Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26948 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26948 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PESCARA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/03/2024 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di PESCARA in difesa di COGNOME NOME, che chiede raccoglimento del ricorso con conseguente l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata: a tal proposito l’avvocato deposita la massima n. 46976 del 2011.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Reggio Calabria adito ai sensi dell’art.310 cod.proc.pen. – ha parzialmente accolto l’appel proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa il 22/01/2024 dal GIP presso lo stesso Tribunale e con la quale era stata integralmente rigettata l’istanza finalizzata alla dichiarazione di inefficacia della mi cautelare disposta in forza dell’ordinanza emessa dallo stesso Ufficio i 13/03/2023, in relazione al disposto dell’art.297 cod.proc.pen. e in relazio all’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli il 25/10/2022, alla cui data era stata chiesta la retrodatazione della seconda misura cautelare
In sede di ordinanza appellata, il GIP ha rilevato che sussisteva i presupposto dell’anteriorità dei fatti contestati nella seconda ordinan rispetto a quelli oggetto dell’ordinanza emessa dal GIP di Napoli; che, tr alcuni dei fatti contestati nelle due ordinanze, sussisteva identità, specifico riferimento ai fatti contestati ai capi B16 e B17 dell’ordinan reggina e il capo GG dell’ordinanza napoletana oltre che del reato associativo contestato ai sensi dell’art.74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 in entramb procedimenti; ha peraltro rilevato che non sussisteva il requisito del desumibilità dagli atti in ordine a tutti i fatti contestati nell’ordinanza de dì Reggio Calabria, con l’eccezione del reato associativo e per l’episodio del consegna di 7 kg di cocaina di cui al capo B17 dell’ordinanza del GIP di Napoli e al capo GG di quella del GIP di Reggio Calabria.
Il GIP ha quindi osservato che, nel caso di specie, in data 16/11/2022 era stata eseguita l’ordinanza del GIP di Napoli del 25/10/2022;che – a seguito della declaratoria di incompetenza pronunciata dal GUP – gli atti erano stati trasmessi alla Procura di Reggio Calabria e che, in dat 25/10/2023, il GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria aveva disposto il rinnovo della misura della custodia in carcere; che, ai sensi dell’art.3 comma 2, cod.proc.pen., nel caso in cui il procedimento sia stato rinviato ad altro giudice, i termini di custodia cautelare decorrono ex novo; che, di conseguenza, dal giorno del provvedimento di trasmissione degli atti per incompetenza (6/10/2023) era nuovamente decorso il termine di fase, pari a un anno, non completamente trascorso nel caso di specie; che, pertanto, doveva ritenersi pienamente efficace anche la misura disposta il 13/03/2023 dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria, atteso che non si era verificat alcuna indebita dilatazione temporale.
Il Tribunale, adito in sede di appello, ha premesso che – come peraltro rilevato dal primo giudice – i fatti oggetto di contestazione nell’amb
dell’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria il 13/03/2023 erano anteriori all’emissione del primo titolo cautelare, ovvero l’ordinanza emessa il 25/10/2022 dal GIP presso il Tribunale di Napoli; che non sussistevano dubbi in ordine all’identità del fatto associativo contesta nei due procedimenti; che, allo stesso modo, andava riconosciuta l’identità dei fatti oggetto dei capi B16 e B17 dell’ordinanza del GIP reggino rispetto al capo GG dell’ordinanza emessa dal GIP napoletano; che il fatto contestato al capo B20 dell’ordinanza del GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria era stata oggetto di contestazione del più ampio capo di imputazione FF dell’ordinanza napoletana; mentre a diverse conclusioni doveva giungersi in relazione ai fatti contestati ai capi B13, B14 e B15, trattandosi di fatti div rispetto a quelli presi in considerazione dal GIP presso il Tribunale di Napoli
Il Collegio ha quindi ritenuto decorsi per i capi B, B16, B17, B20 e B23 i termini di fase in relazione al meccanismo della retrodatazione, ma ha ritenuto di dovere dichiarare la perdita di efficacia della misura in relazio al solo capo B, non sussistendo per gli altri reati fine l’inter dell’appellante a una scarcerazione solo formale, permanendo lo stato di detenzione in relazione ai capi B13, B14 e B15; ritenendo, invece, di giungere a diverse conclusioni in ordine al solo reato associativo, attesa sussistenza di un interesse collegato alla presunzione dettata dall’art.27 comma 3, cod.proc.pen..
