Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25215 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25215 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Pozzuoli 1’08/05/1945
avverso l’ordinanza emessa 1’08/04/2025 dalla Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’8 aprile 2025 la Corte di appello di Roma dichiarava inammissibile l’istanza di revisione presentata da NOME COGNOME avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli il 12 settembre 2022, divenuta irrevocabile il 17 ottobre 2024.
La decisione di merito della quale si chiedeva la revisione, ai sensi dell’art. 630 cod. proc. pen., era stata pronunciata nei confronti di NOME COGNOME per i reati di minaccia e lesioni personali, commessi a Quarto, I’l agosto 2019, in danno di NOME COGNOME per i quali l’imputato era stato condannato alla pena di cinque mesi di reclusione.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 630 cod. proc. pen., conseguenti al fatto che la Corte di appello di Roma non aveva dato adeguatamente conto delle ragioni che non consentivano di disporre la revisione del giudizio di cognizione, alla luce delle sommarie informazioni rese dal teste NOME COGNOME il 3 marzo 2025.
Si deduceva, in proposito, che la Corte territoriale non aveva valutato correttamente il contenuto delle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME ex art. 391-bis cod. proc. pen., che imponeva di sottoporre a una rivalutazione complessiva la sequenza degli accadimenti criminosi posta a fondamento della condanna di NOME COGNOME atteso che tali dichiarazioni inducevano a escludere che, al momento del fatto, il ricorrente, il fratello e NOME COGNOME s fronteggiassero – davanti al cancello di accesso al fondo agricolo della persona offesa – e che l’imputato avesse commesso le condotte illecite per le quali era stato condannato nel giudizio di cognizione.
Era, del resto, incontroverso che l’accertamento del mancato avvicinamento di NOME COGNOME e del fratello al cancello che divideva i due congiunti da NOME COGNOME determinava sia l’impossibilità del verificarsi dell’evento contusivo ai danni della persona offesa sia la complessiva attendibilità delle dichiarazioni testimoniali rese da quest’ultima.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
2. Osserva il Collegio che il vaglio preliminare sull’ammissibilità della richiesta di revisione deve riguardare sia l’affidabilità della prova, nuova, posta a fondamento dell’istanza sia la congruenza di tale ulteriore elemento di giudizio rispetto al compendio probatorio acquisito nel giudizio di cognizione. Tutto questo discende dal fatto che le connotazioni di novità richieste dall’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. comportano l’idoneità delle fonti di prova allegate a ribaltare, da sole o unitamente a quelle già acquisite, il giudizio di colpevolezza precedentemente formulato (tra le altre, Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, COGNOME, Rv. 273028 – 01; Sez. 6, n. 28267 del 10/05/2017, COGNOME, Rv. 270414 – 01).
Ne discende che, per giungere a un esito positivo del giudizio di revisione, la nuova prova deve condurre all’accertamento di un fatto la cui dimostrazione evidenzi che il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio.
Né potrebbe essere diversamente, atteso che l’istituto della revisione, così come prefigurato dall’art. 630 cod. proc. pen., è finalizzato a consentire che al giudicato formatosi sulla sentenza irrevocabile di cui si chiede la modifica sia sostituita una nuova decisione, pronunciata all’esito di un ulteriore processo penale, fondata su un compendio probatorio connotato, in tutto o in parte, da novità. Diventa, pertanto, indispensabile la verifica preliminare delle ragioni che consentono di ritenere il giudizio di revisione richiesto connotato da novità processuale, tenuto conto degli elementi probatori prospettati nell’interesse del condannato, che devono essere diversi da quelli esaminati nel giudizio sottoposto a revisione.
3. In questa cornice, deve osservarsi che, quando, come nel caso in esame, le nuove prove offerte dal condannato presentano connotazioni assolutamente speculari e contrarie rispetto a quelle acquisite e consacrate nel giudizio penale del quale si invoca la revisione, il giudice deve valutare la resistenza dell’originario compendio probatorio rispetto agli elementi di novità introdotti dall’imputato. Questi elementi di novità probatoria, nel nostro caso, sono rappresentati dalle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME il 3 marzo 2025, che erano state acquisite nell’ambito di indagini difensive svolte nell’interesse di NOME COGNOME
Il compimento di tale operazione di ermeneutica processuale, al contempo, comporta che gli elementi di novità processuale siano sottoposti a un rigoroso giudizio di affidabilità probatoria, essendo evidente che soltanto quando la prova nuova sia stata giudicata immune da profili di inaffidabilità, totale o parziale, è
possibile che venga utilizzata comparativamente per elidere la rilevanza processuale dei mezzi istruttori acquisiti nel giudizio di cognizione, consacrato da una decisione irrevocabile.
In altri termini, la rivalutazione delle fonti di prova acquisite nel giudizio d cognizione, ai sensi dell’art. 630 cod. proc. pen., può avvenire soltanto dopo che, sulla base di una verifica logica e cronologica preliminare, sia stata accertata l’affidabilità dell’elemento probatorio connotato da novità e la sua idoneità a confutare o comunque a mettere in discussione le fonti di prova precedentemente acquisite.
In questa, consolidata, cornice, deve evidenziarsi che la Corte di appello di Roma rilevava la manifesta infondatezza della richiesta di revisione presentata da NOME COGNOME sull’assunto che le sommarie informazioni di NOME COGNOME non possedevano alcuna idoneità a prefigurare un esito assolutorio dell’originaria vicenda processuale favorevole al ricorrente, essendo esclusivamente finalizzate a dimostrare l’inattendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese, nel giudizio di cognizione, sia dalla persona offesa, NOME COGNOME sia dal teste NOME COGNOME.
