Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1657 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1657 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Catania il 12/11/1987
avverso la ordinanza del 04/07/2024 del Tribunale di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Attraverso il proprio difensore, NOME COGNOME impugna l’ordinanza del 4 luglio 2024, con la quale il Tribunale di Catania ha respinto l’appello da lui proposto avverso quella del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale del 21 maggio precedente, che aveva rigettato la sua istanza di declaratoria d’inefficacia della custodia cautelare in carcere in atto nei suoi confronti dal 19
marzo scorso, nel procedimento che lo vede indagato per i reati di cui agli artt. 73 e 74, d.P.R. n. 309 del 1990, nonché per reati in materia di armi, aggravati a norma dell’art. 416-bis.1, cod. pen..
L’istanza si fondava sul disposto dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., chiedendosi la retrodatazione del termine iniziale della misura cautelare al 28 luglio 2021, data dell’arresto in flagranza del COGNOME per detenzione di cocaina, e quindi per un reato connesso a quelli per i quali si trova attualmente ristretto.
Il primo giudice ed il Tribunale dell’appello hanno tuttavia disatteso le rispettive istanze difensive, in ragione della ritenuta assenza dell’ulteriore presupposto normativo per l’operatività dell’invocata retrodatazione, quello, cioè, per cui i fatti per i quali la misura è in atto fossero desumibili dagli atti procedimento già prima del rinvio a giudizio per i fatti di reato oggetto della precedente ordinanza custodiale.
Con il suo ricorso, l’indagato contesta tale assunto del Tribunale, che ha escluso la desumibilità dagli atti dei fatti di reato successivi sulla base del semplice dato temporale relativo ad ulteriori acquisizioni investigative ed alla conclusiva informativa di polizia giudiziaria, senza rilevare che, almeno in parte, le prime erano comunque precedenti alla data di rinvio a giudizio nel diverso processo per i fatti oggetto del primo titolo custodiale, e comunque omettendo la necessaria valutazione di decisività di tali atti ai fini del quadro di gravità indiziaria a carico, e non anche degli altri ipotetici sodali.
Premesso, dunque, con richiami di giurisprudenza di legittimità, che la “desumibilità dagli atti” non va considerata come completezza e definitività del quadro indiziario, bensì solo come gravità dello stesso, il ricorso passa in rassegna le risultanze investigative, ed in particolare i decreti d’urgenza e le richieste d proroga delle intercettazioni avanzati dal Pubblico ministero, per rilevare come tale organo avesse chiara contezza dei fatti oggetto della seconda ordinanza sin da molto tempo prima dell’arresto del Querulo e del suo rinvio a giudizio del 2021. D’altronde – si evidenzia – quell’autorità ha dato continui spunti all’attività investigativa, autorizzando operazioni di osservazione, pedinamento, videoriprese, acquisto simulato di stupefacenti e ritardati arresti, ed anche l’ordinanza custodiale dà atto che gli indizi del reato associativo si sviluppavano già da maggio del 2020.
Ha depositato memoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso, in quanto funzionale ad un giudizio di merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’impugnazione non ha fondamento.
La regola di riferimento non è discussa, derivando da una giurisprudenza di legittimità ormai consolidatasi da anni.
Trattandosi di titoli custodiali emessi in procedimenti penali distinti e per fatt diversi, ma – secondo quanto ritenuto dal Tribunale – avvinti da connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., opera se quelli oggetto dell’ordinanza cautelare successiva siano desumibili dagli atti del relativo procedimento prima del rinvio a giudizio per quelli oggetto della ordinanza precedente (Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, Rahulia, Rv. 231058, ribadita da Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, Librato, Rv. 235909).
