Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 32534 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 32534 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/02/2025 del TRIB. LIBERTA’ di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette/s3tifé le conclusioni del NOME COGNOME ckyLSL Vc~
&Alpi difensore
FATTO E DIRITTO
1. Con l’ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Firenze, aditmx art. 310, c.p.p., dal pubblico ministero presso il tribunale di Livorno, annullava l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Livorno, in data 23.3.2024, ai sensi dell’art. 297, c.p.p., aveva dichiarato la perdita di efficacia della misura cautelare della custodia in carcere, applicata dal suddetto giudice per le indagini preliminari nei confronti di NOME COGNOME, in relazione al reato ex artt. 110 e 584, c.p.p., con conseguente ripristino della misura cautelare inframuraria.
Avverso la menzionata ordinanza del tribunale del riesame, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’COGNOME, violazione di legge processuale e vizio di motivazione, con riferimento al disposto dell’art. 297, co. 3, c.p.p.
Il ricorrente, in particolare, ritiene errato il ragionamento seguito dal giudice dell’impugnazione cautelare, in quanto, a suo avviso, del tutto correttamente il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Livorno, con l’ordinanza impugnata dal pubblico ministero, aveva dichiarato, ai sensi dell’art. 297, co. 3, c.p.p., la perdita di efficacia della misura cautelare della custodia in carcere, applicata nei confronti dell’COGNOME, in relazione al reato ex artt. 110 e 584, c.p.p., trattandosi di provvedimenti adottati nell’ambito del medesimo procedimento per fatti avvinti da un rapporto di connessione qualificata, posto che il fatto oggetto della seconda ordinanza cautelare emessa in ordine di tempo, relativa alla morte del giovane NOME, è da mettere in connessione con i fatti ex art. 73, d.P.R. 309/90, oggetto della prima ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti del ricorrente dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Livorno.
Rileva, inoltre, il ricorrente che la motivazione dell’impugnata ordinanza appare anche contraddittoria rispetto a una precedente decisione con cui lo stesso tribunale del riesame si era già espresso a favore della retrodatazione, intervenendo sul secondo titolo cautelare.
Con requisitoria scritta del 22.5.2025, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso venga rigettato.
Con autonoma memoria, pervenuta a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore di fiducia del ricorrente, AVV_NOTAIO, nel replicare alla requisitoria del pubblico ministero, insiste per l’accoglimento del ricorso.
Il ricorso va rigettato perché sorretto da motivi infondati.
4.1 Giova premettere che l’COGNOME risulta raggiunto da due titoli cautelari, uno, adottato dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Livorno in data 12.11.2022 per il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 309/90, nell’ambito del procedimento penale n. 4763/2022, R.G.N.R; l’altro, adottato dal medesimo giudice con ordinanza del 14.3.2024, per il reato di cui agli artt. 110, 584, c.p., nell’ambito del procedimento penale n. 4217/2023.
Come chiarito dal giudice dell’impugnazione cautelare i fatti che hanno condotto all’adozione delle indicate misure cautelari risalgono alla morte di NOME COGNOME, caduto dal quarto piano di uno stabile ubicato in Livorno, il 22.8.2022, che, come accertato dalle indagini svolte, era cliente dell’COGNOME, dal quale acquistava le dosi di cocaina, di cui era consumatore abituale.
Tali vicende avevano indotto il pubblico ministero a iscrivere, in due momenti successivi, a modello 21 l’COGNOME, nell’ambito del procedimento penale n. 4763/2022, R.G.N.R, per i reati di cui agli artt. 110, 73, d.P.R. 309/90, 575, c.p., in relazione ai quali, in data 8.11.2022, aveva chiesto l’applicazione nei confronti dell’indagato della misura cautelare della custodia in carcere, richiesta che il giudice per le indagini preliminari, con la menzionata ordinanza del 12.11.2022, aveva accolto solo per il reato in materia di stupefacenti, rigettandola per l’altro reato, avendo ritenuto non raggiunta la necessaria gravità indiziaria, in ragione dell’incompletezza degli atti e delle informazioni acquisite.
Successivamente, in data 13.9.2023, il pubblico ministero aveva disposto la separazione e lo stralcio della posizione del ricorrente dal
procedimento penale n. 4763/2022, R.G.N.R, in relazione al delitto di cui agli artt. 110, 575, c.p., con formazione di autonomo fascicolo processuale a carico di COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, contraddistinto dal n. NUMERO_DOCUMENTO, cui faceva seguito una nuova richiesta di misura cautelare, sulla base di una diversa imputazione provvisoria, in cui la condotta degli indagati era stata diversamente qualificata ai sensi dell’art. 584, c.p., che il giudice per le indagini preliminari aveva accolto, con l’indicata ordinanza del 14.3.2024.