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore, articolando un unitario motivo d impugnazione con il quale ha dedotto la violazione di legge penale e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 297, 12, 303 e 310 cod.proc.pen. all’art.6 della CEDU e agli artt. 24 e 111 Cost..
Ha dedotto che erroneamente il Tribunale non avrebbe riconosciuto la retrodatazione in riferimento ai capi B13, B14 e B15 contestati nell’ordinanza emessa dal GIP di Reggio Calabria, in quanto ritenuti fatti diversi rispetto quelli già valutati dall’ordinanza del GIP di Napoli; ha esposto che non s sarebbe stati in presenza di fatti diversi ma semmai di fatti valut cautelarmente in modo differente, atteso che il GIP di Napoli non aveva applicato per gli stessi alcuna misura a differenza del giudice reggino, m vedendosi in tema di fatti già noti e circostanziati nell’informativa di P.G. 18/03/2022 e quindi comunque desumibili al momento dell’emissione del primo titolo cautelare, attesa l’identità del materiale probatorio e atteso l’ordinanza del GIP di Reggio Calabria si fondava su un’informativa depositata un mese prima dell’emissione della misura cautelare da parte del
GIP di Napoli; ha altresì dedotto che doveva ritenersi errata la valutazion del Tribunale in punto di esclusione del vincolo della connessione ai sensi dell’art.12, comma 1, lett.b), cod.proc.pen., in quanto – in relazione a sentenza n.408/2005 della Corte Costituzionale – la retrodatazione doveva ritenersi operante in tutti i casi in cui gli elementi idonei all’emissione nuova ordinanza fossero già desumibili al momento di emissione di quella precedente; ha altresì censurato la decisione del Tribunale nella parte in cu aveva ritenuto la carenza di interesse alla scarcerazione solo formale riferit ai capi B16, B17, B20 e B23.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, nelle qual ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Oggetto dell’unitario motivo di ricorso proposto dalla difesa dell’istante è la censura alla valutazione del Tribunale nella parte in cui astrattamente riconoscendo la sussistenza dei presupposti alla base del meccanismo di retrodatazione previsto dall’art.297, comma 3, cod.proc.pen. – ha ritenuto, in ordine ai reati contestati ai capi B13, B14 e B15 dell’ordinan emessa dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria, la diversità di tali fat rispetto a quelli contestati nel primo titolo cautelare; assumendo comunque non sussistente una connessione qualificata rilevante ai sensi della suddett disposizione con il reato associativo e argomentando, peraltro, in ordine a non desunnibilità dei fatti contestati nella successiva ordinanza in riferiment a quelli posti alla base del titolo precedente.
Va quindi premesso che, con l’art. 297 cod. proc. pen., il legislatore del 1989 ha inteso codificare la regula iuris, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale – formatasi sotto il previgente codice di rito – de “contestazione a catena”, con la quale si era stabilita una deroga al princip della decorrenza autonoma dei termini di durata massima della custodia in relazione a ciascun titolo cautelare; tanto al fine di evitare il fenomeno de “diluizione” nel tempo della “carcerazione provvisoria”, attuata mediante l’emissione, in momenti diversi, nei confronti del medesimo soggetto, di una pluralità di provvedimenti coercitivi riguardanti il medesimo fatto
diversamente qualificato o circostanziato, ovvero concernenti fatti di reat diversi ma connessi tra loro.
Nel suo testo originario l’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. (che riprendeva la disposizione da ultimo appositamente introdotta nel codice abrogato dalla legge n. 398 del 1984) prevedeva che la decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare applicata con un’ordinanza si sarebbe dovuta retrodatare al momento dell’esecuzione di altra precedente ordinanza cautelare, laddove i due provvedimenti avessero riguardato lo stesso fatto, ovvero più fatti in concorso formale tra loro, oppure integra ipotesi di aberratio delicti o di aberratio ictus plurioffensiva.
