Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23944 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23944 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 05/08/1995
avverso l’ordinanza del 03/03/2025 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di NAPOLI
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME con le quali si è chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli – sezione del riesame.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza pronunciata a norma dell’art. 310 codice di rito, il Tribunale di Napoli ha rigettato l’appello promosso nell’interesse di NOME avverso il provvedimento, con il quale il GIP di quel Tribunale aveva rigettato l’istanza di declaratoria di ineffica della misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., nel procedimento penale n. 13835/2021 RGNR, per il reato di cui agli artt. 110 e 81 cpv. cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/1990 (in Napoli dal 04 al 15 maggio 2021), esclusa l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1, cod. pen., istanza formulata sull’assunto che l’ultimo degli episodi contestati al capo 16) nella o.c.c. n. 299/2024 coincidesse con il reato per quale il PACE era stato arrestato in flagranza il 15 maggio 2021 e giudicato con sentenza irrevocabile il 19/12/2022, ritenuta dal deducente la conoscibilità della piattaform indiziaria (intercettazioni che avevano condotto all’arresto in flagranza del 15/05/2021) da parte del pubblico ministero già al momento del rinvio a giudizio per il reato oggetto della prima ordinanza cautelare, le successive dichiarazioni del collaboratore giustizia COGNOME NOME avendo solo confermato quanto già emerso dalle intercettazioni.
Il Tribunale ha disatteso detta ricostruzione, condividendo le motivazioni del primo giudice e rilevando che il COGNOME era stato arrestato il 15/05/2021 in flagrante cessione di una dose di cocaina a tale COGNOME NOME e detenzione di quantitativi ulteriori della medesima sostanza finalizzata allo spaccio, oltre che per resistenza a pubblico ufficiale, arresto reso possibile grazie all’attività captativa in corso; che, con l’ordinanza oggetto d presente, più ampio procedimento, si era invece accertata l’esistenza e operatività del clan COGNOMECOGNOME e di due parallele associazioni finalizzate al narco traffico, al PACE essendo stati contestati, in questo procedimento, più fatti pp. e pp. dall’art. 73 d.P.R. 309/1990, esclusa l’aggravante mafiosa, originariamente contestata dall’accusa; che gli elementi a carico erano stati sì tratti dalle intercettazioni che avevano portato al s arresto in flagranza, dalle stesse essendo emersa una incessante attività di cessione di sostanze stupefacenti del tipo “pesante”, ma anche dalle dichiarazioni del citato COGNOME il quale, nel verbale del 21 settembre 2022, aveva riferito della esistenza di una vera e propria piazza di spaccio di cocaina gestita dal COGNOME e rifornita da COGNOME NOME, sulla quale gravava il pagamento di una quota settimanale di euro 250,00 in favore del clan COGNOME–COGNOME, nonché da ulteriori captazioni di dialoghi del citato COGNOME con tale COGNOME NOME (ritenuto, nella stessa ordinanza, intraneo al clan citato e a una delle due associazioni ex art. 74 d.P.R. n. 309/1990), elementi che avevano consentito di delineare l’entità del fenomeno osservato.
Da ciò il Tribunale ha tratto la non coincidenza della piattaforma probatoria, solo alcuni degli elementi essendo antecedenti al decreto di giudizio immediato per i fatti oggetto della prima ordinanza cautelare, quanto alle intercettazioni osservando che la loro conoscibilità e specifica pregnanza processuale si erano potute apprezzare solo con l’informativa
depositata dopo la sentenza di secondo grado per i fatti già giudicati, laddove le dichiarazioni del COGNOME erano state successive e tali da aver configurato, nell’ottica del pubblico ministero, l’aggravante mafiosa, ostando dunque all’invocata retrodatazione la mancanza della desumibilità degli elementi giustificativi del secondo titolo dagli att disponibili allorché era stato disposto il rinvio a giudizio nel diverso procedimento, n quale la prima ordinanza era stata emessa all’esito dell’arresto in flagranza e sulla base degli elementi riversati nel verbale di arresto e relativi allegati.