Quanto, poi, alla “desumibilità” dagli atti, questa non consiste nella mera conoscenza o conoscibilità dei fatti che hanno condotto all’adozione della seconda misura, presupponendo, invece, la sussistenza di una situazione indiziaria di tale gravità e completezza, da legittimare l’adozione della misura cautelare (così, tra molte altre, Sez. 6, n. 54452 del 06/11/2018, Tedde, Rv. 274752). Deve trattarsi, cioè, di un compendio, documentale o dichiarativo, che abbia in sé una specifica significatività processuale, tale da consentire al Pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo alla richiesta e all’adozione di una misur cautelare (Sez. 6, n. 48565 del 06/10/2016, Connmisso, Rv. 268391; Sez. 3, n. 46158 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 265437; Sez. 4, n. 15451 del 14/03/2012, COGNOME, Rv. 253509). Così che, in particolare, detta situazione non può farsi coincidere con la materiale disponibilità della informativa di reato, ove questa riassuma i dati investigativi e gli elementi di prova progressivamente acquisiti, bensì con il momento in cui il contenuto di essa possa considerarsi recepito dall’autorità inquirente, dovendo perciò considerarsi anche il tempo obiettivamente occorrente a quest’ultima per una lettura ponderata del relativo materiale (Sez. 1, n. 12906 del 17/03/2010, Cava, Rv. 246839).
Tanto premesso, nello specifico non v’è dubbio che parte delle acquisizioni investigative valorizzate dal secondo titolo custodiale siano intervenute successivamente a! rinvio a giudizio del COGNOME nel distinto processo per i reati oggetto della precedente ordinanza cautelare.
La difesa, dal suo canto, prova a tenere in disparte quelle emergenze ed a sostenere la sufficienza, ai fini del giudizio di gravità indiziaria, del materi istruttorio già in possesso del Pubblico ministero, ciò deducendo dalle motivazioni
dei provvedimenti autorizzativi delle intercettazioni e dalle altre iniziativ investigative adottate da quell’ufficio.
Si tratta di un’operazione epistemica che non è corretta: anzitutto, perché non è sostenuta da una puntuale spiegazione dell’eventuale irrilevanza delle predette acquisizioni investigative successive rispetto alla posizione del ricorrente, da valutarsi non disgiuntamente da quella degli altri indagati ma nell’àmbito del contesto collettivo di riferimento, dal momento che si procede per un reato associativo; in secondo luogo, perché esamina separatamente le singole iniziative del Pubblico ministero, senza una visione d’insieme dei risultati investigativi, invece necessaria per il giudizio di gravità indiziaria in materia di reati associativi
In tale prospettiva, nient’affatto peregrina – come invece il ricorso vorrebbe – ma, anzi, decisamente pertinente si presenta l’osservazione del Tribunale per cui le intercettazioni richiedono solo indizi di reato, e non di colpevolezza, e, peraltro, nella materia dei “reati di mafia”, soltanto sufficienti e non gravi: ta provvedimenti, pertanto, non possono costituire un valido parametro di riferimento per dedurne l’esistenza di un quadro indiziario completo, o almeno tendenzialmente tale, in coerenza, del resto, con la loro natura di “mezzi di ricerca della prova” e non di “mezzi di prova”.
Da ultimo, a tutto questo si aggiunga che, stando all’incolpazione provvisoria, l’ipotizzata associazione per delinquere si sarebbe protratta fino ad ottobre del 2022, quindi ad epoca successiva alla prima condotta delittuosa ed alla relativa ordinanza custodiale (emessa, come detto, nell’ottobre del 2021), venendo perciò meno il presupposto essenziale per l’operatività del divieto di “contestazione a catena”: l’anteriorità di tutti i reati, cioè, rispetto al primo provvedimen custodiale.
Né può ritenersi che così non sia avvenuto per il ricorrente, perché la sua partecipazione al sodalizio sarebbe cessata al momento del suo precedente arresto: nell’ordinanza impugnata, infatti, viene specificamente indicata una conversazione tra due aderenti a quella stessa compagine, che, successivamente a tale provvedimento ed in relazione ai fatti oggetto di esso, si preoccupano di individuare per lui un diverso difensore, a riprova della non verificatasi dissoluzione del pactum scelerum.
4. Il ricorso, dunque, dev’essere respinto.
Al rigetto segue per legge la condanna del proponente a pagamento delle spese di giudizio (art. 616, cod. proc. pen.).
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria peer gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2024.