Sull’impianto originario della norma il legislatore è, tuttavia intervenu già nel 1995, da un lato modificandone l’ambito applicativo, con la previsione dell’operatività del meccanismo di retrodatazione esclusivamente con riferimento ai casi di connessione qualificata ai sensi dell’art. 12 cod. p pen., lett. b) (continuazione tra i reati) e c), limitatamente all’ipotesi d commessi per eseguire gli altri (connessione teleologia); dall’altr introducendo una regola generale di retrodatazione “automatica” («se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura… i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave»).
Si è peraltro di specificato che tale ultimo automatismo non sarebbe stato applicabile, laddove la seconda ordinanza cautelare fosse stata emessa dopo il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza ( disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti no desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il q sussiste connessione ai sensi del presente comma»).
L’ambito di operatività della disposizione in esame veniva, però, ampliato per effetto della sentenza additiva n. 408 del 2005, con la quale Corte costituzionale dichiarava l’illegittimità dell’art. 297 cod. proc. p comma 3, nella parte in cui “non si applica anche a fatti diversi non connessi quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza”; ed ulteriormente precisata dalla sentenza n. 233 del 2011, con la quale giudici delle leggi, in dissonanza rispetto ad un contrario orientamento ch emergeva dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, dichiarava la illegittimità dello stesso art. 297 comma nella parte in cui, con riferimento a ordinanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi, non prevedeva che la regola in tema di decorrenza dei termini in esso stabilita si applica anche quando, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l’imputato fos
stato condanNOME con sentenza passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura.
A chiarire ulteriormente la portata applicativa della norma sono poi intervenute due pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte Suprema del 2005 e del 2006 (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006 dep. 2007, COGNOME, Rv. 235909-10-11; Sez. U, n. 21957 del 22/3/2005, COGNOME, Rv. 231057-8-9).
Applicando i principi espressi in tali pronunce, con riguardo all contestazione di reati diversi, variamente collegabili tra loro, è possibile linea schematica – riconoscere tre distinte situazioni, alle quali corrispondo altrettante, distinte regole operative.
4.1 Comune a tutti e tre i casi è la necessità, perché si possa parlare “contestazione a catena” e conseguentemente possa trovare applicazione la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare, che i reati oggetto della ordinanza cautela cronologicamente posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore (in questo senso, ex plurimis, Sez. 6, n. 31441 del 24/4/2012, COGNOME, RV. NUMERO_DOCUMENTO).
La prima fattispecie è quella in cui le due (o più) ordinanze applicative di misure cautelari personali abbiano ad oggetto fatti-reato legati tra loro concorso formale, continuazione o da connessione teleologica (casi di connessione qualificata), e per le imputazioni oggetto del primo provvedimento coercitivo non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio.
In tal caso trova applicazione la disposizione dettata dal primo periodo dell’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, che non lascia alcun dubbio sul fatt che la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della misura o delle misure applicate successivamente alla prima operi automaticamente e, dunque – come affermano le Sezioni unite di questa Corte “indipendentemente dalla possibilità, al momento della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinan successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le rela misure”.
Si ha, in altri termini, in tal caso un’automatica retrodatazione del decorrenza dei termini di custodia cautelare che risponde all’esigenza “di mantenere la durata della custodia cautelare nei limiti stabili dalla legg anche quando nel corso delle indagini emergono fatti diversi legati da connessione qualificata” (così C. Cost., 28 marzo 1996, n. 89), e che si
determina solo se le ordinanze siano state emesse nello stesso procedimento penale (così Sez. U, n. 14535/2007 COGNOME, cit).
4.2 La seconda fattispecie è molto simile alla prima, verificandosi comunque allorquando sia accertatal’esistenza, tra i fatti oggetto delle pluri ordinanze cautelari, di una delle tre forme di connessione qualificata di cui è detto, ma presuppone l’intervenuta emissione del decreto di rinvio a giudizio per i fatti posti alla base del primo provvedimento coercitivo.
Tale ipotesi si realizza, dunque, in casi in cui le due o più ordinanze sia state emesse in distinti procedimenti penali e, secondo il dictum delle più volte richiamate Sezioni Unite, si palesa irrilevante che gli stessi derivino da procedimento inizialmente unico, in virtù dell’avvenuta separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che i due procedimenti abbiano avuto autonome origini.