La difesa dell’indagato ha proposto ricorso, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto vizio della motivazione quanto alla valutazione in ordine alla non operatività del meccanismo di retrodatazione di cui all’art. 297 , , comma 3, cod. proc. pen., esistendo un nesso di connessione qualificata tra il reato di cui al capo 16) contestato nell’ordinanza n. 299/2024 e quello per il quale il PACE è in espiazione della pena, connessione che deriva dal vincolo della continuazione che rende ancor più fondata la ricorrenza dei presupposti della retrodatazione. Aggiunge la difesa che la piattaforma indiziaria che ha dato la stura al presente procedimento era già pienamente conoscibile dagli inquirenti al momento della prima richiesta di rinvio a giudizio per l’episodio del 15/05/2021 e che le dichiarazioni de collaboratore sarebbero irrilevanti, atteso che nei confronti dell’istante è stata esclus l’aggravante mafiosa, laddove del tutto illogica dovrebbe ritenersi l’affermazione che la significanza processuale delle captazioni sarebbe apprezzabile solo con l’informativa del giugno 2022, avendo la stessa un contenuto meramente riepilogativo di fatti ben noti all’ufficio di procura.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli-sezione del riesame.
Considerato in diritto
Il ricorso va rigettato per infondatezza del motivo.
Quanto al tema della c.d. retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare in ipotesi di “contestazioni a catena”, deve intanto ricordarsi che la finali dell’invocato istituto è quella di evitare che la rigorosa predeterminazione dei termini d durata massima delle misure cautelari possa essere elusa tramite la diluizione nel tempo di due o più provvedimenti restrittivi nei confronti della stessa persona. In particolare, come sottolineato dal giudice delle leggi, il nucleo di disvalore del fenomeno risied nell’impedimento, ad esso conseguente, al contemporaneo decorso dei termini relativi a plurimi titoli custodiali nei confronti del medesimo soggetto, essendo a tal fine insufficien la sola previsione di cui all’art. 303, cod. proc. pen., in difetto di adeguati correttiv impediscano l’effetto di espandere la restrizione complessiva della libertà personale
dell’imputato, tramite il “cumulo materiale” dei periodi custodiali afferenti a ciascun rea (in motivazione, Corte cost. n. 293 del 2013).
Il tenore delle doglianze difensive impone, tuttavia, di operare una premessa generale che tenga conto dei principi formulati in materia sia dal giudice delle leggi con la sentenza richiamata, che dal giudice di legittimità.
I giudici della Consulta hanno ritenuto la illegittimità costituzionale dell’art. 309, proc. pen., alla stregua del parametro di cui all’art. 3 Cost., ove interpretato nel senso ch la deducibilità, nel procedimento del riesame, della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari, prevista dall’art. 297, comma 3, del medesimo codice, sia subordinata – oltre che alla condizione che, per effetto della retrodatazione, il termine sia già scaduto al momento dell’emissione dell’ordinanza cautelare impugnata – anche a quella che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino da detta ordinanza (c.d. desumibilità).
Come ricordato dal giudice delle leggi, l’interpretazione della norma è il precipitato di u intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, compositivo di un contrasto tra un indirizzo tradizionale che negava la cognizione del giudice del riesame circa la verifica delle condizioni per la retrodatazione e uno di diverso segno, secondo il quale la retrodatazione sarebbe deducibile in sede di riesame, quantomeno allorché, per effetto di essa, i termini massimi risultino già spirati alla data di adozione della ordinanza impugnata e sempre che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino dall’ordinanza cautelare (Sez. U, n. 452 del 19/7/2012, Polcino, Rv. 253549 – 01; conf. Sez. U, n. 45247 del 2012, COGNOME, n.m.).
Il giudice delle leggi, nell’intervento sopra richiamato, ha precisato che la seconda condizione limitativa si prestava a determinare situazioni di disparità di trattamento tr soggetti che versavano in situazioni identiche e per fattori puramente accidentali, finendo per dipendere l’ampiezza della cognizione del giudice del riesame dalla puntualità delle indicazioni ricavabili dal provvedimento coercitivo impugnato.
