Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 45285 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 45285 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME nata a Cosenza il 30/09/1987
avverso l’ordinanza del 11/06/2024 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; visti i motivi aggiunti depositati dall’avvocato NOME COGNOME difensore dell’imputata; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso venga rigettato; udito il difensore, avvocato NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso,
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Catanzaro ha respinto l’istanza di riesame proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari, con la quale è stata applicata nei suoi confronti
la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai delitti di cui agli art 74 (capo n. 1) e 73 (capo n. 140) del d.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in relazione agli 297, comma 3, e 125 cod. proc. pen.
Gli elementi su cui è fondata la gravità indiziaria sia in relazione al capo n. 1 che in relazione al capo n. 140 sono sostanzialmente gli SMS scambiati tra la ricorrente e NOME COGNOME. Tali SMS sono stati acquisiti nell’ambito di intercettazioni disposte nel procedimento penale n. 3804/2017 RGNR DDA (RIT n. 372/21 e RIT n. 1494/21). Si tratta, quindi, di un compendio indiziario desumibile prima della emissione dell’ordinanza cautelare che ha attinto la ricorrente nel proc. pen. n. 3804/2017 RGNR DDA per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen, oltre che per una serie di reati fine. Da ciò consegue che, in applicazione dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., i termini di durata della misura cautelare emessa nel presente procedimento devono essere retrodatati e decorrere dall’esecuzione della prima ordinanza.
Rileva il difensore che eccentrico è il riferimento (contenuto a pagina 3 dell’ordinanza impugnata) ad un diverso procedimento presso la Procura di Lamezia Terme per il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto l’unica ordinanza cautelare da cui è stata attinta la ricorrente è quella afferente il procedimento numero 3804/2017 RGNR DDA.
Il Tribunale per il riesame, innanzi al quale era stata sollevata la medesima questione, ha ritenuto che la nuova ordinanza si fondi non solo sugli SMS scambiati con NOME COGNOME ma anche sulle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, NOME COGNOME e NOME COGNOME intervenute dopo l’emissione della prima ordinanza, senza però operare alcuna valutazione in merito alla portata probatoria del loro narrato.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in relazione agli 268, comma 6, e 178 cod. proc. pen.
Il Tribunale per il riesame ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità degli SMS per non esserne stata rilasciata copia alla difesa, rilevando che agli atti non risultava alcun rigetto della richiesta di copia e che era onere della difesa recarsi presso la segreteria del pubblico ministero per visionare e chiedere le copie degli atti.
Deduce il difensore che la richiesta atteneva ad atti non depositati, e in particolare alle modalità di richiesta degli SMS dalla Procura al gestore telefonico nonché al contenuto originale degli SMS, ai fini di valutare la genuinità della prova. Ebbene, l’istanza avanzata all’ufficio di Procura il 04/06/2024 volta ad ottenere copia dei files originali contenenti gli SMS non è mai stata evasa.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto la motivazione dell’ordinanza impugnata sarebbe apparente nella parte relativa al ruolo della ricorrente nella associazione dedita al narcotraffico. Nella prospettazione difensiva, non viene, in particolare, affrontato il tema della conoscenza o conoscibilità della provenienza delle somme di denaro che, talvolta, la ricorrente custodiva.
Inoltre, il contenuto degli SMS sarebbe stato travisato, poiché in essi non si fa mai riferimento, neppure con l’utilizzo di un linguaggio criptico, alla droga; né assumono rilievo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME in quanto egli riferisce di un solo fatto relativo all’acquisto di stupefacente, i c proventi erano destinati non all’associazione ma al solo NOME COGNOME.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in relazione all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990. L’ordinanza impugnata non motiva in relazione al contributo causale fornito della ricorrente nel reato di detenzione di sostanza stupefacente da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME (capo n. 140), in quanto l’unica fonte di prova citata è una conversazione successiva al sequestro della sostanza.
Con i motivi aggiunti vengono dedotti i seguenti motivi di ricorso:
3.1. Violazione di cui all’art. 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. in relazio agli artt. 297, comma 3, e 125 cod. proc. pen. Ribadito che il presente procedimento è collegato al procedimento n. 3804/2017 R.G.N.R. DDA, per la connessione qualificata esistente tra i due reati associativi (art. 416-bis cod. pen. e 74 DPR 309/90) e tra la serie di reati fine, il difensore rileva che, nell’anno 2019, la Procura aveva già elementi per contestare alla ricorrente il reato di associazione dedita al narcotraffico, applicando alla stessa la misura cautelare, così come fatto nei confronti di altri indagati.
Anche l’ipotesi di cessione di sostanza stupefacente contestata al capo n. 140 è fondata su una intercettazione che era già presente negli atti del procedimento n. 3804/2017 RGNR DDA, pertanto, anche in questo caso, la contestazione doveva essere effettuata nel primo procedimento.
3.2. Violazione di cui all’art. 606 lett. b), c), e) cod. proc. pen. in relazione a artt. 268, comma 6, e 178 cod. proc. pen. in relazione all’omesso rilascio delle
copie richieste, per ragioni sovrapponibili a quelle sviluppate con il secondo motivo di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato e assume carattere assorbente.
Per un corretto inquadramento della questione è opportuno richiamare gli approdi della giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione dell’istituto dell retrodatazione dei termini che, come chiarito dalle Sezioni Unite COGNOME, consiste «nel “riallineamento” tra misure cautelari che, pur dovendo essere coeve, sono state separatamente adottate, ovvero in uno “slittamento all’indietro” della data di esecuzione del provvedimento cautelare successivo fino alla data di esecuzione di quello iniziale.» (Sez. U., n. 23166 del 28/5/2020, COGNOME, in motivazione).
