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Retrodatazione custodia cautelare: quando si applica?

La Cassazione ha respinto il ricorso di un imputato che chiedeva la retrodatazione della custodia cautelare per reati associativi. La Corte ha chiarito che la ‘desumibilità dagli atti’ richiede un quadro indiziario grave e completo, non la mera conoscenza dei fatti da parte del PM. La richiesta di retrodatazione è stata negata poiché le prove non erano sufficientemente consolidate al momento del primo rinvio a giudizio.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Retrodatazione Custodia Cautelare: la Cassazione fissa i paletti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1657 del 2025, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: la retrodatazione custodia cautelare. Questo meccanismo, previsto dall’articolo 297, comma 3, del codice di procedura penale, permette di far decorrere i termini di una misura cautelare da una data anteriore, legata a un precedente arresto per un reato connesso. La decisione in esame chiarisce in modo netto i presupposti per la sua applicazione, in particolare il concetto di “desumibilità dagli atti”.

Il caso: una richiesta di retrodatazione respinta

Un soggetto, già detenuto per detenzione di stupefacenti a seguito di un arresto in flagranza avvenuto nel luglio 2021, si vedeva notificare una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere. Le nuove accuse erano ben più gravi: associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e reati in materia di armi, con l’aggravante del metodo mafioso.

La difesa presentava istanza per ottenere la retrodatazione del nuovo provvedimento restrittivo, chiedendo che la sua decorrenza fosse fissata alla data del primo arresto. La tesi difensiva si basava sull’idea che gli elementi relativi ai reati associativi fossero già noti e “desumibili dagli atti” del primo procedimento, ben prima che l’imputato venisse rinviato a giudizio per la detenzione di cocaina. Tuttavia, sia il Giudice per le indagini preliminari che il Tribunale del riesame respingevano la richiesta, ritenendo insussistenti i presupposti normativi. Contro questa decisione, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione.

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ribadito l’orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui l’operatività della retrodatazione è subordinata a condizioni molto precise, che nel caso di specie non erano state soddisfatte.

Le motivazioni: cosa significa ‘desumibilità dagli atti’ per la retrodatazione custodia cautelare?

Il fulcro della sentenza risiede nell’interpretazione del requisito della “desumibilità dagli atti”. La Corte chiarisce che questo concetto non può essere confuso con la mera conoscenza o conoscibilità dei fatti da parte del Pubblico Ministero. Non basta che l’autorità inquirente avesse a disposizione alcune informative di reato o i primi risultati investigativi.

Perché si possa parlare di “desumibilità”, è necessaria la sussistenza di un compendio probatorio – documentale o dichiarativo – dotato di una specifica significatività processuale. In altre parole, il quadro indiziario doveva essere già talmente grave, completo e definito da consentire al PM di formulare una prognosi fondata sulla consistenza delle prove e, di conseguenza, richiedere una misura cautelare.

Nel caso specifico, la Cassazione ha evidenziato diversi elementi ostativi all’accoglimento del ricorso:

1. Successione temporale delle indagini: Parte delle acquisizioni investigative valorizzate nel secondo provvedimento cautelare erano successive al rinvio a giudizio per il primo reato. Era quindi impossibile che fossero “desumibili” prima di quel momento.
2. Natura progressiva dell’indagine: La difesa aveva tentato di isolare alcuni atti investigativi (come i decreti di intercettazione) per dimostrare una conoscenza pregressa dei fatti. La Corte ha bocciato questo approccio, definendolo un'”operazione epistemica non corretta”. Le indagini per reati associativi, specialmente di stampo mafioso, richiedono una visione d’insieme e una valutazione complessiva che matura nel tempo.
3. Protrarsi del reato associativo: L’ipotizzata associazione a delinquere si sarebbe protratta fino a ottobre 2022, quindi ben oltre l’emissione della prima ordinanza custodiale (ottobre 2021). Questo fa venire meno il presupposto essenziale del divieto di “contestazione a catena”, ovvero l’anteriorità di tutti i reati rispetto al primo provvedimento restrittivo.

Conclusioni: implicazioni pratiche sulla retrodatazione custodia cautelare

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la tutela contro le cosiddette “contestazioni a catena” non si attiva automaticamente. La retrodatazione custodia cautelare non è un diritto che scatta per la semplice connessione tra reati. È necessario che l’autorità giudiziaria, al momento del primo rinvio a giudizio, fosse già in possesso di un quadro probatorio solido e maturo, tale da giustificare l’adozione di una misura cautelare anche per i reati contestati successivamente. Questa pronuncia serve da monito, sottolineando che la valutazione sulla “desumibilità” non può essere frammentaria, ma deve considerare la complessità e la progressione delle indagini, specialmente in contesti di criminalità organizzata.

Quando si applica la retrodatazione della custodia cautelare secondo la sentenza?
Si applica solo se i fatti oggetto della seconda ordinanza cautelare erano ‘desumibili dagli atti’ del primo procedimento prima del rinvio a giudizio. Tale desumibilità non è una mera conoscenza, ma richiede la sussistenza di un quadro indiziario grave e completo, tale da legittimare già allora l’adozione della misura.

Cosa intende la Cassazione per ‘desumibilità dagli atti’?
La Corte intende un compendio di prove, documentali o dichiarative, con una specifica significatività processuale. Questo insieme di elementi deve essere così solido da permettere al Pubblico Ministero di fare una valutazione ponderata sulla concludenza e gravità degli indizi, sufficiente per richiedere e ottenere una misura cautelare.

Perché il ricorso è stato respinto in questo caso specifico?
È stato respinto principalmente per tre motivi: 1) parte delle indagini decisive per il secondo reato sono state completate dopo il rinvio a giudizio per il primo; 2) il reato associativo si era protratto anche dopo il primo arresto, facendo mancare il presupposto dell’anteriorità dei fatti; 3) gli atti disponibili prima del rinvio a giudizio non costituivano un quadro indiziario completo e sufficientemente grave da giustificare la retrodatazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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