Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21982 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21982 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME, nato a Lecce il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/12/2023 del Tribunale di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22/12/2023, il Tribunale di Lecce rigettava l’appello che era stato proposto da NOME COGNOME contro l’ordinanza del 22/11/2023 del G.i.p. del Tribunale di Lecce con la quale era stata rigettata la richiesta dello stesso COGNOME di dichiarare la perdita di efficacia della misura cautelare degli arresti domiciliar che era stata disposta nei suoi confronti con l’ordinanza del 30/03/2022 del G.i.p. del Tribunale di Lecce in quanto gravemente indiziato di due reati di detenzione illecita di sostanze stupefacenti (art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309).
La declaratoria di inefficacia della misura era stata chiesta dal COGNOME in applicazione della disciplina delle contestazioni a catena, con riferimento alla precedente ordinanza custodiale che era stata emessa il 23/11/2020 dal G.i.p. del
Tribunale di Lecce nell’ambito di un altro procedimento penale per essere il COGNOME gravemente indiziato del reato di tentata estorsione, in concorso con NOME COGNOME e con NOME COGNOME, ai danni di NOME COGNOME (fatti per i quali, con decreto del 24/12/2020, è stato disposto il giudizio immediato ed è poi intervenuta sentenza di condanna in primo grado del 26/01/2022 del G.i.p. del Tribunale di Lecce, emessa nella forme del rito abbreviato, alla pena di 2 anni e 8 mesi di reclusione ed € 2.000,00 di multa).
Avverso l’indicata ordinanza del 22/12/2023 del Tribunale di Lecce, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a un unico articolato motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 297, comma 3, dello stesso codice, e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente sostiene che tra i fatti per i quali sono state emesse le due ordinanze custodiali sussisterebbe una connessione qualificata e che i fatti di reato di cui alla seconda ordinanza (cioè quelli di detenzione illecita di sostanze stupefacenti) erano desumibili dagli atti del primo procedimento (cioè quello per il reato di tentata estorsione).
Quanto all’invocata connessione qualificata, il ricorrente deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Lecce: a) il fatto che le intercettazioni relative al reato di associazione finalizzata al traffico illecit sostanze stupefacenti oggetto del primo procedimento (cosiddetto “Game Over”) e utilizzate a riprova dei reati contestati con la seconda ordinanza custodiale fossero «da tempo terminate rispetto all’episodio di estorsione in danno di COGNOME» militerebbe in senso opposto rispetto a quanto ritenuto dal Tribunale di Lecce; b) la connessione qualificata sarebbe emersa dalla stessa seconda ordinanza del 30/03/2022 del G.i.p. del Tribunale di Lecce, atteso che tale giudice, nel motivare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, aveva richiamato propri l’episodio di tentata estorsione oggetto della prima ordinanza, trascrivendo la stessa per intero nella motivazione.
Quanto all’invocata desumibilità dei fatti reato di cui alla seconda ordinanza al momento dell’adozione del decreto di giudizio immediato del 24/12/2020 nell’ambito del procedimento in cui era stata emessa la prima ordinanza custodiale, il ricorrente sostiene che: a) da un lato, deporrebbe in tale senso la risalenza nel tempo dei fatti oggetto della seconda ordinanza rispetto a quelli oggetto della prima; b) dall’altro lato, se è vero che, come sottolineato dal Tribunale di Lecce, l’informativa conclusiva della Questura di Lecce in ordine ai fatti contestati nella seconda ordinanza era stata depositata solo il 06/10/2021, lo
stesso Tribunale non avrebbe però tenuto conto del fatto che l’attività di ricerca della prova di tali fatti (mediante intercettazioni) era terminata quasi un anno prima dell’emissione del decreto di giudizio immediato del 24/12/2020 per i fatti oggetto della prima ordinanza, con la conseguenza che «i fatti di reato documentati con l’attività di intercettazione non potevano non essere già desumibili a distanza di quasi un anno dal termine di quella particolare e penetrante attività di ricerca della prova».
La motivazione dell’ordinanza impugnata sarebbe altresì carente e contraddittoria là dove si ritiene «rrilevante» la vicenda cautelare del coimputato NOME COGNOME, concorrente nel reato di tentata estorsione di cui alla prima ordinanza custodiale, in ragione del fatto che questi era stato scarcerato a seguito di una sentenza di annullamento con rinvio della Corte di cassazione (Sez. 6, n. 3385 del 24/11/2022) «per ragioni formali, attinenti al vizio della cosiddetta motivazione perplessa sulla connessione» (pag. 8 dell’ordinanza impugnata). Il ricorrente deduce che: a) il carattere perplesso della motivazione «on obbliga mai il Giudice del rinvio ad una determinata decisione»; b) «se in sede di rinvio si poteva sottoporre a verifica solo la sussistenza della connessione qualificata tra i fatti delle due o.c.c., allora si deve necessariamente dedurre che la desumibilità, allora, era già stata accertata in sede di riesame sull’appello del predetto COGNOME». La retrodatazione dovrebbe spiegare effetti per tutti i soggetti delle due ordinanze custodiali che, come nel caso del COGNOME e del COGNOME, si trovino nella medesima posizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’unico motivo non è fondato.