In tali casi si applica la regola dettata dal secondo periodo dell’art. cod. proc. pen., comma 3, derivandone che la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti eran desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza.
In tal senso, anche le pronunce più recenti di questa Corte Suprema hanno ribadito che, quando nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessi qualificata, opera la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma terzo, co proc. pen. anche rispetto ai fatti oggetto di un procedimento “diverso”, s questi erano desumibili dagli atti anteriormente al rinvio a giudizio dispos per il fatto oggetto della prima ordinanza (cfr. Sez. 1, n. 27658 del 12/4/201 Pelle, Rv. 254005; conf. Sez. 6, n. 50128 del 21/11/2013; Pepa, Rv. 258500).
La terza possibile situazione che può profilarsi è quella in cui tra i f oggetto dei due provvedimenti cautelari non esista alcuna ipotesi di connessione ovvero sia configurabile una forma di connessione non qualificata, cioè diversa da quelle sopra considerate del concorso formale della continuazione o del nesso teleologico (per quest’ultimo, nei limiti fiss dal codice).
Tale fattispecie, che in passato si riteneva pacificamente non coperta dall’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, oggi rientra nel campo di applicazione di tale norma per effetto del dictum, prima delle Sezioni Unite con la sentenza COGNOME (Sez. Un. n. 21957 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231059) e poi della sentenza “manipolativa” della Consulta n. 408 del 2005, è dunque quella delle ordinanze cautelari emesse nello “stesso procedimento”; risultando quindi
che, per fatti non legati da connessione qualificata, in cui la retrodatazi opera solo in relazione e specifico presupposto, ovvero che, al momento dell’emissione della prima ordinanza, esistevano elementi idonei a giustificar la misura adottata con la seconda ordinanza.
La Corte, nella sentenza citata, ha osservato come sia comune alla seconda ed alla terza delle ipotesi appena esaminate il carattere no automatico della retrodatazione e la necessità, per il giudice dinanzi al qu essa è invocata, di verificare la “desumibilità”, dagli atti del procedime precedente, dei fatti posti ad oggetto della ordinanza custodiale successiva.
Elemento in relazione al quale, la giurisprudenza di questa Corte ha – a propria volta – precisato che per l’anteriore desumibilità dagli atti del oggetto della seconda ordinanza, emessa in un diverso procedimento e per fatti diversi e non legati da un rapporto di connessione qualificata con i pri è necessario valutare che il quadro legittimante l’adozione della misur cautelare sussista sin dal momento di emissione del primo provvedimento, non essendo sufficiente a tal fine la mera esistenza della notizia del fat reato, né che la successiva ordinanza si fondi su elementi probatori gi presenti nella prima, potendo gli stessi non manifestare sin dall’inizio il l significato in modo immediato ed evidente (Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020, Flandina, Rv. 279291), dovendo aversi riguardo unicamente all’emersione, in termini “quantitativi”, di un complesso di indizi valutabili in funzio dell’adozione della misura cautelare, e non anche, su un piano più specificamente “qualitativo”, all’attività di decodificazione, interpretazion compiuta elaborazione degli stessi da parte degli organi deputati alle indagin (Sez. 2, n. 18879 del 30/04/2021, Buscemi, Rv. 281230).
Pertanto, la retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della misura cautelare è dovuta “in tutti i casi in cui, pur potendo diversi provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per qualsiasi causa l’autorità giudiziaria abbia invece prescel momenti diversi per l’adozione delle singole ordinanze”.
Il giudice in tal caso è dunque chiamato a verificare se al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare non fossero desumibili, dagli atti a disposizione, gli elementi per emettere la successiva ordinanz cautelare, da intendersi – come precisato dalla Corte Costituzionale – come “elementi idonei e sufficienti per adottare” il provvedimento cronologicamente posteriore.
