Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 22043 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 22043 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME a FRANCAVILLA FONTANA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/02/2024 del TRIB. LIBERTA’ di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG in persona del Sostituto Proc. Gen. NOME COGNOME che Ha chiesto il rigetto del ricorso.
udito il difensore AVV_NOTAIO COGNOME del foro di Brindisi quale sostituto processuale ex art. 102 c.p.p. dell’AVV_NOTAIO NOME del foro di BRINDISI difensore di NOME COGNOME, che, riportandosi ai motivi di ricorso, ha insistito per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
1. L’odierno ricorrente NOME COGNOME, sottoposto a custodia cautelare in carcere in carcere dal 18 dicembre 2023 per alcuni episodi di detenzione illecita di sostanze stupefacenti (misura sostituita pochi giorni dopo, il 22 dicembre 2023, con gli arresti domiciliari) in relazione al proc. 5724/20 RGNR, chiedeva al Gip la declaratoria di inefficacia ex art. 297 comma 3 cod. proc. pen., in applicazione della disciplina delle “contestazioni a catena”, con riferimento alla precedente ordinanza custodiale emessa in data 30.122020 per il reato di cui all’art. 73 DPR 309/90 nell’ambito del procedimento penale 5743/20 RGNR, definito in primo grado con condanna alla pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione, ridotta in appello a 4 anni con sentenza 2 marzo 2022 divenuta irrevocabile il 16.12.22.
Nel presente procedimento (n. 5724/20 RGNR) la misura cautelare è stata disposta dal Tribunale del Riesame, a seguito di appello del Pubblico Ministero, con ordinanza 30 maggio 2023 confermata dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza 15 dicembre 2023.
Con l’istanza proposta al Gip il 22 dicembre 2023 il difensore dell’imputato deduceva che i fatti contestati nelle due distinte ordinanze sono avvinti da connessione qualificata perché l’episodio dell’arresto in flagranza del 30 dicembre 2020 per detenzione di 300 grammi di cocaina rappresenta l’epilogo dell’illecita attività di commercio di sostanze stupefacenti ampiamente monitorata, tramite servizi di osservazione, nel procedimento 5724/20 in cui sono state contestate le condotte di rifornimento di cocaina dai coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME accertate nei mesi precedenti.
Sussisterebbe dunque il presupposto dell’anteriorità dei fatti posti a fondamento della seconda ordinanza, circoscritti in un arco temporale ricompreso fra il 4 novembre e il giorno dell’arresto in flagranza.
Il Gip respingeva l’istanza osservando che il riallineamento fra la durata delle due misure, anche con riferimento a fasi non omogenee, non ha determiNOME il superamento dei limiti di durata complessiva e di durata massima previsti per la seconda misura.
Nell’atto di appello avverso l’ordinanza di rigetto venivano riproposte pedissequamente le medesime argomentazioni in punto di retrodatazione.
Il Tribunale di Lecce, tuttavia, con ordinanza del 1 febbraio 2024, ha rigettato il proposto appello.
Rilevano i giudici salentini del gravame cautelare che, tenendo conto dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia – che vengono ricordati nella motivazione del provvedimento impugNOME – le due ordinanze cau-
telari emesse in procedimenti distinti a carico di NOME NOME attengono a fatti diversi in ordine ai quali verosimilmente ricorre una connessione qualificata in ragione della stretta correlazione temporale fra i rifornimenti di droga oggetto d’indagine nell’ambito del procedimento 5724/20 RGNR e la detenzione di 300 grammi di cocaina accertata con l’arresto in flagranza del 30 dicembre 2020.
Tuttavia, viene ritenuto carente il requisito della desumibilità dagli atti quando è stato emesso il decreto di giudizio immediato (4 marzo 2021) nel procedimento penale 5743/20 definito in primo grado con sentenza di condanna il 1 giugno 2021, ove si consideri che l’informativa conclusiva della RAGIONE_SOCIALE Francavilla Fontana in ordine ai fatti contestati nella seconda ordinanza è stata depositata il 27 luglio 2021.
Il Pubblico Ministero ha, dunque, vagliato successivamente il quadro indiziario ai fini delle determinazioni da assumere per la richiesta di misura cautelare nel procedimento 5724/20 NUMERO_DOCUMENTO e non vi è spazio per sostenere che avesse già chiuso il cerchio intorno all’intera vicenda relativa alle condotte illecite di NOME NOME nel settore degli stupefacenti al momento dell’arresto in flagranza del 30 dicembre 2020.