Anche a ritenere, contrariamente a quanto sostento dal Tribunale di Lecce, e come invece prospettato dal ricorrente, che i fatti oggetto della prima ordinanza custodiale fossero dei reati-fine della precostituita associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti oggetto della seconda ordinanza, in relazione alla quale il ricorrente ha richiesto la retrodatazione della decorrenza dei termini, il Collegio reputa che il Tribunale di Lecce abbia sufficientemente argomentato, in modo congruente e non contraddittorio, in ordine alla carenza dell’altro decisivo presupposto della retrodatazione costituito dalla necessaria desumibilità dagli atti, prima dell’emissione del decreto di giudizio immediato del 24/12/2020, nel procedimento nell’ambito del quale è stata emessa la prima ordinanza, degli elementi idonei a giustificare l’applicazione della misura che è stata disposta con la seconda ordinanza.
A tale proposito, il Tribunale di Lecce ha adeguatamente evidenziato come l’informativa conclusiva in ordine ai fatti reato che sono stati contestati con la
seconda ordinanza custodiale, fosse stata depositata solo il 06/10/2021, e come, perciò, il pubblico ministero abbia potuto solo successivamente vagliare, ai fini delle proprie determinazioni in ordine alla richiesta di misura cautelare, i fatti p contestati con la seconda ordinanza.
A conforto di tale assunto milita anche il fatto, sottolineato dal Tribunale di Lecce ed effettivamente non privo di rilievo, che, nell’ambito del procedimento che ha portato all’emissione del successivo titolo cautelare per il reato associativo, la piattaforma indiziaria, con riguardo alla posizione del COGNOME, non era stata ancora compiutamente vagliata dal pubblico ministero, il quale, infatti, il 08/01/2021, aveva richiesto la proroga delle indagini per acquisire ulteriori elementi di riscontro.
Ancora, sempre a confutazione della fondatezza del motivo di ricorso, appare altresì rilevante quanto è stato osservato dal Tribunale di Lecce con riguardo alle circostanze che avevano portato all’emissione della prima ordinanza custodiale, in particolare, il fatto che questa era stata disposta (come detto, il 23/11/2020) nell’ambito di un’indagine che era stata avviata a seguito della denuncia che era stata sporta da NOME COGNOME; indagine del tutto svincolata e autonoma rispetto a quella, relativa al clan RAGIONE_SOCIALE–COGNOME, nella quale la prima aveva successivamente finito per inserirsi (come appare confermato anche dal fatto che, nel capo di imputazione provvisoria che è riportato alla prima pagina del ricorso, non figura la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.).
Il Collegio ritiene perciò che il Tribunale di Lecce abbia fatto corretta applicazione del principio, affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di anteriore “desumibilità”, dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, consiste non nella mera conoscibilità storica di determinate evenienze fattuali, ma nella condizione di conoscenza derivata da un determinato compendio documentale o dichiarativo che consenta al pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, alla richiesta e all’adozione di una nuova misura cautelare (Sez. 3, n. 48034 del 25/10/2019, COGNOME, Rv. 277351-01, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione del tribunale che aveva escluso la retrodatazione in quanto l’informativa finale relativa ai fatti per i quali era stato emesso il secondo tit cautelare era stata depositata due mesi dopo l’applicazione della prima ordinanza, intervenuta a seguito di arresto in flagranza, quando non sussisteva altro elemento per ipotizzare il coinvolgimento dei ricorrenti negli episodi, quantunque commessi in precedenza, contestati con la seconda ordinanza).
Né, alla luce di tale principio, il fatto, sottolineato nel ricorso, che, al moment dell’emissione del decreto di giudizio immediato del 24/12/2020 per il reato di tentata estorsione, l’attività di ricerca della prova mediante intercettazioni che era stata disposta per l’accertamento dei fatti reato di cui alla seconda misura fosse già da tempo cessata risulta di per sé decisivo per supportare la tesi dell’acquisita pregressa conoscenza di tali fatti, atteso che gli esiti della suddetta attività devono essere elaborati dalla polizia giudiziaria alla luce anche degli altri elementi d indagine acquisiti e, in seguito, compendiati in un’apposita informativa.
L’ordinanza impugnata non appare censurabile, infine, nemmeno là dove è stato escluso il rilievo della vicenda cautelare del coimputato NOME COGNOME, atteso che, da un lato, si tratta di una posizione comunque diversa, e che, dall’altro lato, il ricorrente non ha neppure prodotto il provvedimento emesso dal Tribunale di Lecce nel giudizio di rinvio conseguente alla sentenza di annullamento con rinvio del 24/11/2022 della Corte di cassazione.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21/03/2024.