Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 310 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 310 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato a Messina 1’1/8/1969
avverso l’ordinanza del 5/4/2024 emessa dal Tribunale di Messina visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avvocato NOME COGNOME il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame confermava l’ordinanza con la quale NOME COGNOME era stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere, in quanl:o gravemente indiziato di far parte di un’associazione dedita al traffico di stupefacenti.
Il ricorrente ha proposto due motivi di innpugnazione.
2.1. Con il primo motivo, deduce la violazione dell’art. 297 cod. proc. pen., sostenendo che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso l’applicazione della disciplina della retrodatazione dell’ordinanza cautelare.
La difesa rappresenta che l’indagato era stato arrestato in flagranza del reato di cui all’art. 73, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 in data 5 maggio 2022 e, in quel procedimento, era stato definitivamente condannato. Gli elementi di conoscenza che avevano condotto all’arresto in flagranza avrebbero già consentito di adottare la misura cautelare anche per il reato di cui all’art. 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, stante l’evidente connessione tra i fatti accertati, tant’è che il trasporto di stupefacente accertato nel 2022 era indicato nella successiva misura cautelare quale uno degli elementi di riscontro della contestazione associativa.
2.2. Con il secondo motivo, deduce il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, sottolineando come – a seguito dell’arresto intervenuto nel 2022 – e della successiva sottoposizione agli arresti domiciliari, non erano emersi elementi ulteriori dai quali desumere l’attualità del pericolo di reiterazione, dovendosi ritenere che fin dal 2022 i legami con l’associazione si erano interrotti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo è infondato.
Prima di procedere all’esame della questione dedotta con il ricorso, è opportuno precisare l’assetto attuale dell’istituto della retrodatazione, che può essere così sinteticamente riassunto:
nel caso di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera automaticamente, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, l’esistenza di elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda ordinanza (Sez.U., n.2195:7 del 22/03/2005, Rahulia, Rv.231057);
nel caso di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per fatti non legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera solo se al momento della emissione della prima ordinanza esistevano elementi idonei a giustificare la misura adottata con la seconda ordinanza;
nel caso di ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare (Sez.U., n.21957 del 22/03/2005, Rahulia, Rv.231058);
nel caso di ordinanze cautelari emesse per fatti diversi, non legati da connessione qualificata, in procedimenti diversi, la retrodatazione opera quando gli elementi giustificativi della seconda misura cautelare erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero (Sez.U., n.14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv.235911);
a seguito della pronuncia resa da Corte cost., sent.n. 233 del 2011, l’istituto della retrodatazione è stato dichiarato applicabile anche nel caso in cui, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato, emessa anteriormente all’adozione della seconda misura cautelare, il cui termine di durata deve essere, pertanto, fatto regredire alla data di applicazione della prima
misura.
2.1. A fronte delle molteplici ipotesi di applicazione della retrodatazione, il ricorrente sembrerebbe invocare il caso dei procedimenti distinti concernenti reati connessi.
Deve premettersi che il Tribunale del riesame ha posto in dubbio che tra i fatti che avevano condotto all’arresto in flagranza nel 2022 e la successiva contestazione per il reato associativo sussistesse una connessione qualificata.
Tale affermazione, invero, non viene adeguatamente motivata, essendosi il Tribunale limitato a richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il riconoscimento della continuazione non discende dal solo fatto che un reato-fine sia stato commesso nell’ambito di un’attività associativa, senza verificare se, nel caso concreto, tale regola fosse o meno applicabile.
Deve, tuttavia, rilevarsi come l’errore in cui è incorso il Tribunale non inficia la decisione, posto che è stata ugualmente vagliato l’ulteriore requisito richiesto per la retrodatazione dei termini di durata della misura cautelare, consistente nella desunnibilità dagli atti, al momento del rinvio a giudizio nel primo procedimento, degli elementi che hanno condotto all’adozione della seconda misura cautelare (Sez.U., n.21957 del 22/03/2005, Rahulia, Rv.231058).
Il Tribunale ha evidenziato come la compiuta ricostruzione di tutti gli elementi di indagine che hanno consentito di formulare l’imputazione per il reato associativo
e, quindi, per la successiva richiesta di custodia cautelare, sono emersi con l’informativa finale redatta nel maggio 2023 e, quindi, in epoca successiva rispetto al rinvio a giudizio disposto in relazione ai fatti che avevano condotto all’arresto in flagranza del ricorrente (così pg.6 ordinanza).
