Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 45438 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 45438 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Cosenza il 23/09/1987
avverso la ordinanza del 04/06/2024 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che l’ordinanza impugnata sia annullata con rinvio; udite le conclusioni del difensore, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto
l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Catanzaro confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro del 17 aprile 2024, che aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare carceraria in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, aggravato ai sensi ) dell’art. 416-bis.1 cod. pen. (capo 1).
Secondo l’imputazione provvisoria, l’indagato avrebbe fatto parte di un sodalizio dedito al narcotraffico, svolgendo il ruolo di pusher del gruppo COGNOME.
Tale gruppo si inseriva nel più ampio sodalizio criminale mafioso operante nel territorio del cosentino, del quale era stato ritenuto partecipe lo stesso indagato, come da precedente ordinanza cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro il 1° settembre 2022.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, Avv. NOME COGNOME denunciando i motivi cli annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 292 cod. proc. pen.
Il Tribunale, con motivazione illogica e contraddittoria, ha respinto l’eccezione difensiva di mancanza nell’ordinanza genetica di una autonoma valutazione.
Invero, dopo aver correttamente riportato i principi di diritto in materia, il Tribunale non li ha di fatto applicati, pervenendo a conclusioni diametralmente opposte.
Il Giudice per le indagini preliminari ha infatti affrontato in poche righe (cfr. pag. 298 dell’ordinanza genetica) la posizione del ricorrente, senza alcun vaglio critico delle fonti indiziarie, semplicemente affermando in modo apodittico che egli era il pusher del sodalizio criminoso.
Non si precisa quali siano le conversazioni rilevanti poste a fondamento di tale conclusione e soprattutto dello specifico ruolo partecipativo assegnato al ricorrente.
Quanto poi alla rilevata genericità del motivo di riesame, si osserva da un lato che la difesa non aveva contestato la possibilità del giudice della cautela di operare un richiamo alla mozione cautelare (ma la mancanza di autonoma valutazione) con la conseguente irrilevanza della mancata indicazione dei passaggi che la ricalcavano; e dall’altro lato che non era onere della difesa (come preteso dal Tribunale) esplicitare i motivi di riesame in modo scritto e formale (di guisa che g li elementi che avrebbero dovuto condurre ad una diversa valutazione erano comunque ricavabili dalla memoria, nella parte dedicata alla gravità indiziaria).
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 297, comma 3 cod. proc. pen.
La difesa aveva sollevato la questione della retrodatazione della misura cautelare da ultimo applicata rispetto ad altra analoga misura eseguita il ppi-io
settembre 2022, emessa in altro procedimento (c.d. Reset) dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale.
Nel primo procedimento la misura cautelare riguardava il reato associativo mafioso, vari reati fine, commessi in concorso con soggetti ritenuti sodali anche in questo procedimento.
Anche in tal caso il Tribunale, dopo aver correttamente esposto i requisiti richiesti per l’operatività del meccanismo previsto dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., ha erroneamente ritenuto la richiesta infondata.
Sussistevano tuttavia tutti i requisiti per la retrodatazione.
La connessione qualificata è ravvisata dallo stesso Giudice per le indagini preliminari che a pag. 18 dell’ordinanza cautelare descrive come questo secondo procedimento, ponendosi nel solco della maxi indagine “Reset”, abbia “disvelato la perduranza e l’attuale operatività di una confederazione di ‘ndrangheta operante nel territorio cosentino, nonché l’esistenza di una vasta associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (capo 1), strutturalmente parallela ovvero comunque ancillare alla predetta confederazione criminale, cui deve dare conto per la sua operatività, sia in termini di autorizzazione allo svolgimento dell’attività di spaccio, che in termini di corresponsione dei proventi illeciti, d destinare in parte alle casse della predetta confederazione”.
Quanto alla desumibilità degli atti, va osservato che tutti gli atti che costituiscono il compendio indiziario e che sono richiamati dal Tribunale a sostegno della gravità indiziaria sono stati acquisiti dal processo “Reset” in data anteriore alla prima misura. A ciò va aggiunto che il ricorrente nel procedimento Reset era stato cautelato per un episodio di cessione di stupefacenti e inserito in una compagine associativa sovrapponibile a quella contestata al capo 1) (ovvero nel gruppo mafioso degli “italiani” e nel sottogruppo di COGNOME) e che era stata già colta dalla pubblica accusa la significatività delle evidenze già acquisite (si veda la richiesta cautelare per il procedimento Reset, dove si assegna al Ferrise la gestione di piazze di spaccio e si fa riferimento ai contrasti per la gestione del territorio, all’episodio dell’arrivo del carico di marijuana nel quale erano coinvolti i sodali COGNOME, COGNOME e il ricorrente, e alla vicenda COGNOME – ovvero ai medesimi elementi posti alla base della presente misura cautelare).
Quindi la scelta di separare i due procedimenti non era affatto necessaria, avendo già il P.M. dato prova di aver potuto esplorare gli elementi indiziari già disponibili e cogliere la loro significanza processuale.
In ordine all’anteriorità dei fatti, va rilevato che l’attività del ricorrent arresta agli inizi del 2020.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 267}74 271 e 291 cod. proc. pen.