Tale regola vale solo se le due ordinanze siano state emesse in uno stesso procedimento penale, perché se i provvedimenti cautelari sono stati adottati in procedimenti formalmente differenti, per la retrodatazione occorre
verificare, oltre che al momento della emissione della prima ordinanza vi fossero gli elementi idonei a giustificare l’applicazione della misura dispo con la seconda ordinanza, che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frut una scelta del pubblico ministero (così Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, COGNOME, cit; conf., in seguito, su tale specifico aspetto, Sez. 2, n. 4438 25/11/2010, COGNOME, Rv. 248895; Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, COGNOME, Rv. 240099).
Questa Corte di legittimità ha precisato che in tema di contestazioni a catena, la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen non opera nel caso di misure cautelari emesse per fatti diversi, in relazione quali esiste una connessione non qualificata e che siano oggetto di distin procedimenti pendenti davanti ad autorità giudiziarie diverse per ragioni di competenza. (così Sez. 2, n. 51838 del 16/10/2013, Dimino, RV. 258104, ove in motivazione si è precisato che la diversità di competenza delle autorit giudiziarie fa ritenere che i procedimenti non avrebbero potuto essere riunit e che quindi la sequenza di provvedimenti cautelari non può essere frutto di una scelta del pubblico ministero per ritardare la decorrenza della seconda misura).
Avendo poi le Sezioni Unite di questa Corte specificato che in tema di pluralità di misure cautelari emesse in procedimenti pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi, la retrodatazione del termine di durata può riconoscer esclusivamente qualora, tra i fatti oggetto dei due provvedimenti cautelari sussista una delle ipotesi di connessione qualificata previste dall’art.2 comma 3, cod. proc. pen., consistente nel concorso formale di reati, nel reato continuato o nella connessione teleologica, limitatamente ai casi di reat commessi per eseguire gli altri (Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, Rv. 279347 – 02).
5. Esaminando, quindi, il merito delle censure spiegate nell’unitario motivo di impugnazione, il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che i fatti contestati capi B13, B14 e B15 dell’ordinanza del GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria fossero effettivamente fatti diversi; specificamente nella parte in c ha ritenuto che il reato contestato al capo B13 non sarebbe statio preso i considerazione nell’ordinanza del GIP presso il Tribunale di Napoli, mentre quelli di cui ai capi B14 e B15 non troverebbero riscontro in tale ultimo provvedimento.
Va peraltro rilevato che – sul punto – il motivo di ricorso si rappresenta di fatto, come del tutto aspecifico; omettendo lo stesso qualsiasi effetti confronto con le argomentazioni spese nell’ordinanza impugnata e nella quale è stato dato atto che – attesa la diversità dei fatti, tra gli stessi (eventualmente) essere ravvisato il requisito della connessione qualificata trattandosi di fattispecie da porre in rapporto di continuazione esterna co quella contestate nell’ordinanza del GIP presso il Tribunale di Napoli.
6. Occorre quindi valutare, in riferimento ad altra e ulteriore censura spiegata nel motivo di ricorso, se – atteso il rapporto di connessione qualifica (comunque, in relazione a passaggio della motivazione dell’ordinanza gravata, espressamente dedotto dal ricorrente in sede di appello) sussista, in relazion ai principi dettati dalla citata Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, COGNOME, Rv 23105801, l’elemento rappresentato dalla “desumibilità” dagli atti degli elementi posti alla base della seconda ordinanza, al momento dell’emissione della prima ordinanza.
Elemento di diritto che ha trovato ulteriore specificazione nella pure citata Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, COGNOME Rv. 235909; che ha rilevato che quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’a 297, comma terzo, cod. proc. pen. opera per i fatti desumibili dagli atti prim del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza; mentre, solo nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procediment diversi riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessio e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, solo se i procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la lo separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero.
6,2 Sul punto, questa Corte ha precisato che, la nozione di anteriore “desumibilità”, dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, delle fo indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, consiste non nella mera conoscibilità storica di determinate evenienze fattuali, ma nella condizione di conoscenza derivata da un determiNOME compendio documentale o dichiarativo che consenta al pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, al richiesta é alla adozione di una nuova misura cautelare (Sez. 3, n. 48034 del
25/10/2019, COGNOME, Rv. 277351 – 02; Sez. 4, n. 16343 del 29/03/2023, COGNOME, Rv. 284464); rilevandosi altresì che il momento in cui dagli att possono desumersi i gravi indizi di colpevolezza non coincide con la ricezione da parte del pubblico ministero della informativa di reato, ma con quello in cu il suo contenuto possa considerarsi recepito, avendo riguardo al tempo obiettivamente occorrente per enuclearne ed apprezzarne la valenza indiziaria (Sez. 6, n. 48565 del 06/10/2016, Commisso, Rv. 268391; Sez. 6, n. 54452 del 06/11/2018, Tedde, Rv. 274752).