L’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dalla legge 8 agosto 1995, n. 302, delimita l’ambito di operatività del meccanismo della retrodatazione dei termini di durata delle misure cautelari alle sole ipotesi in cui i titoli cautel abbiano ad oggetto il medesimo fatto, diversamente circostanziato o qualificato, ovvero fatti diversi tra cui sussiste una connessione qualificata ai sensi dell’art. 12, lett. b) e c) cod. proc. pen., limitatamente ai casi dei reati connessi per eseguire gli altri. La portata applicativa della norma in esame è stata successivamente ampliata per effetto della sentenza additiva n. 408 del 2005, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui «non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza». Con la sentenza n. 233 del 2011, la Corte costituzionale ha, inoltre, dichiarato la illegittimità dello stesso art. 297, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui, con riferimento alle ordinanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi, non prevede che la regola in tema di decorrenza dei termini in esso stabilita si applichi anche quando, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura.
Secondo la costante esegesi della norma, tracciata dalle due sentenze delle Sezioni Unite Rahulia (n. 21957de1 22/03/2005, Rv. 231057-8-9) e Librato (n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Rv. 235909-10-11), sono ravvisabili tre distinte ipotesi di contestazione a catena in cui può riconoscersi l’operatività della norma:
a) la prima ipotesi attiene al caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che dispongono nei confronti di un imputato la medesima misura cautelare per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi, commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza, legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologica. In entrambe le situazioni, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive, prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., opera automaticamente, ovvero senza dipendere dalla possibilità, al momento dell’emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le successive misure (art. 297, comma 3, prima parte cod. proc. pen.);
b) la seconda ipotesi riguarda, invece, il caso in cui, in procedimenti diversi, vengano emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una delle tre forme di connessione qualificata sopra indicate, in cui la retrodatazione opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza (art. 297, comma 3, seconda parte, cod. proc. pen.);
c) la terza ipotesi riguarda, infine, il caso di emissione di più ordinanze cautelari relative a fatti tra i quali o non sussiste alcuna connessione ovvero sia configurabile una connessione non qualificata, nel senso sopra indicato. In tali ipotesi, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 408 del 2005, la retrodatazione opera solo se al momento dell’emissione della prima ordinanza esistevano elementi idonei a giustificare le misure applicate con le ordinanze successive. Tale regola vale solo se le ordinanze sono state emesse nello stesso procedimento. Le Sezioni Unite Librato, hanno, infatti, chiarito che, qualora i titoli cautelari sia stati emessi in procedimenti diversi, occorre verificare, oltre alla circostanza sopra indicata, anche che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frutto di una scelta del pubblico ministero.
Da ultimo, le Sezioni Unite hanno, infine, chiarito che / qualora la pluralità di misure cautelari riguardi procedimenti pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi, la retrodatazione del termine di durata può riconoscersi esclusivamente Egrimni /1—( / tra i fatti oggetto dei due provvedimenti cautelari, sussista una delle ipotesi di connessione qualificata previste dall’art.297, comma 3, cod. proc. pen., consistente nel concorso formale di reati, nel reato continuato o nella connessione teleologica, limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri (Sez. U., n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, Rv. 279347 – 02).
In tutti e tre i casi è, comunque, necessario, perché si possa parlare di “contestazione a catena” ed applicare la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata della custodia cautelare, che i reati oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della prima ordinanza cautelare. È solo rispetto a condotte illecite anteriori all’inizio della custodia cautelare disposta con la prima ordinanza che può ragionevolmente operarsi la retrodatazione di misure adottate in un momento successivo, come si desume dalla lettera dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., che prende in considerazione solo i “fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza”. Nella fattispecie delineata dalla disposizione in questione, l’ordinanza cautelare segna, dunque, il momento entro il quale la condotta illecita deve essere cessata, perché il provvedimento non può “coprire”, attraverso la retrodatazione, fatti o parti di fatti successivi alla su emissione.
Della sussistenza dei presupposti della connessione qualificata e della desumibilità dagli atti è necessaria la prova, della quale deve farsi carico la parte che invoca l’applicazione della retrodatazione.
Inoltre, va rilevato che ai fini della desumibilità dagli atti il fatto storico ogge di contestazione non va confuso con la prova dello stesso, essendo indispensabile che già sussista il quadro legittimante l’adozione della misura.
Il Tribunale di Catanzaro non ha fatto buon governo di tali principi, in quanto, premesso che le ordinanze cautelari sono state emesse nell’ambito di procedimenti distinti per fatti diversi, tra loro connessi / ha ritenuto che «il quadro indiziario al momento della emissione della prima ordinanza non era sufficiente per contestare i delitti contestati con la seconda ordinanza», mentre il momento cui fare riferimento per verificare se sussistessero i presupposti per la retrodatazione era il rinvio a giudizio del primo procedimento (come sopra indicato al punto 2, lett. b). L’ordinanza non chiarisce, inoltre, se le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME siano antecedenti o successive al rinvio a giudizio nel dAt primo procedimento, né si comprende il sens -iférimento all’iscrizione di un procedimento penale presso il Tribunale di Lamezia Terme, relativo all’ipotesi di reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Conclusivamente, quindi, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro che dovrà verificare, in applicazione dei criteri sopra indicati, se sussistono, nel caso di specie, i presupposti per la retrodatazione di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 21/11/2024.