Dal canto suo, la giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che, ai fini de operatività della regula iuris in commento, è necessaria la sussistenza di indizi univoci e idonei a fondare una compiuta affermazione di responsabilità cautelare. Da ciò consegue, per esempio, che la pregressa esistenza di una serie di dichiarazioni di un collaboratore di giustizia o di un co-indagato non possono essere ritenuti rilevanti se, al momento delle dichiarazioni, non esisteva già un compendio che potesse essere di riscontro alle stesse (Sez. 2, n. 13834 del 16/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269680 – 01).
Di qui il principio, formulato in relazione alla prima delle due condizioni, secondo il qual nel procedimento di riesame non è deducibile la questione relativa all’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza di custodia cautelare per decorrenza dei termini di fase, in relazione all’asserita contestazione a catena, salvo che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione dell’ordinanza tali termini fossero già scaduti, in quanto si tratta di vizio che non intacca l’intrinseca legittimità dell’ordinanza, ma agisce sul pian dell’efficacia della misura cautelare (Sez. 4, n. 48094 del 11/7/2017, COGNOME, Rv. 271168 – 01, in cui, in motivazione la S.C. ha precisato che la questione del diritto all
scarcerazione per decorrenza dei termini, da calcolarsi al momento dell’esecuzione del primo titolo custodiale, deve essere proposta al giudice per le indagini preliminari con istanza ai sensi dell’art. 306, cod. proc. pen. e, successivamente, in caso di provvedimento reiettivo, al tribunale in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen.; Sez. 3, n. 48034 d 25/10/2019, COGNOME, Rv. 277351 – 01; Sez. 2, n. 13021 del 10/3/2015, Belgio, Rv. 262933 – 01).
3. Nella specie, correttamente la difesa ha formulato istanza al giudice procedente, impugnandone il rigetto ex art. 310, codice di rito. Tuttavia, con riferimento alla nozione d anteriore “desumibilità” dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare delle fo indiziarie poste a fondamento di quella successiva, ha omesso di considerare che essa non coincide con la mera conoscibilità storica di determinate evenienze fattuali, come sostenuto nel ricorso, ma con una condizione di conoscenza derivata da un determinato compendio documentale o dichiarativo che consenta al pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, alla richiesta e alla adozione di una nuova misura cautelare (Sez. 3, n. 48034 del 25/10/2019, COGNOME, cit., Rv. 277351-02, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione del tribunale che ave escluso la retrodatazione in quanto l’informativa finale relativa ai fatti per i quali era emesso il secondo titolo cautelare era stata depositata due mesi dopo l’applicazione della prima ordinanza, intervenuta a seguito di arresto in flagranza, quando non sussisteva altro elemento per ipotizzare il coinvolgimento dei ricorrenti negli episodi, quantunque commessi in precedenza, contestati con la seconda; Sez. 1,n. 27658 del 12/4/2013, Pelle, Rv. 254005 – 01; Sez. 4, n. 16343 del 29/03/2023, COGNOME, Rv. 284464 – 01, in cui si è affermato che la nozione di “anteriore desumibilità”, dagli atti inerenti alla prima ordinanz cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, richiede che, al momento del rinvio a giudizio nel primo procedimento, l’autorità giudiziaria sia in grado di desumere, e non solo di conoscere, la specifica significanza processuale, intesa come idoneità a fondare una richiesta di misura cautelare, degli elementi relativi al reato sul quale si fonda l’adozione del successivo provvedimento cautelare per reato connesso, il cui compendio indiziario deve manifestare già la propria portata dimostrativa e non richiedere ulteriori indagini o elaborazione degli elementi probatori acquisiti, ch rendano necessaria la separazione o la distinta iscrizione delle notizie di reato connesso). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Di tutto ciò non ha tenuto conto la difesa, invero limitatasi a reiterare il tema de desumibilità dagli atti degli elementi posti a fondamento del secondo titolo, già al momento dell’emissione del primo, senza un efficace confronto con quanto affermato dal Tribunale in ordine alle successive acquisizioni probatorie (tra cui il riferito di un collaboratore), riversato in un’informativa solo successivamente depositata, alla stregua della quale è stato definito un ben più ampio contesto criminoso, nel quale sono state inquadrate le condotte ascritte al PACE.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e la trasmissione degli atti alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Deciso il 24 giugno 2025
La Consigliera est.
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