Occorre, in proposito, precisare che, nelle sommarie informazioni di cui all’art. 391-bis cod. proc. pen., NOME COGNOME aveva dichiarato che, in occasione dell’alterco verificatosi I’l agosto 2019, tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e il fratello, nei pressi del cancello di accesso al fondo agricolo della persona offesa, pur avendo sentito delle urla, escludeva che tra i due contendenti vi fosse stato uno scontro fisico, essendosi il condannato limitato ad avvicinarsi al cancello che lo separava dai fratelli COGNOME
Senza considerare, per altro verso, che l’operazione di ermeneutica processuale invocata dal ricorrente si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che esclude l’applicazione della regola generale di cui all’art. 192 cod. proc. pen. alle dichiarazioni delle persone offese, alle quali devono essere ricondotte quelle rese da NOME COGNOME affermando: «Le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone» (Sez. U, n. 4161 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214 – 01).
Questo orieniannento ermeneutico, del resto, si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale risalente nel tempo, che ritiene le dichiarazioni della
persona offesa idonee, ex se, a fondare un giudizio di responsabilità nei confronti dell’imputato, che è possibile esplicitare richiamando il seguente, insuperato, principio di diritto: «In tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste sia le dichiarazioni della parte offesa sia quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima. Ne consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità» (Sez. 5, n. 6910 del 27/04/1999, COGNOME, Rv. 213613 – 01).
A tali considerazioni deve aggiungersi che le accuse di NOME COGNOME si ritenevano corroborate dalle dichiarazioni testimoniali rese da NOME COGNOME, secondo cui la persona offesa era stata afferrata per la maglietta da uno dei due individui che era posizionato all’esterno del cancello di accesso al fondo agricolo della vittima. Tali dichiarazioni, a loro volta, si ritenevano riscontrate dalla testimonianza resa da NOME COGNOME – uno dei carabinieri giunti sul posto nell’immediatezza dei fatti, allertati dalla vittima -, che, al suo arriv constatava che NOME COGNOME indossava una maglietta strappata all’altezza del bavero.
Appaiono, pertanto, pienamente condivisibili le conclusioni alle quali perveniva la Corte di appello di Roma, che, nel passaggio argomentativo esplicitato a pagina 4 dell’ordinanza impugnata, richiamando gli esiti del giudizio di cognizione, conclusosi con la condanna di NOME COGNOME osservava che le «dichiarazioni rese dal testimone oculare del fatto (NOME COGNOME anche laddove ripetute sono irrilevanti ai fini del giudizio », non potendo condurre all’accertamento in termini di ragionevole sicurezza di un fatto atto ad evidenziare l’insufficienza del compendio probatorio acquisito in sede di cognizione a sostenere l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, oltre ogni ragionevole dubbio ».
Si tratta, a ben vedere, di affermazioni che risultano immuni da censure e motivazionali e appaiono rispettose della giurisprudenza di legittimità, correttamente richiamata nel provvedimento impugnato, secondo cui: «Ai fini dell’esito positivo del giudizio di revisione, la prova nuova deve condurre all’accertamento – in termini di ragionevole sicurezza – di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato oltre
ogni ragionevole dubbio» (Sez. 5, n. 34515 del 18/06/2021, COGNOME, Rv. 281772 – 01).
Né potrebbe essere diversamente, dovendosi, in proposito, ribadire che, ai fini dell’esito positivo del giudizio di revisione, la prova nuova deve condurre alla verifica giurisdizionale di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l’affermazione dell’originario giudizio di colpevolezza dell’imputato nel rispetto dei canoni dell’oltre ogni ragionevole dubbio” (tra le altre, Sez. 5, n. 24070 del 27/04/2016, COGNOME, Rv. 267067 – 01; Sez. 5, n. 24682 del 15/05/2014, COGNOME, Rv. 260005 – 01).
3.1. Si consideri ulteriormente che nell’univoca cornice probatoria descritta nel paragrafo 3, l’ipotesi alternativa, prospettata in termini meramente congetturali dal difensore di NOME COGNOME oltre che processualmente incongrue, si sarebbero inevitabilmente poste in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che occorre ulteriormente ribadire, secondo cui: «In tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti» (Sez. 6, n 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252066 – 01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018, COGNOME, Rv. 272995 – 01).
Questo orientamento, del resto, si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, in tema di ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime di esperienza, che si attaglia perfettamente al caso di specie e non consente di rivalutare il compendio probatorio acquisito nei confronti di NOME COGNOME che è possibile esplicitare richiamando il seguente principio di diritto: «Nella valutazione probatoria giudiziaria – così come, secondo la più moderna epistemologia, in ogni procedimento di accertamento (scientifico, storico, etc.) è corretto e legittimo fare ricorso alla verosimiglianza ed alle massime di esperienza, ma, affinché il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame valore di prova, è necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile. Ove così non sia, il suddetto dato si pone semplicemente come indizio da valutare insieme a tutti gli altri elementi risultanti dagli atti» (Sez. 1, n. 4652 d 21/10/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 230873 – 01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 49029 del 22/10/2014, Leone, Rv. 261220 – 01).
4. Le considerazioni esposte impongono conclusivamente il rigetto del ricorso proposto da NOME COGNOME con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20 giugno 2025.