinio, strettamente collegato, sul piano logicofunzionale, al primo accertamento, ovvero se gli elementi in base ai quali si chiede la revisione siano tali da dimostrare, ove accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 o 531 cod. proc. pen. e, in ogni caso, se la richiesta non risulti, come anticipato, «manifestamente infondata».
2.1. Limitando la rassegna alle questioni di stretto interesse ai fini della presente decisione, due sono gli ambiti problematici che vengono qui in rilievo.
Il primo riguarda la nozione di «prova nuova», richiamata dall’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. e, più specificamente, quella di prova nuova «rilevante» ai fini della revisione in quanto idonea a dissolvere l’efficacia formale e sostanziale del giudicato.
Secondo un orientamento più risalente, la locuzione di «prova nuova» doveva ritenersi riferibile agli elementi diversi da quelli presenti agli atti del process conclusosi con il giudizio precedente ovvero alla prova noviter producta costituita dalla prova sopravvenuta al giudicato o successivamente scoperta, ma anche da quella preesistente ma non acquisita nel precedente giudizio (Sez. U, n. 6019 del 11/05/1993, COGNOME, Rv. 193421 – 01).
Secondo altro più recente indirizzo, invece, nella nozione di «prova nuova» doveva essere ricondotta, accanto a quella noviter producta, anche quella noviter cognita, ovvero la prova acquisita al processo, ma non valutata, neanche implicitamente, purché non si trattasse di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, COGNOME, Rv. 220443 – 01; per questo indirizzo, nella giurisprudenza successiva, v. Sez. 3, n. 20266 del 26/03/2003, COGNOME, Rv. 224439 – 01; Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, Di Piazza, Rv. 259778 – 01; Sez. 4, n. 17170 del 31/01/2017, Rv. 269826 – 01; Sez. 5, n. 12763 del 09/01/2020, Eleuteri, Rv. 279068 – 01; Sez. 5, n. 8997 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282824 – 01).
Tuttavia, come anticipato, la «novità» della prova costituisce un requisito necessario ma non sufficiente ai fini della revisione, essendo anche indispensabile che essa sia idonea a ribaltare il giudizio di colpevolezza dell’imputato (Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, COGNOME, Rv. 273028 – 01). Ne consegue che, a tal fine, il giudice della revisione deve comparare le prove nuove e quelle già acquisite in un giudizio che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova
nuova, i quali, però, devono essere riscontrabili ictu ocu/i (Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, COGNOME, Rv. 273029 – 01; Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 259779 – 01; Sez. 2, n. 49113 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257496 01; Sez. 1, n. 34928 del 27/06/2012, COGNOME, Rv. 253437 – 01; Sez. 1, n. 3647 del 28/05/1996, COGNOME, Rv. 205685 – 01). In altri termini, la necessaria delibazione prognostica circa il grado di affidabilità e di conferenza dei nova non deve tradursi in un’approfondita e indebita anticipazione del giudizio di merito (Sez. 6, n. 2437 del 03/12/2009, dep. 2010, Giunta, Rv. 245770 – 01; Sez. 5, n. 11659 del 22/11/2004, dep. 2005, Dimic, Rv. 231138 – 01; Sez. 1, n. 29660 del 17/06/2003, COGNOME, Rv. 226140 – 01).
2.2. Il secondo ambito problematico concerne, invece, i criteri alla stregua dei quali deve essere formulato lo scrutinio di «manifesta infondatezza» della richiesta di revisione.
In argomento è stato affermato che l’inammissibilità della richiesta di revisione per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 634 cod. proc. pen. sussiste quando le ragioni poste a suo fondamento risultano, all’evidenza, inidonee a consentire una verifica circa l’esito del giudizio. Ne consegue che rimane del tutto estranea a tale preliminare apprezzamento, perché riservata alla fase del merito, la valutazione concernente l’effettiva capacità delle allegazioni difensive di travolgere il giudicato, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio (Sez. 2, n. 19648 del 03/02/2021, COGNOME, Rv. 281422 – 01; Sez. 2, n. 11453 del 10/03/2015, COGNOME, Rv. 263162 – 01; Sez. 6, n. 18818 del 08/03/2013, COGNOME COGNOME COGNOME, Rv. 255477 – 01). E nel caso di allegazione di prove nuove si è ritenuta inammissibile, per manifesta infondatezza, la richiesta di revisione fondata non sull’acquisizione di nuovi elementi di fatto, ma su una diversa valutazione di prove già conosciute ed esaminate nel giudizio, nonché su prove che, sia pur formalmente nuove, sono inidonee ictu ocull a determinare un effetto demolitorio del giudicato (Sez. 5, n. 44925 del 26/06/2017, COGNOME, Rv. 271071 – 01).