Il modus operandi del Pubblico Ministero non può infatti essere censurato in termini di indebita scelta strumentale perché al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare la Procura di Brindisi non disponeva di tutti gli elementi necessari per elevare le contestazioni relative ai numerosi fatti accertati nel procedimento penale 5724/20.
In virtù di tali argomentazioni deve ritenersi irrilevante la questione dell’osservanza dei termini di durata a seguito del riallineamento delle due misure cautelari e, in particolare, del presofferto in custodia cautelare nell’ambito del procedimento 5743/20 in cui NOME NOME NOME stato detenuto in carcere dal 30.12.2020 al 7.6.2021 e successivamente agli arresti domiciliari sino all’irrevocabilità della sentenza di appello (16.12.22).
Ricorre contro tale ultimo provvedimento NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi, di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorrente ribadisce in premessa che al momento dell’emissione della seconda ordinanza cautelare, nel procedimento n. 5743/2020 R.G.N.R. era già stato emesso il decreto di giudizio immediato; che, i delitti oggetto della seconda ordinanza (del 30.05.2023) sono stati commessi prima della data di emissione della prima ordinanza cautelare (del 31.12.2020); che, i fatti oggetto dei due procedimenti di cui trattasi sono legati da connessione qualificata; che, alla data
della richiesta di giudizio immediato da parte del Pubblico Ministero nell’ambito del primo procedimento (decreto di giudizio immediato del 04.03.2021), gli elementi sui quali si fondano le accuse mosse al prevenuto nel secondo procedimento erano integralmente conoscibili da parte dell’organo di accusa.
Lamenta, quindi, con un primo motivo inosservanza o erronea applicazione dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione in punto di diniego della chiesta retrodatazione.
In ricorso si riepiloga lo stato della normativa e della giurisprudenza, soprattutto delle Sezioni Unite, in punto di divieto di contestazione a catena e gli attuali ambiti applicativi dell’art. 297 comma 3 cod. proc. pen. e contesta che, secondo quello che si legge a pag. 6 della motivazione del provvedimento impugNOME in punto di desumibilità dagli atti, il tribunale saientino ne abbia operato un corretto governo.
Il ricorrente sostiene che a nulla rileva che l’autorità procedente abbia o meno, alla data del rinvio a giudizio nel primo procedimento, effettuato quel vaglio del compendio indiziario necessario per addivenire alla richiesta di applicazione di una misura cautelare; ciò che rileva invece che il pubblico ministero avesse a sua disposizione esiti investigativi tali da consentirgli una valutazione di gravità indiziaria idonea a ottenere l’applicazione di una misura cautelare.
Si richiama quella giurisprudenza che avrebbe posto l’accento sugli aspetti quantitativi piuttosto che non qualitativi degli indizi valutabili e in particolar m do Sez. 2 n. 18879/2021.
Nel caso di specie. le risultanze dell’attività di indagine nel procedimento penale n. 5743/2020 svolta nei confronti dell’odierno ricorrente alla data del decreto di giudizio immediato del 04/03/2021, anche in assenza dell’informativa di reato riepilogativa depositata il 27/07/2021, avevano certamente una pregnante significanza processuale. E l’assunto sarebbe confermato dalle valutazioni del tribunale del riesame che il 30 maggio 2023 ha accolto l’appello cautelare del pubblico ministero e ha applicato allo COGNOME la misura della custodia in carcere.
Riepilogata la vicenda processuale che ha visto protagonista il ricorrente nel diverso procedimento 5743/2020 R.G.N.R. e le imputazioni di entrambi i procedimenti il ricorrente ribadisce che i gravi indizi che hanno giustificato l’applicazione della seconda ordinanza cautelare sono stati desunti dall’autorità procedente principalmente dalle immagini riprese mediante l’installazione di impianti di videosorveglianza nei pressi dell’abitazione dei coniugi COGNOME e COGNOME.
Logico corollario di ciò sarebbe che al momento dell’emissione della prima ordinanza di applicazione di custodia cautelare in carcere del 31/12/2020, ma soprattutto al momento dell’emissione del decreto di giudizio immediato del 04/03/2021, il pubblico ministero procedente aveva già a disposizione un quadro
indiziario idoneo a giustificare l’adozione della misura cautelare personale in ordine ai fatti contestati allo COGNOME nel precedente procedimento.