4.2. Così ricostruita l’intera sequenza procedimentale che ha condotto all’applicazione delle indicate misure cautelari nei confronti del ricorrente (da quest’ultimo non contestata), le questioni di cui al motivo di ricorso ineriscono all’istituto della c.d. «retrodatazione», contemplato dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., così come letto dalla Consulta e interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, nei termini di recente ricostruiti da Sez. 4, n. 21075 del 13/04/2022, in motivazione, e ripresi da Sez. 4, n. 28818 del 17/05/2023, in motivazione.
L’istituto in esame consiste nel «riallineamento» tra misure cautelari, che, pur dovendo essere coeve, sono state separatamente adottate, determinando uno «slittamento all’indietro» della data di esecuzione del provvedimento cautelare successivo fino alla data di esecuzione di quello iniziale.
Ciò in adesione alle prospettazioni provenienti, tanto dalla più attenta dottrina, quanto dalla più recente giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, Rv. 279347, in motivazione), da ritenersi corrette e condivisibili, in quanto tali da considerare le varie ipotesi applicative dell’istituto, che vanno ben oltre quella caratterizzata dalla medesimezza del fatto di cui alle diverse misure cautelari.
Quando nei confronti di un soggetto sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze cautelari per fatti diversi, in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la «retrodatazione» opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza. I casi di connessione rilevanti a fini della retrodatazione sono, ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.,
solo quelli di concorso formale di reati, di reato continuato e nesso teleologico tra reati commessi per eseguire gli altri, previsti dall’art. 12, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen. Nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardino, invece, fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del Pubblico Ministero (come ricordato di recente da Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, in motivazione, all’esito di una dettagliata ricostruzione dell’evoluzione normativa dell’istituto e alla luce della giurisprudenza di legittimità e costituzionale in tema di «contestazioni a catena»).
Ne consegue che la regola della retrodatazione concerne normalmente misure adottate nello stesso procedimento può applicarsi a misure disposte in un procedimento diverso solo nelle ipotesi testé indicate (Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, COGNOME, Rv. 235909; Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231058). Qualora invece si tratti di procedimenti pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi, la retrodatazione della seconda ordinanza non potrebbe operare in mancanza dell’effettiva sussistenza dell’invocata connessione qualificata tra i fatti oggetto dei due provvedimenti cautelari.
Nei termini di cui innanzi si esprimono difatti le citate Sezioni Unite n. 23166 del 2020 le quali, richiamando le precedenti Sezioni Unite «COGNOME», osservano puntualmente che «la diversità delle autorità giudiziarie procedenti indica una diversità di competenza, e fa ritenere che i procedimenti non avrebbero potuto essere riuniti e che quindi la sequenza dei provvedimenti cautelari non è il frutto di una scelta per ritardare la decorrenza della seconda misura. Se la competenza appartiene a giudici diversi, il primo non ha ragione di disporre una misura cautelare per fatti di competenza del secondo, anche perché, a
norma dell’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., il giudice incompetente è tenuto a disporre la misura cautelare nel solo caso in cui “sussiste l’urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p.”, e questa urgenza manca se il giudice riesce a soddisfare le esigenze cautelari disponendo la misura per i fatti di propria competenza».
Tanto l’esistenza della connessione rilevante ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, in motivazione), quanto la «desumibilità dagli atti» del primo procedimento degli elementi idonei e sufficienti per adottare i diversi provvedimenti cautelari (cfr. Sez. 6, n. 12676 del 20/12/2006, Rv. 236829) costituiscono quaestiones facti, la cui valutazione è riservata ai giudici di merito ed è sindacabile dal giudice di legittimità esclusivamente sotto il profilo della logicità e coerenza descrittiva delle emergenze processuali e probatorie, nonché della congruenza e non contraddittorietà delle relative analisi e dei pertinenti passaggi argomentativi (cfr., ex plurimis, Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, in motivazione).
4.3 Alla luce dei richiamati principi, non appare revocabile in dubbio che, nel caso in esame, come correttamente rilevato dal giudice dell’impugnazione cautelare, ci troviamo di fronte a due ordinanze emesse dalla medesima autorità giudiziaria nell’ambito di procedimenti diversi, a nulla rilevando che il pubblico ministero abbia proceduto al richiamato stralcio, partendo da un unico procedimento sorto per i reati di cui agli artt. 110, 73, d.P.R. 309/90, 575, c.p.
