Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11615 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11615 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato a Catania il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/11/2023 del Tribunale di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale cautelare di Catania ha respinto l’istanza di riesame, ex art. 309 cod.proc.pen., avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Catania con la quale era stata applicata la misura della custodia cautelare nei confronti del COGNOME NOME non sussistendo i presupposti per la retrodatazione dei termini della custodia cautelare ex art. 297 cod.proc.pen., in ordine ai reati di cui ai capi 3), 4) e 6) fatti commess come da imputazione provvisoria dell’ordinanza applicativa.
1.1. Il tribunale cautelare, premessa l’anteriorità dei reati per cui è stat applicata la misura cautelare della custodia in carcere con ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Catania, impugnata ex art. 309 cod.proc.pen. e quelli oggetto della prima ordinanza emessa a seguito dell’arresto in flagranza di reato di cui all’art. 73 comma 1 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso nel marzo 2022, trattandosi di reati, quello associativo e di trasporto e detenzione di sostanze stupefacenti, commessi anteriormente all’arresto del 24 marzo 2022, e la connessione qualificata tra il reato per il quale è intervenuto l’arresto in flagranza d reato, il 24 marzo 2022 e quello associativo, commesso dal giugno 2021 al marzo 2022, e i reati fine di trasporto e detenzione di sostanza stupefacenti, oggetto della successiva ordinanza, difettava, invece, il requisito della desumibilità degli atti de reato di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 in epoca anteriore al rinvio giudizio a carico del COGNOME e ciò in quanto il P.M. era stato in possesso di tutti g elementi integranti il quadro indiziario grave del delitto associativo solo al momento del deposito dell’informativa di reato nel dicembre 2022 e della successiva elaborazione del suo contenuto, in quanto si trattava di indagine complessa, riguardante più soggetti e più fatti delittuosi che richiedevano necessariamente a parte del pubblico ministero una disamina finalizzata all’individuazione di una situazione indiziaria idonea a giustificare l’adozione della misura cautelare che non avrebbe potuto comunque essere immediata.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del NOME deducendo, con un unico motivo, la violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
Assume il ricorrente che il Tribunale avrebbe respinto la richiesta di dichiarazione di inefficacia della misura cautelare applicata, per effetto della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, con motivazione apodittica laddove si sarebbe limitato ad affermare che l’informativa di reato, depositata qualche mese dopo il rinvio a giudizio del COGNOME, per il reato per il quale era stato arrestato in flagranza di reato, richiedeva una disamina meditata.
Da un lato la circostanza del deposito dell’informativa di reato successivamente al rinvio a giudizio per il primo reato non sarebbe rilevante ed essenziale ai fini della desumibilità. Mentre, avrebbe omesso di motivare il tribunale, ovvero avrebbe reso una motivazione apparente, in punto sufficienza degli elementi raccolti nei confronti del ricorrente alla data del 2 maggio 2022 a configurare un quadro indiziario grave nei confronti del medesimo per il reato associativo in un contesto nel quale tutti erano costantemente monitorati. Avrebbe, in altri termini,
confuso gli elementi nei confronti del NOME per il reato associativo, già noti sin dal data dell’arresto del 24 marzo 2022, da quelli nei confronti degli altri sodali chiamati a rispondere dello stesso reato associativo. A tale riguardo, osserva il ricorrente, che non solo era costantemente monitorato e controllato insieme ai sodali, ma anche il collaboratore di giustizia aveva già reso dichiarazioni nei suoi confronti, circostanza questa che neppure emerge dal provvedimento impugnato.
3. Il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del lcorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Va innanzitutto rammentato che l’art. 297 comma 3 cod.proc.pen., prima parte, prevede una ipotesi di applicazione automatica della retrodatazione nel caso in cui le due (o più) ordinanze applicative di misure cautelari personali abbiano ad oggetto fatti- reato legati tra loro da concorso formale, continuazione o da connessione teleologica (casi di connessione qualificata), e per le imputazioni oggetto del primo provvedimento coercitivo non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio, situazione nella quale trova applicazione la disposizione dettata appunto dal primo periodo dell’art. 297 comma 3, cod. proc. pen.