Ed in effetti, come si legge alle pagine 80 e 81 dell’ordinanza emessa dal tribunale del riesame, i fatti delittuosi del 18/12/2020 si saldano con gli avvenimenti del 30/12/2020.
Uguale sarebbe anche il compendio indiziario che si fonda sostanzialmente su una serie di incontri tra gli indagati, documentati da filmati e localizzazioni di telefoni e vetture.
Con un secondo motivo, sempre cumulativamente, si lamentano inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 297, comma 3 e 303 cod. proc. pen.
Il ricorrente evidenzia che, ferme restando le censure in punto desumibilità dagli atti, tra í reati in contestazione con i due distinti titoli cautelari vi è vidente connessione qualificata. Per cui sussistono i presupposti per la retrodatazione della decorrenza dei termini dell’ordinanza risa dal tribunale del riesame di Lecce il 30 maggio 2023 ed eseguita il 18 dicembre 2023 ed era decorso il termine di fase per le indagini preliminari.
Chiede pertanto annullarsi l’ordinanza impugnata.
La parti hanno concluso alla udienza camerale partecipata come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ri corso va rigettato.
In premessa, va evidenziato che come ancora ribadito recentemente (cfr. Sez. 4, n. 8294 del 01/02/2024, COGNOME Monica, Rv. 285870 – 01), in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile, per aspecificità, ex artt. 581, comma 1 e 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., il motivo che, come si fa nel presente ricorso per tutti i profili di doglianza, denunci l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonché, in modo cumulativo, promiscuo e perplesso, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, ove non sia indicato specificamente il vizio di motivazione dedotto per i singoli, distinti aspetti, con puntuale richiamo, alle parti della motivazione censurata.
La denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed i
ricorso inammissibile, ai sensi degli artt. 581, comma 1, lett. c) e 591, comma 1 lett. c), cod. proc. pen.,
Sez. U, n. 29541 del 16/7/2020, Filardo Rv. 280027 (pag. 30) hanno recentemente chiarito che: «Deve ritenersi che il ricorrente che intenda denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell’a 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ha l’onere – sanzioNOME a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – di indicare su quale profilo la mo vazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione d rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad ogget tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione», non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l’impugnazione (cfr. anche Sez. 1, n. 39122 del 22/9/2015, COGNOME, Rv. 264535; conf. Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, COGNOME ed NOME, Rv. 263541; Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011 dep. 2012, COGNOME ed NOME, Rv. 251528, Sez. 6, n. 3222:7 del 16/07/2010, T., Rv. 248037; così anche così Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277518, nella cui motivazione, la Corte ha precisato che, al fine della valutazione dell’ammissibilità dei motivi di ricorso, può essere considerato strumento esplicativo del dato normativo dettato dall’art. 606 cod. proc. pen. il “Protocollo d’intesa tra Corte di cassazione e RAGIONE_SOCIALE sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale”, sottoscritto il 17 dicembre 2015). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Peraltro, già in precedenza (Sez. 2, n. 31811 dell’8/5/2012, COGNOME ed altro, Rv. 254328 che richiama i precedenti costituiti da Sez. 6, n. 32227 del 16/7/2007, T. e sez. 6, n. 800 del 6/12/2011 dep. 2012, COGNOME ed NOME) secondo cui è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso che prospetti vizi legittimità del provvedimento impugNOME, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa.
Sempre Sez. Unite Filardo pag. 32 della motivazione concludono, perciò, che: «difetta della specificità richiesta dagli artt. 581, comma 1, e 591 cod. proc. pen. il motivo che deduca promiscuamente i vizi di motivazione indicati dall’art. 606, commi, lett. e), stesso codice (Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T., Rv. 248037; Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251528; Sez. 2, n. 31811 del 08/05/2012, COGNOME, Rv. 254329; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, COGNOME, Rv. 263541; Sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 264535; Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, NOME, Rv. 277518).
Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), se letto in combinazione con l’art. 581, comma 1, lett. d), evidenzia che non può ritenersi consentita l’enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ov4ro a una pluralità di ta vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata..»
Ciò, nel caso che ci occupa, non è avvenuto.
Va ricordato che con l’art. 297 cod. proc. pen. il legislatore del 1989 ha inteso codificare la regula iurís, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale formatasi sotto il previgente codice di rito, della “contestazione a catena”, con la quale si era stabilita una deroga al principio della decorrenza autonoma dei termini di durata massima della custodia in relazione a ciascun titolo cautelare.