3. Tanto premesso in termini generali, deve rilevarsi che NOME COGNOME teste mai sentito in precedenza e detenuto nello stesso istituto penitenziario in cui era ristretto Valle, avrebbe dichiarato di essere stato presente ai fatti e di potere testimoniare che era stato esploso un primo colpo di arma da fuoco quando i rivali di COGNOME si trovavano ancora dentro il locale. Circostanza, questa, che sarebbe stata confermata da quanto emergerebbe dal fascicolo fotografico presente in atti e attestante la presenza di un foro di ingresso nell’anta della porta di accesso al locale, che a sua volta dimostrerebbe che essa era stata attinta da un colpo esploso fuori dall’autovettura e non all’interno di essa, come invece ritenuto nel giudizio di cognizione. Inoltre, è stata indicata come prova nuova l’intercettazione tra COGNOME e la sorella, nella quale il primo avrebbe escluso un
coinvolgimento di COGNOME circostanza che si assume avere una particolare valenza probatoria dal momento che egli si trovava in compagnia di COGNOME al momento della esplosione dei colpi, sicché ben avrebbe potuto essere a conoscenza di informazioni qualificate.
3.1. Osserva, in proposito, il Collegio che non sembra ragionevolmente dubitabile che, come del resto dedotto dalla Difesa, talune delle prove indicate abbiano carattere di novità: ciò è a dirsi per le dichiarazioni rese da NOME COGNOMEnonché per quelle di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che però sono mere dichiarazioni de relato la cui funzione dovrebbe essere quella di provare non i fatti riferiti dal teste, quanto che egli aveva effettivamente reso tali dichiarazioni e che, dunque, era mendace la sua successiva ritrattazione), nonché per la intercettazione telefonica in cui NOME COGNOME escludeva il coinvolgimento di COGNOME nella dinamica dell’omicidio.
3.2. Tuttavia, posto che il dato della novità della prova non è, per le ragioni già chiarite, sufficiente al fine di superare il preliminare scrutinio di ammissibilit della richiesta di revisione, la Corte di appello ha correttamente verificato la astratta idoneità di tali nuove emergenze, ovviamente nel raffronto con il materiale probatorio già raccolto (nel quale rientrano, ovviamente, anche il fascicolo fotografico e le prove di natura dichiarativa a suo tempo raccolte), a condurre a un differente epilogo quanto alla ritenuta responsabilità di NOME COGNOME consentendone l’assoluzione.
In proposito, va osservato che la Corte territoriale ha motivatamente ritenuto che la nuova prova dichiarativa costituita dal racconto di NOME COGNOME COGNOME fosse irrilevante proprio attraverso la sua comparazione con le prove poste, a suo tempo, a fondamento della condanna; comparazione il cui esito è stato nel senso di confermare che le prove preesistenti fossero, comunque, idonee a sorreggere pienamente l’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME Invero, proprio muovendo dal ragionamento probatorio su cui si era fondato l’originario approdo decisorio e, dunque, ribadendo la fortissima valenza indiziante di un accordo criminoso tra COGNOME e COGNOME costituita dalla contestualità del loro arrivo sul luogo della sparatoria e dall’azione dello stesso COGNOME, armato di coltello e provvisto di guanti in lattice, a riprova del carattere non estemporaneo della sua condotta, la Corte territoriale ha concluso, in maniera tutt’altro che arbitraria o anche solo illogica, che gli elementi raccolti non fossero all’evidenza dotati di quella capacità destrutturante che le prove nuove devono comunque palesare. In particolare, si è ritenuto che il ruolo di agente provocatore o, meglio, di “esca” rivestito da COGNOME, e ricavato dai cennati elementi indiziari, non potesse essere messo in dubbio da dichiarazioni, come quelle rese da NOME COGNOME che, con evidente salto logico, fondavano l’affermazione di estraneità del ricorrente unicamente sul coinvolgimento di un terzo soggetto, individuato in tesi
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difensiva in D’Aquino, con una palese aporia logica che i Giudici del primo procedimento avevano del resto puntualmente rilevato, posto che l’eventuale
coinvolgimento anche di D’Aquino non avrebbe necessariamente significato che
COGNOME non fosse coinvolto nell’azione criminosa. Del pari, quanto alla frase “a discarico” di COGNOME pronunciata da COGNOME in occasione della conversazione
intercettata, la Corte territoriale ha evidenziato come la stessa non potesse certamente ritenersi idonea a dimostrare l’assoluta estraneità di Valle, tenuto
conto, da un lato, delle circostanze già valorizzate per ritenere che la sua azione fosse stata concordata con COGNOME e, dall’altro lato, della estrema genericità e
assertività della frase di COGNOME che intendeva sminuirne il ruolo nella vicenda.
In questo modo, lungi dal realizzare una incursione nel merito del giudizio di revisione, riservato alla fase successiva a quella della verifica preliminare, la Corte
territoriale ha spiegato, in maniera congrua e logica, le ragioni per cui il nuovo compendio doveva ritenersi all’evidenza inidoneo, pur dinnanzi alla possibilità di
eventuali approfondimenti dibattimentali, a sovvertire l’originario ragionamento probatorio e, dunque, a condurre, già astrattamente, all’assoluzione dell’imputato
in un nuovo giudizio; donde la complessiva infondatezza, in condusione, delle censure mosse con l’odierna impugnazione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 9 aprile 2025
Il Consigliere estensore
COGNOME Il Presidente