L’irrilevanza, ai fini della tesi dell’unicità del procedimento, della circostanza per cui le due ordinanze siano state emesse in procedimenti diversi quali «gemmazione» di un unico procedimento, vale a dire che siano la conseguenza di una separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che i due procedimenti abbiano avuto autonome origini, è stato evidenziato da Sez. 1, n. 26093 del 15/02/2018, Rv. 273132, in motivazione, facendo riferimento alle citate sentenze delle Sezioni Unite «COGNOME» e «COGNOME», ove si fa l’esempio di diversi procedimenti che
hanno origine da una separazione oppure da iniziative autonome (cfr., sul punto, da ultima, Sez. 4, n. 29174 del 15/05/2024, Rv. 286655).
Del pari appare giuridicamente corretta e logicamente coerente rispetto alle emergenze processuali, l’affermazione del tribunale del riesame circa la mancanza dell’effettiva sussistenza di una delle ipotesi di connessione qualificata tra i fatti di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti e di omicidio preterintenzionale oggetto dei due provvedimenti coercitivi, in quanto tale non sindacabile in sede di legittimità, “anche laddove si volesse ipotizzare che la lite tra l’indagato e la vittima – a seguito della quale verosimilmente NOME sferrava un pugno a NOME determinandone la caduta dalla finestra e il conseguente decesso – sia scaturita da un debito per droga (si tratta comunque di una mera congettura, non emergendo dagli atti, come rileva lo stesso GIP, il movente dell’aggressione)”.
Tale conclusione risulta del tutto aderente al dettato normativo, che ha inteso limitare i casi di connessione di cui all’art. 12, lett. c), escludendo espressamente, rispetto all’originaria previsione, il cado di reati commessi in occasione della commissione di altri reati.
Trattandosi, pertanto, di fatti non avvinti da vincoli di connessione qualificata, GLYPH trova GLYPH applicazione il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, di cui si è fatto cenno, secondo cui, in tema , di “contestazioni a catena”, quando nei confronti di un indagato sono emesse in procedimenti diversi, in corso innanzi alla medesima autorità giudiziaria, più ordinanze cautelari per fatti non avvinti da vincoli di connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. non opera allorché, all’epoca dell’emissione della prima ordinanza, non erano ancora desumibili dagli atti gli elementi che hanno consentito l’emissione del successivo titolo cautelare (cfr., ex plurimis, Sez. 1, n. 12700 del 27/09/2019, Rv. 278910).
Sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte ha ulteriormente chiarito che, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di anteriore “desumibilità”, dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a
fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, consiste non nella mera conoscibilità storica di determinate evenienze fattuali, ma nella condizione di conoscenza derivata da un determinato compendio documentale o dichiarativo che consenta al pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, alla richiesta e alla adozione di una nuova misura cautelare (cfr. Sez. 3, n. 48034 del 25/10/2019, Rv. 277351).
Nello stesso senso la giurisprudenza di legittimità si è espressa quando sia ravvisabile un rapporto di connessione qualificata, essendosi affermato che la nozione di “anteriore desumibilità”, dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, richiede che, al momento del rinvio a giudizio nel primo procedimento, l’autorità giudiziaria sia in grado di desumere, e non solo di conoscere, la specifica significanza processuale, intesa come idoneità a fondare una richiesta di misura cautelare, degli elementi relativi al reato sul quale si fonda l’adozione del successivo provvedimento cautelare per reato connesso, il cui compendio indiziario deve manifestare già la propria portata dimostrativa e non richiedere ulteriori indagini o elaborazione degli elementi probatori acquisiti, che rendano necessaria la separazione o la distinta iscrizione delle notizie di reato connesso (cfr., Sez. 4 , n. 16343 del 29/03/2023, Rv. 284464).
Emerge, dunque, dall’attività ermeneutica della Suprema Corte, una nozione unitaria di “anteriore desumibilità”, alla luce della quale, proprio in ragione della finalità della retrodatazione, individuata, come si è detto, nel «riallineamento» tra misure cautelari disposte per fatti diversi, che, pur dovendo essere coeve, sono state separatamente adottate, è necessario che le emergenze processuali a disposizione del pubblico ministero nel momento in cui formula la prima richiesta di misura cautelare, siano dotate di un’apprezzabile concretezza anche in ordine all’esercizio dell’azione cautelare per i fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, e non consistano in mere supposizioni o congetture sganciate dalle emergenze investigative.