Il fine, evidente, è quello di evitare il fenomeno della “diluizione” nel tempo della “carcerazione provvisoria”, attuata mediante l’emissione, in momenti diversi, nei confronti del medesimo soggetto, di una pluralità di provvedimenti coercitivi riguardanti il medesimo fatto, diversamente qualificato o circostanziato, ovvero concernenti fatti di reato diversi ma connessi tra loro.
Nel suo testo originario l’art. 297 cod. proc. pen., al terzo comma (che riprendeva la disposizione da ultimo appositamente introdotta nel codice abrogato dalla legge n. 398 del 1984) prevedeva che la decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare applicata con un’ordinanza si sarebbe dovuta retrodatare al momento dell’esecuzione di altra precedente ordinanza cautelare, laddove i due provvedimenti avessero riguardato lo stesso fatto, ovvero più fatti in concorso formale tra loro, oppure integranti ipotesi di aberratio delíctí o di aberratio ictus plurioffensiva.
Sull’impianto originario della norma il legislatore è, tuttavia intervenuto già nel 1995, da un lato restringendone l’ambito applicativo, con la previsione dell’operatività del meccanismo di retrodatazione esclusivamente con riferimento ai casi di connessione qualificata ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., lett. b (continuazione tra i reati) e c) limitatamente all’ipotesi di reati commessi per eseguire gli NOME (connessione teleologica); dall’altro, introducendo una regola generale di retrodatazione “automatica” (“se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura… i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave”). Si è premurato, tuttavia, di specificare che tale ultimo automatismo non sarebbe stato applicabile, laddove la seconda ordinanza cautelare fosse stata emessa dopo il rinvio a giudizio per i fatti oggetto
della prima ordinanza (“la disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fat to con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma”).
L’ambito di operatività della disposizione in esame veniva, però, ampliato per effetto della sentenza additiva n. 408 del 2005, con la quale la Corte costituzionale dichiarava l’illegittimità dell’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, nella parte in cui “non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza”; ed ulteriormente precisata dalla sentenza n. 233 del 2011, con la quale i giudici delle leggi, in dissonanza rispetto ad un contrario orientamento che emergeva dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, dichiarava la illegittimità dello stesso art. 297 comma nella parte in cui, con riferimento alle ordinanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi, non prevedeva che la regola in tema di decorrenza dei termini in esso stabilita si applicasse anche quando, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l’imputato fosse stato condanNOME con sentenza passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura.
A chiarire ulteriormente la portata applicativa della norma sono poi intervenute due pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte Suprema del 2005 e del 2006 (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006 dep. 2007, COGNOME, Rv. 235909-10-11; Sez. U, n. 21957 del 22/3/2005, COGNOME, Rv. 231057-8-9).
4. Applicando i principi espressi in tali pronunce, con riguardo alla contestazione di reati diversi, variamente collegabili tra loro, è possibile – in lin schematica – riconoscere tre distinte situazioni, alle quali corrispondono altrettante, distinte regole operative.
Comune a tutti e tre i casi è la necessità, perché si possa parlare di “contestazione a catena” – e conseguentemente possa trovare applicazione la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare, – che i reati oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore (in questo senso, ex plurimis, Sez. 6, n. 31441 del 24/4/2012, Canzonieri, Rv. 253237).
La prima fattispecie è quella in cui le due (o più) ordinanze applicative di misure cautelari personali abbiano ad oggetto fatti-reato legati tra loro da concorso formale, continuazione o da connessione teleologica (casi di connessione qualificata), e per le imputazioni oggetto del primo provvedimento coercitivo non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio.
In tal caso trova applicazione la disposizione dettata dal primo periodo dell’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, che non lascia alcun dubbio sul fatto che la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della misura o delle misure applicate successivamente alla prima operi automaticamente e, dunque come affermano le Sezioni unite di questa Corte – “indipendentemente dalla possibilità, al momento della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure”.
Si ha, in NOME termini, in tal caso un’automatica retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare che risponde all’esigenza “di mantenere la durata della custodia cautelare nei limiti stabili dalla legge, anche quando nel corso delle indagini emergono fatti diversi legati da connessione qualificata” (così C. Cost., 28 marzo 1996, n. 89), e che si determina solo se le ordinanze siano state emesse nello stesso procedimento penale (così Sez. U, n. 14535/2007 COGNOME, cit.).
