Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 17027 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 17027 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MIRANDOLA il 29/07/1970
avverso l’ordinanza del 20/12/2024 del GIP TRIBUNALE di MODENA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza del 20 dicembre 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena rigettava l’eccezione in merito alla violazione dell’art. 297 cod. proc. pen., nonché l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare proposte nell’interesse di NOME COGNOME
1.1. Avverso la predetta ordinanza ricorre per cassazione il difensore di Sciava, lamentando la violazione dell’art. 297 cod. proc. pen.; premette che il giudice aveva citato l’ulteriore processo penale pendente in appello per due ordini di ragioni: la prima da rinvenirsi nell’assoluta concatenazione delle indagini tra il predetto processo ed il presente processo e la seconda nella prinnigenia ordinanza impositiva quale substrato, in fatto e diritto, tanto delle nnotivazioni a suffragi della sussistenza delle esigenze cautelari, tanto delle fondamenta dell’istanza difensiva avanzata all’udienza per l’interrogatorio di garanzia; era vero che la
prima ordinanza impositiva era stata emessa nell’agosto del 2022, ma era altrettanto vero che l’ordinanza di aggravamento della misura cautelare era stata emessa in data 3 ottobre 2023, aggravamento fondato sull’asserito compimento da parte dell’indagato dei medesimi fatti di cui all’informazione di garanzia, notificata allo stesso nel settembre dello stesso anno e per il quale aveva inoltrato le proprie osservazioni, corredate da copiosa documentazione attestante la propria estraneità ai fatti dell’ordinanza; tutti i fatti del presente procedimento (o gra parte di essi) erano conosciuti già da settembre 2023, tanto più alla luce della ratio sottesa all’aggravamento disposto il mese successivo; non corrispondeva, pertanto, al vero che tali fatti fossero meramente storicamente conoscibili, essendo invece perfettamente conosciuti.
1.2. Il difensore, richiamate le due richieste del pubblico ministero di aprile e settembre 2024, sfociate nell’applicazione della misura inframuraria di aprile e nell’ordinanza del 9 dicembre 2024, osserva che già nell’aprile 2024 era noto l’asserito modus operandi del ricorrente, già oggetto tanto dell’ordinanza genetica nel processo penale n. 2223/21, tanto dell’aggravamento della misura nel presente procedimento: non rimaneva quindi alcun reato “nuovo” da porre a Fondamento della nuova ordinanza, nemmeno quello di cui al capo 1) (art. 416 commi 1, 2, 3 e 5 cod. pen.), in quanto già conosciuto e comunque cessato in epoca ben precedente all’ordinanza dell’aprile 2024.
Il difensore osserva che i fatti erano i medesimi e/o vi era tra gli stessi connessione qualificata e che il pubblico ministero procedente, a fronte di una copiosa documentazione investigativa, aveva deciso di utilizzare parte di tali atti per fondare la primaria richiesta in sede cautelare, per riservarsi in un momento successivo l’utilizzazione di elementi già noti per fondarne una ulteriore e susseguente: l’unico reato che avrebbe potuto essere caratterizzato dall’elemento di novità era quello di cui al capo 1) di imputazione, se non fosse che trattavasi di reato permanente e contestato in relazione alle condotte per le quali era intervenuta la sentenza di primo grado nel proc. n. 2223/21 R.g.n.r.
Il difensore rileva, infine, che si nutrivano non pochi dubbi circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza soprattutto in relazione al vincolo associativo contestato al capo 1) dell’imputazione, nonché delle esigenze cautelari legittimanti la permanenza della cautela più gravosa; dopo oltre 8 mesi di distanza dall’ordinanza di aprile, il difensore rileva che non vi erano circostanze tal da condurre ad un giudizio allarmante in merito alla concreta probabilità di reiterazione dei reati della medesima indole, avendo contezza tanto delle condizioni di salute conclamate dall’indagato, tanto della effettiva datazione delle condotte, ben risalenti nel tempo.
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1. Si deve infatti ribadire che “in tema di misure cautelari personali, è inammissibile il ricorso diretto per cassazione avverso l’ordinanza applicativa della misura che deduca la violazione della regola di retrodatazione del termine di decorrenza di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., poiché il relativo accertamento comporta verifiche di merito, incompatibili con il giudizio di legittimità, in ordine al rapporto di connessione tra i fatti oggetto dei due diversi procedimenti, alla desumibilità dagli atti delle posteriori contestazioni e all’interesse attuale della questione, dovendo invece la questione essere proposta, ex art. 306 cod. proc. pen., al giudice delle indagini preliminari e successivamente, in caso di rigetto, al tribunale del riesame in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen., salvo che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione dell’ordinanza tali termini fossero già scaduti (Sez. 5, n. 14713 del 06/03/2019, COGNOME, Rv. 275098).
2.2. Infatti, i presupposti di applicazione della retrodatazione ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen. costituiscono una quaestio facti la cui soluzione è rimessa di volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito, in quanto richiede l’esame e la valutazione degli atti ed una ricostruzione dei fatti che sono attività precluse al giudice di legittimità, il quale deve solo verificare che il convincimento espresso in sede di merito sia correttamente e logicamente motivato.
Come poi efficacemente argomentato nella motivazione della sentenza sopra richiamata ” … Né il ricorso può essere convertito in altra impugnazione. La questione relativa all’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza di custodia cautelare per decorrenza dei termini di fase, in relazione all’asserita contestazione a catena, non è, invero, deducibile nel procedimento di riesame salvo che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione dell’ordinanza tali termini fossero già scaduti, in quanto si tratta di vizio che non intacca l’intrinseca legittimit dell’ordinanza, ma agisce sul piano dell’efficacia della misura cautelare (Sez. 4, n. 48094 del 11/07/2017, COGNOME, Rv. 271168). Di guisa che la questione del diritto alla scarcerazione per decorrenza dei termini, da calcolarsi al momento dell’esecuzione del primo titolo custodiale, deve essere proposta al giudice per le indagini preliminari con istanza ex art. 306 cod. proc. pen. e, successivamente, in caso di provvedimento reiettivo, al tribunale in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen.”.
Si deve infine rilevare come il ricorrente non abbia indicato in alcun modo quando sarebbero scaduti i termini della prima ordinanza, con conseguente genericità del ricorso; inoltre, il motivo di ricorso, anche se intitolato come “violazione dell’art. 297 c.p.p.” consiste in realtà in censure sulla motivazione
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adottata dal giudice per le indagini preliminari, operazione non consentita ai sensi dell’art. 311, comma 2, cod. proc. pen.
3. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex
art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in
favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3.000,00. Non conseguendo dall’adozione del presente
provvedimento la rimessione in libertà dell’indagato, deve provvedersi ai sensi dell’art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp.
att.
cod. proc. pen.
Sentenza a motivazione semplificata.
Così deciso il 03/04/2025