Segue poi altra regola iuris di retrodatazione, in applicazione dell’art. 297 comma 3 seconda parte, tra i fatti oggetto delle plurime ordinanze cautelari, anche per fatti non connessi dopo l’intervento della Corte costituzionale del 2005, in presenza di intervenuta emissione del decreto di rinvio a giudizio per i fatti oggetto del primo provvedimento coercitivo, ipotesi nella quale le due o più ordinanze sono state emesse in distinti procedimenti, e la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prim ordinanza.
A tale secondo ipotesi appartiene il caso in scrutinio e, Fermo il necessario presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore rispetto alla data di emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore (Sez. 6, n. 31441. del 24/04/2012, Canzonieri, Rv. 253237), trattandosi di reati (quello associativo e i resti scopo) commessi fino al 24 marzo 2022, data dell’arresto, e la sussistenza della c.d. conne.ssione qualificata,
l’ordinanza impugnata ha escluso l’anteriore desumibilità con motivazione non congrua, finanche apparente.
Il tribunale non ha fatto buon governo del principio, reiteratamente espresso, secondo cui, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di anteriore “desumibillità” dagli atti inerenti alla pri ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, consiste non nella mera conoscibilità storica di determinate evenienze fattuali, ma nella condizione di conoscenza derivata da un determinato compendio documentale o dichiarativo che consenta al pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, alla richiesta e alla adozione di una nuova misura cautelare (Sez. 3, n. 48034 del 25/10/2019, Rv. 277351 – 02). Il concetto di «anteriore desumibilità» è sinonimo di «specifica significanza processuale», intesa come acquisizione di esiti investigativi tale da consentire la formulazione di una gravità indiziaria idonea a ottenere l’applicazione di una misura cautelare. La desumibilità, per essere rilevante ai fini del meccanismo dì cui all’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano in sé una specifica rilevanza tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo presenza di concrete esigenze cautelari – alla richiesta ed all’adozione di una misura cautelare (Sez. 6, n. 54452 del 06/11/2018, COGNOME, Rv. 274752 – 01; Sez. 2, n. 13834 del 16/12/2016, COGNOME, Rv. 269680 – 01; Sez. 3, n. 46158 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 265437 – 01; Sez. 4, n. 15451 del 14/03/2012, COGNOME, Rv. 253509; Sez. 6, n. 11807 del 11/02/2013, COGNOME, Rv. 255722; Sez. 6, n. 48565 del 06/10/2016, COGNOME, Rv. 268391 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ciò posto, l’ordinanza impugnata ha negato l’anteriore desumibilità dalla circostanza che l’informativa di reato era stata depositata nel dicembre 2022, assumendo che prima di tale data il compendio investigativo, costituito da intercettazioni telefoniche e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, non avrebbe consentito di elaborare la contestazione associativa.
Si tratta di una motivazione meramente apparente in quanto priva di riferimenti al caso concreto e alla posizione del COGNOME.
Se è pur vero che è necessario che l’intero quadro legittimante l’adozione della misura cautelare sussista sin dal momento di emissione del primo provvedimento, non essendo sufficiente a tal fine la mera esistenza della notizia del fatto-reato, né
che la successiva ordinanza si fondi su elementi probatori già presenti nella prima, potendo gli stessi non aver manifestato sin dall’inizio il loro significato in mod immediato ed evidente (Sez. 3, n. 20002 del 10/1/2020, Flandina, Rv. 279291) e che la pregressa esistenza di una serie di dichiarazioni di un collaboratore di giustizia o di un coindagato non possono essere ritenuti rilevanti se al momento delle dichiarazione non esisteva già un compendio che potesse essere di riscontro alle stesse (Sez. 2, n. 13834 del 16/12/2016, COGNOME, Rv. 269680 – 01), non di meno l’ordinanza impugnata non contiene alcun riferimento concreto alla posizione del COGNOME. Né si confronta con la circostanza che, come risulta dalle imputazioni provvisorie, il tempus commissi delicti del reato associativo è indicato nel momento dell’arresto in flagranza e con la circostanza che il compendio probatorio nel quale vi erano le intercettazioni telefoniche e anche le dichiarazioni dei collaboratori, come riferisce la difesa, erano già state acquisite, da cui la necessità del confronto, ai fi della anteriore desumibilità, anche di tali dati.
L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annulla con rinvio per nuovo esame al tribunale di Catania.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catania competente ai sensi dell’art. 309 comma 7 cod.proc.pen.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti ex art. 94, comma 1 ter disp. att. c.p.p. Così deciso il 28/02/2024