La seconda fattispecie è molto simile alla prima, verificandosi comunque allorquando sia accertata esistenza, tra i fatti oggetto delle plurime ordinanze cautelari, di una delle tre forme di connessione qualificata di cui si è detto, ma presuppone l’intervenuta emissione del decreto di rinvio a giudizio per i fatti posti alla base del primo provvedimento coercitivo.
Tale ipotesi si realizza, dunque, in casi in cui le due o più ordinanze siano state emesse in distinti procedimenti penali e, secondo il dictum delle più volte richiamate Sezioni Unite, si palesa irrilevante che gli stessi derivino da un procedimento inizialmente unico, in virtù dell’avvenuta separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che i due procedimenti abbiano avuto autonome origini.
In tali casi si applica la regola dettata dal secondo periodo dell’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, derivandone che la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio pe i fatti oggetto della prima ordinanza.
In tal senso anche le pronunce più recenti di questa Corte Suprema hanno ribadito che, quando nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, opera la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen. anche rispetto ai fatti oggetto di un procedimento “diverso”, se questi erano desumibili dagli atti anteriormente al rinvio a giudizio disposto per il fatto oggetto de
la prima ordinanza (cfr. Sez. 1, n. 27658 del 12/4/2013, Pelle, Rv. 254005; conf. Sez. 6, n. 50128 del 21/11/2013; PM in proc. Pepa ed NOME, Rv. 258500).
La terza possibile situazione che può profilarsi è quella in cui tra i fatti oggetto dei due provvedimenti cautelari non esista alcuna ipotesi di connessione ovvero sia configurabile una forma di connessione non qualificata, cioè diversa da quelle sopra considerate del concorso formale, della continuazione o del nesso teleologico (per quest’ultimo, nei limiti fissati dal codice).
Tale fattispecie, che in passato si riteneva pacificamente non coperta dall’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, oggi rientra nel campo di applicazione di tale norma per effetto del dictum prima delle Sezioni Unite con la sentenza COGNOME (Sez. Un. n. 21957 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231059) e poi della sentenza “manipolativa” della Consulta n. 408 del 2005, è dunque quella delle ordinanze cautelari emesse nello “stesso procedimento” per fatti non legati da connessione qualificata, in cui la retrodatazione opera solo se, al momento dell’emissione della prima ordinanza, esistevano elementi idonei a giustificare la misura adottata con la seconda ordinanza.
La Corte, nella sentenza citata, ha osservato come sia comune alla seconda ed alla terza delle ipotesi appena esaminate il carattere non automatico della retrodatazione e la necessità, per il giudice dinanzi al quale essa è invocata, di verificare la “desumibilità”, dagli atti del procedimento precedente, dei fatti posti ad oggetto della ordinanza custodiale successiva.
Pertanto, la retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della misura cautelare è dovuta “in tutti i casi in cui, pur potendo i diversi provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per qualsiasi causa l’autorità giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per l’adozione delle singole ordinanze”.
Il giudice in tal caso è dunque chiamato a verificare se al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare non fossero desumibili, dagli atti a disposizione, gli elementi per emettere la successiva ordinanza cautelare, da intendersi – come precisato dalla Corte Costituzionale – come “elementi idonei e sufficienti per adottare” il provvedimento cronologicamente posteriore.
Tale regola vale solo se le due ordinanze siano state emesse in uno stesso procedimento penale, perché se i provvedimenti cautelari sono stati adottati in procedimenti formalmente differenti, per la retrodatazione occorre verificare, oltre che al momento della emissione della prima ordinanza vi fossero gli elementi idonei a giustificare l’applicazione della misura disposta con la seconda ordinanza, che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frutto di una scelta del pubblico ministero (così Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, COGNOME, cit; conf., in seguito, su
tale specifico aspetto, Sez. 2, n. 44381 del 25/11/2010, Noci, Rv. 248895; Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, COGNOME, Rv. 240099).
Questa Corte di legittimità ha precisato che in tema di contestazioni a catena, la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., non opera nel caso di misure cautelari emesse per fatti diversi, in relazione ai quali esiste una connessione non qualificata e che siano oggetto di distinti procedimenti pendenti davanti ad autorità giudiziarie diverse per ragioni di competenza. (così Sez. 2, n. 51838 del 16.10.2013, Dimino, rv. 258104, ove in motivazione si è precisato che la diversità di competenza delle autorità giudiziarie fa ritenere che i procedimenti non avrebbero potuto essere riuniti e che quindi la sequenza di provvedimenti cautelari non può essere frutto di una scelta del pubblico ministero per ritardare la decorrenza della seconda misura).