6.3 Deve quindi ritenersi che, su tale specifico profilo, sussista denunciato vizio di omessa motivazione denunciato dal ricorrente.
Difatti – dato per assunto dallo stesso Tribunale il rapporto connessione qualificata tra i fatti ascritti ai capi B13, B14 e B15 con al oggetto dell’ordinanza primigenia – il giudice dell’appello ha escluso il da della desumibilità sulla base del dato rappresentato da “l’assoluta assenza scelte indebite da parte del P.M.” e dal presunto dato ostativo rappresentat dalla pendenza dei procedimenti pressi autorità giudiziarie diverse (pag. 7 dell’ordinanza); elemento, in presenza di connessione qualificata, in realt (sulla base dei principi predetti) non ostativo all’operatività del meccanism della retrodatazione.
In conseguenza di tali presupposti, quindi, il Tribunale ha del tutt omesso di motivare in ordine alla specifica deduzione difensiva del ricorrente; e in base alla quale il criterio della desurnibilità sarebbe stato perfezion nel caso concreto, avendo entrambi gli uffici di Procura fondato la propria richiesta cautelare sui contenuti delle chat sviluppate sulla piattaforma SkyEcc, fornite da autorità giudiziaria straniera in risposta all’ordine europe indagine del 05/07/2021, emesso dalla Procura di Reggio Calabria e quindi su un compendio indiziario da ritenere comune tra i due Uffici; non essendo quindi, conseguentemente, stata fornita adeguata risposta alla deduzione del ricorrente in base al quale il patrimonio conoscitivo posto a disposizione dell Procure – al di là della successiva e diversa valutazione di alcuni fatti ai cautelari e della diversità delle informative di P.G. allegate alla richi presentata ai sensi dell’art.291 cod.proc.pen. – avrebbe dovuto ritenersi, tutti gli effetti, come comune.
Con un ultimo punto di doglianza, il ricorrente ha censurato l’ordinanza gravata nella parte in cui – pure ritenendo sussistenti i presuppo per la retrodatazione anche in relazione (oltre che al capo B, concernente i reato associativo) ai capi B16 B17, B20 e B23 dell’ordinanza reggina, ha assunto che difetterebbe sul punto l’interesse dell’indagato a ottenere un
pronuncia di liberazione solo formale, atteso che la scarcerazione pronunciata per i suddetti capi per scadenza del termine di fase non avrebbe comunque comportato il venire meno dello stato di detenzione permanendo lo stesso in ordine ai capi B13, B14 e B15.
La relativa tematica deve quindi intendersi assorbita per effetto dell’accoglimento della parte del motivo riguardante la sussistenza dei presupposti per la retrodatazione in riferimenti a tali ultimi tre capi; dovend comunque richiamare, sul punto, il principio espresso da questa Corte in base al quale, in tema di c.d. contestazione a catena, l’indagato ha interesse ottenere la scarcerazione in riferimento all’addebito cautelare per il qual termini di custodia siano scaduti pur permanendo nello stato di detenzione cautelare per altro addebito, se i titoli cautelari afferiscono a procedime diversi, e ciò pur quando, per effetto della regola della retrodatazione, i term delle varie misure cautelari decorrono tutti dall’esecuzione della prim ordinanza (Sez. 1, Sentenza n. 42012 del 28/10/2010, Brescia, Rv. 249074; Sez. 3, Sentenza n. 30719 del 18/09/2020, Bronte, Rv. 280019).
L’ordinanza impugnata va quindi annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria, il quale provvederà a rivalutare i presupposti per la retrodatazione anche in relazione ai reati contestati ai ca B13, B14 e B15, alla luce dei predetti principi e in relazione alle constata carenze motivazionali.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 20 giugno 2024
Il Consigliere estensore
La Presidente