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Retrodatazione custodia cautelare: quando si applica?

La Cassazione ha rigettato un ricorso sulla retrodatazione custodia cautelare, stabilendo che non si può backdatare l’inizio della detenzione se le prove per il secondo reato non erano ‘desumibili’ dagli atti del primo procedimento al momento della prima ordinanza. La successiva acquisizione di prove giustifica la separazione dei procedimenti e impedisce l’applicazione dell’istituto.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Retrodatazione Custodia Cautelare: La Cassazione e il Criterio della “Desumibilità”

La gestione dei termini di durata massima della custodia cautelare rappresenta uno dei punti più delicati del processo penale, soprattutto quando un soggetto è destinatario di più ordinanze per reati diversi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 6591/2025, offre un chiarimento fondamentale sull’applicazione della retrodatazione custodia cautelare, un istituto che consente di unificare la decorrenza dei termini. La decisione si concentra sul criterio della “anteriore desumibilità” degli indizi, delineando i confini tra applicazione automatica e discrezionalità legata allo stato delle indagini.

I Fatti del Caso

Un individuo, già detenuto in base a una prima ordinanza di custodia cautelare emessa nel luglio 2021 per reati legati agli stupefacenti, veniva raggiunto da un secondo provvedimento restrittivo nell’ottobre 2023 per fatti della stessa natura. La difesa sosteneva che i termini della seconda misura dovessero essere retrodatati, facendoli decorrere dalla data di esecuzione della prima, poiché entrambi i procedimenti erano pendenti presso la stessa autorità giudiziaria e riguardavano reati connessi.

Il Tribunale del riesame, tuttavia, accoglieva l’appello del Pubblico Ministero, annullando una precedente decisione favorevole all’indagato e ripristinando la custodia in carcere. Contro questa decisione, l’indagato proponeva ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale.

La Questione Giuridica e i Criteri per la Retrodatazione Custodia Cautelare

Il cuore della questione giuridica risiede nell’interpretazione dell’art. 297, comma 3, c.p.p., che disciplina la cosiddetta “contestazione a catena”. La norma prevede regole diverse a seconda che le plurime ordinanze siano emesse nello stesso procedimento o in procedimenti distinti.

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha riepilogato le tre possibili situazioni operative:

1. Stesso Procedimento: Se più ordinanze per reati connessi sono emesse nello stesso procedimento, la retrodatazione è automatica. I termini della seconda misura decorrono dalla data della prima, indipendentemente dal fatto che gli elementi a carico fossero già noti.
2. Procedimenti Distinti (con desumibilità): Se le ordinanze sono emesse in procedimenti diversi, la retrodatazione si applica solo se i fatti oggetto del secondo provvedimento erano già “desumibili” dagli atti del primo procedimento prima del rinvio a giudizio per i fatti della prima ordinanza.
3. Procedimenti Distinti (senza connessione qualificata): Se non vi è connessione qualificata, la retrodatazione (introdotta dalla Corte Costituzionale con la sent. 408/2005) è subordinata alla verifica che la separazione dei procedimenti non sia stata una scelta arbitraria del PM, ma dettata da esigenze investigative.

Il caso in esame rientrava nella seconda ipotesi.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto infondato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale del riesame. La motivazione si basa su un punto cruciale: l’assenza del requisito della “anteriore desumibilità”.

Il concetto di “desumibilità” non si limita a una mera conoscibilità storica dei fatti, ma richiede una “specifica significanza processuale”. Ciò significa che, al momento dell’emissione della prima ordinanza, gli atti dovevano già contenere elementi investigativi sufficientemente gravi e concludenti da poter fondare una richiesta di misura cautelare anche per i secondi reati.

Nel caso specifico, la Cassazione ha evidenziato che:

* Le intercettazioni alla base della seconda ordinanza erano state avviate in un procedimento diverso e a carico di un altro soggetto.
Le trascrizioni di tali intercettazioni, decisive per accusare il ricorrente, erano state effettuate solo tra settembre e dicembre 2021, quindi dopo* l’esecuzione della prima ordinanza (luglio 2021).
* Il Pubblico Ministero aveva disposto lo stralcio della posizione e la formazione di un nuovo fascicolo solo dopo il deposito dell’informativa conclusiva della polizia giudiziaria nel gennaio 2022.

Di conseguenza, la Procura era venuta a conoscenza degli elementi a carico “nella loro completezza” solo in un momento successivo all’emissione del primo titolo custodiale. La separazione dei procedimenti non fu quindi una scelta discrezionale, ma una necessità investigativa. Mancando il presupposto della desumibilità, la richiesta di retrodatazione è stata correttamente respinta.

Conclusioni

La sentenza n. 6591/2025 ribadisce un principio fondamentale in materia di retrodatazione custodia cautelare: l’istituto non è un automatismo, ma è strettamente legato allo stato delle indagini e alla conoscibilità processuale degli elementi a carico al momento della prima misura. La decisione chiarisce che la “desumibilità” deve essere concreta e processualmente rilevante, non meramente potenziale. Questo principio tutela le esigenze investigative, impedendo che l’accertamento di nuovi fatti di reato, emersi solo in un secondo momento, venga vanificato da un computo dei termini di custodia che non tiene conto della reale progressione delle indagini. Per la difesa, ciò significa che la richiesta di retrodatazione deve essere supportata da una prova rigorosa della preesistenza di indizi gravi e precisi già nel primo fascicolo processuale.

Quando si applica la retrodatazione della custodia cautelare in caso di procedimenti diversi?
Si applica solo se i fatti oggetto della seconda ordinanza erano ‘desumibili’ dagli atti del primo procedimento prima che fosse intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti della prima ordinanza. Inoltre, la separazione dei procedimenti non deve essere frutto di una scelta arbitraria del Pubblico Ministero.

Cosa si intende per ‘anteriore desumibilità’ degli elementi di prova ai fini della retrodatazione?
Non significa mera conoscibilità storica di alcuni fatti, ma l’acquisizione di esiti investigativi con una ‘specifica significanza processuale’, ovvero elementi sufficientemente gravi e precisi da consentire al Pubblico Ministero di formulare una richiesta di misura cautelare.

La separazione di due procedimenti è sempre una scelta arbitraria del Pubblico Ministero che giustifica la retrodatazione?
No. La sentenza chiarisce che se la separazione è dovuta al fatto che gli elementi di indagine a fondamento della seconda ordinanza sono emersi in modo completo solo in un momento successivo all’emissione della prima, questa non è una scelta arbitraria ma una necessità investigativa che non giustifica la retrodatazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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