5. Le Sezioni Unite erano poi intervenute a precisare che, in tema di contestazione a catena, la questione relativa alla retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) che il termine interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare; b) che dall’ordinanza applicativa della misura coercitiva siano desumibili di tutti gli elementi idonei a giustificare l’ordinanza successiva (così Sez. U. n. 45246 del 19/7/2012, Polcino, Rv. 253549; conf. S.U. n. 45247/12, COGNOME, non massimata).
La Corte costituzionale, tuttavia, è subito intervenuta a cassare questo secondo presupposto, dichiarando l’illegittimità dell’art. 309 cod. proc. pen., in quanto interpretato nel senso che la deducibilità della retrodatazione, nel procedimento di riesame, della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari, prevista dall’art. 297, co. 3, cod. proc. pen., sia subordinata alla condi zione che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino dall’ordinanza cautelare impugnata (così Corte cost., sent. 6 dicembre 2013, n. 293).
Questa Corte Suprema ha poi precisato che è onere della parte che, nel procedimento di riesame, invoca l’applicazione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare, in presenza di contestazioni a catena, fornire la prova dell’esistenza delle condizioni di applicazione di tale retrodatazione riferite al termine interamente scaduto al momento del secondo provvedimento cautelare e alla desumibilità dall’ordinanza applicativa della misura di tutti gli elementi idonei a giustificare l’ordinanza successiva (così Sez. 5, n. 49793 del 05/06/2013, Spagnolo, Rv. 257827).
Sulla scorta di tali principi, la decisione assunta dal tribunale etneo, che ha escluso l’operatività dell’art. 297 cod. proc. pen., appare immune dai denunciati vizi di legittimità.
Nella logica motivazione del provvedimento impugNOME si dà innanzi tutto atto dell’operata verifica, con esito “verosimilmente” positivo, circa l’esistenza di una connessione qualificata tra i fatti oggetto dei due procedimenti (così pag. 6 dell’ordinanza impugnata) in quanto le due ordinanze cautelari emesse in procedimenti distinti a carico di COGNOME NOME attengono a fatti diversi ma vi è una stretta correlazione temporale fra i rifornimenti e le cessioni oggetto d’indagine nell’ambito del procedimento 5724/20 RGNR e la detenzione di 300 grammi di cocaina accertata con l’arresto in flagranza del 30 dicembre 2020.
La seconda verifica operata dai giudici del gravame cautelare, che è quella su cui maggiormente si appuntano le critiche di cui al ricorso, è quella relativa alla desumibilità dagli atti, stavolta con esito negativo.
Conferentemente viene ricordato nel provvedimento impugNOME che, con riferimento al concetto di “desumibilità dagli atti”, la giurisprudenza di legittimi si è più volte espressa nel senso di una netta distinzione rispetto alla nozione di semplice conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze; l’esistenza storica di un fatto e di un corrispondente substrato dimostrativo dello stesso non assumono infatti specifica rilevanza processuale, come invece accade in presenza di una progressiva selezione ed elaborazione di fonti di informazione storica e dei conseguenti giudizi valutativi; ed invero si può discutere di effettiva desumibilità di specifici eventi e condotte penalmente rilevanti da un compendio documentale o fenomenico qualora il Pubblico Ministero sia in reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente del panorama indiziario tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli elementi indiziari, in guisa da determinarsi a richiedere una nuova misura cautelare. Il riferimento, pertanto, non può essere di carattere puramente matematico (date certe degli atti processuali), né il deposito dell’informativa finale di p.g. può rappresentare il criterio risolutivo per l’inquadramento temporale della desumibilità degli additivi indiziari, dovendosi attendere l’indispensabile filtro valutativo del Pubblico Ministero (Sez. 6 n. 16492/2007).
Va aggiunto che questa Corte di legittimità ha affermato, secondo un indirizzo giurisprudenziale reiteratamente ribadito nel tempo, che in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, il principio secondo cui la nozione di “desumibilità dagli atti” vada intesa unicamente con riferimento alla sussistenza di una situazione indiziaria già idonea, all’atto dell’emanazione della prima misura cautelare, a giustificare l’adozione della seconda (cfr. ex plurimis, Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012, Canzonieri, Rv. 253236).