L
Tanto premesso, il giudice dell’impugnazione cautelare ha fatto buon governo di tali principi, correttamente rilevando che “negli atti di indagine relativi alla prima ordinanza cautelare non fossero presenti elementi idonei e sufficienti a supportare la richiesta cautelare anche per il diverso delitto di omicidio volontario ovvero, come successivamente qualificato, preterintenzionale”, posto che, “come rilevato dallo stesso GIP gli atti di indagine erano incompleti (tanto che la richiesta cautelare veniva rigettata”, con riferimento al reato di cui all’art. 575, c.p.” In altri termini il materiale a disposizione del pubblico ministero al momento in cui formulò la prima richiesta di misura cautelare gli consentiva di avere una mera conoscibilità storica di determinate evenienze fattuali (il coinvolgimento del ricorrente in un’attività di vendita di sostanze stupefacenti, in favore, tra gli altri, di NOME COGNOME, la morte di quest’ultimo, in conseguenza della caduta dal quarto piano), e di formulare una mera congettura sul coinvolgimento dell’COGNOME nel decesso del NOME, ma non, come si è detto, di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, alla richiesta e alla adozione di una nuova misura cautelare, come dimostrato!94 mancato accoglimento della richiesta di misura cautelare dal parte del giudice per le indagini preliminari con l’ordinanza del 12.11.2022;1.)dal successivo mutamento della qualificazione giuridica del fatto e dalla circostanza, del pari evidenziata dal tribunale del riesame, che nella seconda ordinanza cautelare il giudice per le indagini preliminari aveva accolto la richiesta cautelare del pubblico ministero anche alla luce degli elementi indiziari acquisiti in seguito all’ordinanza cautelare emessa per il delitto di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti (cfr. p. 6 del provvedimento oggetto di ricorso).
Appaiono, pertanto, non cogliere nel segno le doglianze difensive con cui il ricorrente insiste sulla sussistenza di un rapporto di connessione qualificata tra i fatti oggetto dei due distinti provvedimenti coercitivi e sulla anteriore desumibilità, dagli atti inerenti alla prima ordinanza
cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento del successivo titolo custodiale, esprimendosi in termini apodittici nell’affermare che nel caso in esame la morte del NOME e l’attività di detenzione e cessione di droga “facciano parte della medesima risoluzione criminosa”.
Del pari è inconferente il richiamo operato dal ricorrente, da un lato, al contenuto dell’ordinanza del 23.3.2024, annullata dal tribunale del riesame, attraverso una motivazione del tutto condivisibile per le ragioni già esposte; dall’altro, al contenuto dell’informativa riepilogativa del risultanze investigative del 10.11.2023 e della lista testimoniale depositata dal pubblico ministero per il dibattimento a carico dello COGNOME innanzi alla corte di assise di Livorno, dalla quale si evincerebbe l’intento di dimostrare come la morte del NOME sia dipesa da una lite relativa ai commercio di droga, trattandosi di atti intervenuti successivamente alla richiesta di misura cautelare formulata 1’8.11.2022 e rigettata il 12.11.2002.
Infondato, infine, deve ritenersi anche il secondo motivo di ricorso, A differenza di quanto sostenuto dall’COGNOME, infatti, come si evince del resto dallo stesso contenuto del ricorso (cfr. pp. 7-8), il tribunale del riesame di Firenze, investito dell’impugnazione avverso la seconda ordinanza di custodia cautelare del 14.3.2024, in cui veniva dato atto dell’esistenza di un rapporto di connessione tra i diversi fatti, che avrebbe giustificato la retrodatazione prevista dall’art. 297, co. 3, c.p.p., non si è specificamente pronunciato sull’esistenza dei presupposti per l’applicazione di tale istituto, ma ha solo stigmatizzato la decisione del giudice per le indagini preliminari, rilevando che, avendo ritenuto la sussistenza di un rapporto di connessione qualificata ed essendo ormai decorso il termine di fase, proprio in virtù della retrodatazione prevista dall’art. 297, co. 3, c.p.p., il suddetto giudice non avrebbe dovuto adottare GLYPH alcuna GLYPH misura GLYPH cautelare, GLYPH concludendo, GLYPH infine, GLYPH per l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, perché nel frattempo l’indagato era stato scarcerato dallo stesso giudice per le indagini preliminari, con l’ordinanza del 23.3.2024
5. Al rigetto segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. Esec. Cod. Proc. Pen.
Così deciso in Roma il 18.6.2025.