Si tratta di un dato dirimente, dovendo trovare applicazione il consolidato principio secondo cui in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di anteriore “desumibilità”, dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, consiste non nella mera conoscibilità storica di determinate evenienze fattuali, ma nella condizione di conoscenza derivata da un determinato compendio documentale o dichiarativo che consenta al pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, alla richiesta e alla adozione di una nuova misura cautelare (Sez.3, n. 48034 del 25/10/2019, COGNOME, Rv.277351-02).
Più in generale, si è ritenuto che la nozione di anteriore desumibilità delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, non va confusa con quella di semplice conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze fattuali, ma si individua nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano una specifica “significanza processuale” (Sez.6, n. 11807 dell’11/2/2013, COGNOME, Rv. 255722).
Tale principio è perfettamente calzante con riguardo al caso di specie, concernente i rapporti tra una singola ipotesi di detenzione illecita di stupefacenti e la partecipazione al reato di cui all’art. 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, essendo del tutto evidente che gli elementi indiziari comprovanti l’ipotesi associativa presuppongono una molteplicità di dati, non evincibili dal mero accertamento di una singola detenzione.
Peraltro, deve aggiungersi che in tema di contestazioni a catena, la parte che nel procedimento di riesame invoca l’applicazione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare ha l’onere di fornire la prova della esistenza di una connessione qualificata e della desunnibilità dagli atti del fatto oggetto della seconda ordinanza già al momento dell’emissione del primo provvedimento, quali condizioni che legittimano l’operatività della disciplina prevista dall’art. 297, comnna terzo, cod. proc. pen. (Sez.3, n. 18671 del 15/1/2015, COGNOME, Rv. 263511)
Il ricorrente è venuto meno a tale onere, non avendo specificato se ed in che
misura sussistessero tutti i presupposti richiesti per la retrodatazione.
2.2. Deve precisarsi che si sarebbe potuti giungere a diverse conclusioni solo nell’ipotesi – diversa da quella in esame – in cui le ordinanze cautelari, relative a fatti connessi, fossero state emesse nel “medesimo procedimento”.
In tal caso, infatti, avrebbe trovato applicazione la più stringente regola dettata dalla prima parte dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., in base alla quale, a fronte di ordinanze cautelari emesse nello “stesso procedimento” per fatti legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera automaticamente, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, l’esistenza di elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda ordinanza (Sez.U., n.21957 del 22/03/2005, Rahulia, Rv.231057).
Tale principio, tuttavia, non è applicabile al caso di specie, posto che i procedimenti in cui sono stati emessi la prima e la seconda ordinanza cautelare sono separati.
Né tale dato formale può ritenersi superabile sulla base della mera valorizzazione della connessione qualificata esistente tra i reati in esame.
Deve ribadirsi il principio recentemente affermato secondo cui ai fini della retrodatazione della decorrenza dei termini custodiali, l’identità ovvero la diversità tra il procedimento nell’ambito del quale è stata emessa la prima ordinanza e quello in cui è stata emessa la seconda non può trarsi dal dato della connessione qualificata tra i reati che ne formano oggetto ex art. 12, cod. proc. pen., dovendo, invece, farsi riferimento al dato formale dell’iscrizione delle notizie di reato nel registro di cui all’art. 335, cod. proc. pen.
Né può addivenirsi a diverse conclusioni valorizzando la nozione sostanziale di unicità del procedimento individuata dalle Sezioni Unite n. 51 del 28/11/2019, COGNOME, che riguarda esclusivamente la specifica disciplina delle intercettazioni e non può essere trasposta in ambiti processuali diversi (Sez.4, n. 29174 del 15/5/24, De Mitri, Rv. 286655).
2.3. Sulla base di tali premesse, deve ribadirsi il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui in tema di “contestazione a catena”, quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen. opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza (Sez.U., n.14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv.235909).
Il secondo motivo è manifestamente infondato, posto che il ricorrente neppure si confronta con l’applicabilità della doppia presunzione prevista dall’art. 275 cod. proc. pen. ed espressamente evocata dal Tribunale.
Peraltro, l’esclusiva idoneità della custodia cautelare in carcere è stata desunta anche dalle modalità della condotta e dal fatto che il ricorrente abbia proseguito nell’attività illecita anche dopo i primi arresti che hanno coinvolto altri appartenenti al sodalizio. A fronte di tali specifici indici di attualità delle esigen cautelari, non è dirimente la circostanza che l’indagato, nel periodo in cui è stato sottoposto agli arresti donniciliari nell’ambito del procedimento già definito, non abbia reiterato le condotte illecite.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempinnenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.att. cod. proc. pen.
Così deciso il 16 ottobre 2024
Il Pr