E’ stato anche precisato – e va qui ribadito – che in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di anteriore ‘desumibilità’ delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, non va confusa con quella di semplice ‘conoscenza’ o ‘conoscibilità’ di determinate evenienze fattuali, ma si individua nella condizione di conoscenza, da un determiNOME compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determiNOME fatto-reato che abbiano una specifica “significanza processuale” (così Sez. 6, n. 11807 del 11/02/2013, Paladini, Rv. 255722: in applicazione del principio, è stata esclusa la “desumibilità” allo stato degli atti quando, al momento dell’emissione della prima ordinanza, non era stata ancora depositata al P.M. un’informativa relativa a pregresse indagini sostanziatesi anche in intercettazioni, sulla base della quale è stata formulata la richiesta del successivo provvedimento; conforme Sez. 4, n. 15451 del 14/03/2012, COGNOME, Rv. 253509; Sez. 6 n, 31441 del 24/04/2012, Canzonieri, Rv. 253236).
Diversamente da quanto opina il ricorrente, la “desumibilità dagli atti” va intesa non solo in termini “quantitativi” (come complesso degli elementi di prova da poter valutare ai fini dell’adozione della misura cautelare), ma anche in termini “qualitativi”, nel senso che gli elementi di prova acquisiti devono essere stati interpretati e decodificati, fatti oggetto di una lettura coordinata ed unitaria.
In NOME termini, la desumibilità, per essere rilevante ai fini del meccanismo di cui all’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determiNOME compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determiNOME fatto-reato che abbiano in sé una specifica “significanza processuale”: ciò che si verifica allorquando il pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente (sebbene modificabile nel prosieguo delle indagini) del panorama indiziario, tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarle, suscettibili di dare luogo in presenza di concrete esigenze cautelari – alla richiesta ed all’adozione di una misura cautelare (Sez. 3, n. 46158 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 265437 – 01; Sez. 4, n. 15451 del 14/03/2012, COGNOME Rv. 253509).
Ancora è stato ribadito che, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di “anteriore desumibilità”, dagli atti ine renti alla prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, richiede che, al momento del rinvio a giudizio nel primo procedimento, l’autorità giudiziaria sia in grado di desumere, e non solo di conoscere, la specifica significanza processuale, intesa come idoneità a fondare una richiesta di misura cautelare, degli elementi relativi al reato sul qua-
le si fonda l’adozione del successivo provvedimento cautelare per reato connesso, il cui compendio indiziario deve manifestare già la propria portata dimostrativa e non richiedere ulteriori indagini o elaborazione degli elementi probatori acquisiti, che rendano necessaria la separazione o la distinta iscrizione delle notizie di reato connesso (così Sez. 4, n. 16343 del 29/03/202:3, COGNOME, Rv. 284464 – 01 che ha ritenuto immune da censure l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva escluso, in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la sussistenza dell’ipotesi di “contestazione a catena”, in ragione della complessità dell’attività di successiva acquisizione, a mezzo ordine europeo di indagine, di comunicazioni su sistema “encrochat”, a riscontro dell’informativa che segnalava l’esistenza del sodalizio; conf. Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020 Flandina, Rv. 279291 – 01 che ha ribadito come ai fini della desumibilità non sia sufficiente la mera esistenza della notizia del fatto-reato, né che la successiva ordinanza si fondi su elementi probatori già presenti nella prima, potendo gli stessi non manifestare sin dall’inizio il loro significato in modo immediato ed evidente e in applicazione del principio ha ritenuto immune da censure l’ordinanza del riesame che aveva ritenuto irrilevante, ai fini della pregressa conoscibilità degli elementi, l’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c proc. pen. e l’autorizzazione allo svolgimento di intercettazioni telefoniche; Sez. 1, n. 12700 del 27/09/2019, dep. 2020, Trapani, Rv. 278910 – 01 relativamente a due ordinanze cautelari per altrettante ipotesi di tentate estorsioni ritenute non avvinte in continuazione, con riferimento alla quale soltanto un’informativa della polizia giudiziaria successiva all’emissione della prima ordinanza aveva consentito una lettura organica delle fonti probatorie dimostrative del secondo episodio criminoso; Sez. 3, n. 48034 del 25/10/2019, COGNOME, Rv. 277351 – 02 che, nel ribadire che la desumibilità consiste non nella mera conoscibilità storica di determinate evenienze fattuali, ma nella condizione di conoscenza derivata da un determiNOME compendio documentale o dichiarativo che consenta al pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, alla richiesta e alla adozione di una nuova misura cautelare ha ritenuto corretta la decisione del tribunale che aveva escluso la retrodatazione in quanto l’informativa finale relativa ai fatti per i quali era stato emesso il secondo tito cautelare era stata depositata due mesi dopo l’applicazione della prima ordinanza, intervenuta a seguito di arresto in flagranza, quando non sussisteva altro elemento per ipotizzare il coinvolgimento dei ricorrenti negli episodi, quantunque commessi in precedenza, contestati con la seconda ordinanza; Sez. 2, n. 13834 del 16/12/2016, dep. 2017, Valerioti, Rv. 269680 – 01 che ha ritenuto immune da censure la motivazione dell’ordinanza del tribunale del riesame che escludeva Corte di Cassazione – copia non ufficiale
la sussistenza dell’ipotesi di “contestazione a catena” rispetto ad altra ordinanza già emessa nei confronti del medesimo soggetto, poiché, nonostante le dichiarazioni del coindagato fossero già esistenti al momento della adozione della prima ordinanza, solo successivamente gli inquirenti erano venuti in possesso degli elementi di oggettivo riscontro alle medesime).
Isolato e non condivisibile, ad avviso del Collegio è il richiamato assunto di cui Sez. 2, n. 18879 del 30/04/2021 Buscemi Rv. 281230 – 01 secondo cui, in n tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai fini dell’anteriore “desumibilità” dagli atti del fatto oggetto della seconda ordinanza, emessa in un diverso procedimento e per fatti diversi e non legati da un rapporto di connessione qualificata con i primi, deve aversi riguardo unicamente all’emersione, in termini “quantitativi”, di un complesso di indizi valutabili in funzion dell’adozione della misura cautelare, e non anche, su un piano più specificamente “qualitativo”, all’attività di decodificazione, interpretazione e compiuta elaborazione degli stessi da parte degli organi deputati alle indagini (in motivazione, la Corte ha aggiunto che, diversamente opinando, si farebbe dipendere la durata della privazione della libertà – come effetto dell’individuazione del termine di decorrenza della misura restrittiva – da un’estensione non definita né definibile “a priori” del tempo – che può anche essere non breve – necessario al p.m. per l’esame di indizi di cui già disponga).
7. Ebbene, facendo corretta applicazione di tali principi, il tribunale salentino, quanto all’odierno ricorrente ha evidenziato come il requisito della desumibilità dagli atti risultasse carente quando è stato emesso il decreto di giudizio immediato (4 marzo 2021) nel procedimento penale 5743/20 definito in primo grado con sentenza di condanna ad anni 4 e mesi 6 di reclusione il 1 giugno 2021 (e, come ricorda il provvedimento impugNOME a pag. 2, ridotta in appello con sentenza del 2/3/2022 ad anni 4 di reclusione, divenuta irrevocabile il 16/12/2022), ove si consideri che l’informativa conclusiva della RAGIONE_SOCIALE Francavilla Fontana in ordine ai fatti contestati nella seconda ordinanza è stata depositata il 27 luglio 2021.
Il Pubblico Ministero ha, dunque, vagliato successivamente il quadro indiziario ai fini delle determinazioni da assumere per la richiesta di misura cautelare nel procedimento 5724/20 NUMERO_DOCUMENTO e non vi è spazio per sostenere che avesse già chiuso il cerchio intorno all’intera vicenda relativa alle condotte illecite di NOME NOME nel settore degli stupefacenti al momento dell’arresto in flagranza del 30 dicembre 2020.
Coerente appare, perciò, il rilievo che il modus operandi del Pubblico Ministero non possa essere censurato in termini di indebita scelta strumentale perché
al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare la Procura di Brindisi non disponeva di tutti gli elementi necessari per elevare le contestazioni relative ai numerosi fatti accertati nel procedimento penale 5724/20. E perciò che, in virtù di tali argomentazioni deve ritenersi irrilevante la questione dell’osservanza dei termini di durata a seguito del riallineamento delle due misure cautelari e, in particolare, del presofferto in custodia cautelare nell’ambito del procedimento 5743/20 in cui NOME NOME è stato detenuto in carcere dal 30.12.2020 al 7.6.2021 e successivamente agli arresti domiciliari sino all’irrevocabilità della sentenza di appello (16.12.22).
Del tutto generico, infine, è l’ulteriore profilo di doglianza in quanto il r corrente non deduce in cosa consisterebbe l’erroneo calcolo del termine massimo di custodia cautelare.
Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/05/2024