Il Tribunale, con motivazione viziata, ha respinto l’eccezione difensiva della mancanza agli atti dei decreti, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni, addossando illegittimamente alla difesa l’onere di allegarli.
Era invece onere del P.M., posto che il compendio indiziario si basa in via esclusiva sulle captazioni, trasmettere tali atti al Tribunale del riesame.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 274 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
In modo censurabile il Tribunale ha ravvisato i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente.
Con automatismo inferenziale, il Tribunale ha tratto dalla partecipazione alla cosca mafiosa la gravità indiziaria anche della adesione del ricorrente al sodalizio dedito al narcotraffico.
Peraltro, nessuno dei numerosi collaboratori, che pur hanno descritto dettagliatamente la compagine di questa associazione (fornendo l’elenco dei pusher) conosce il ricorrente (in contrasto con il “sistema” che è a conoscenza dei traffici sul territorio); il ricorrente compare sulla scena del traffico di stupefacen sempre da solo; nessun elemento dimostra il coinvolgimento del ricorrente nella fase di ricerca dei canali di fornitura (così infatti ricostruisce il P.M. nella s richiesta); la captazione del 27 febbraio 2020 per stessa ammissione del Tribunale ha portata neutra, potendo essere letta in modo diametralmente diverso; né può bastare per dimostrare la sua partecipazione la mera operatività nello smercio di stupefacenti; in ogni caso alcun reato-fine è contestato.
Disposta la trattazione orale del procedimento, a seguito di richiesta nei termini ivi previsti, il Procuratore generale ha depositato una memoria scritta, anticipando le conclusioni nei termini indicati in epigrafe. In particolare, ha rilevato la fondatezza del secondo motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni e nei termini di seguito illustrati.
Il primo motivo è infondato.
Secondo un principio più volte affermato, la nullità dell’ordinanza genetica per mancanza di autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, di cui all’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., va qualificata come nullità generale a regime intermedio e, pertanto, deve essere dedotta ; a pena di decadenza, con la richiesta di riesame (Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, Rv. 282460; Sez. 1, n. 1262 del 20/12/2018, dep. 2019, Rv. 276482).
La sede del riesame è infatti ritenuta quella ultima in cui sia consentito alla parte di far valere la suddetta nullità, una volta ricevuto l’atto viziato.
Con la conseguenza che a tale eccezione non può essere applicato, come pretende il ricorrente, il regime previsto per la richiesta di riesame quanto alla facoltativa (e pur generica) indicazione dei motivi.
Pertanto, la generica esposizione della eccezione non può essere sanata in questa Sede.
Nel caso in esame, il Tribunale ha ritenuto l’eccezione generica in quanto avanzata in modo soltanto formalistico, senza indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali l’asserita accettazione acritica avrebbe impedito apprezzamenti di segno contrario e di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate.
Va a tal riguardo rammentato che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, la previsione dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ad opera dalla legge 16 aprile 2015 n. 47 che ha novellato l’art. 292, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. non ha carattere innovativo, né mira ad introdurre un mero formalismo che imponga la riscrittura originale di ciascuna circostanza di fatto rilevante, essendo stata solo esplicitata la necessità che, dall’ordinanza, emerga l’effettiva valutazione della vicenda da parte del giudicante (tra tante, Sez. 1, n. 8323 del 15/12/2015, dep. 2016, Rv. 265951), e, quindi, il reale esercizio della giurisdizione.
Di qui la necessità, nel far valere il vizio, che la parte interessata indichi g aspetti della motivazione in relazione ai quali l’asserita accettazione acritica avrebbe impedito apprezzamenti di segno contrario e di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (cfr. Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Rv. 277496).
Occorre quindi, pena la genericità della doglianza, che sia delineata la rilevanza causale dell’omissione che si denuncia.
3. Fondato è invece il secondo motivo.
3.1. E’ utile rammentare i principi di diritto in tema di deducibilità dell retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare in sede di riesame.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che la questione relativa ala retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) termine interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare; b) deducibilità dall’ordinanza applicativa della misura coercitiva di tutti gli elementi idonei
giustificare l’ordinanza successiva (Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, Polcino, Rv. 253549).
Per effetto dell’intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 293 del 2013), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 309 cod. proc. pen. in quanto interpretato nel senso che la deducibilità, nel procedimento di riesame, della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari, prevista dall’art. 297, comma 3, del medesimo codice, sia subordinata oltre che alla condizione che, per effetto della retrodatazione, il termine sia già scaduto al momento dell’emissione dell’ordinanza cautelare impugnata – anche a quella che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino da detta ordinanza, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, oltre al requisito di cui alla lettera sopra indicato, sia onere della parte, che invoca la retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare in sede di riesame, provare le altre condizioni richieste per la retrodatazione (tra tante, Sez. 2, Sentenza n. 6374 del 28/01/2015, Rv. 262577).
Quanto alle altre condizioni perché si faccia luogo alla retrodatazione, è sufficiente richiamare gli arresti delle Sezioni Unite di questa Corte che hanno chiarito i requisiti richiesti per far luogo alla retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari in caso di ordinanze emesse in procedimenti diversi:
la anteriorità dei fatti, oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all’emissione della prima (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235910, in tale arresto la Suprema Corte ha precisato che tale requisito non ricorre allorché il provvedimento successivo riguardi un reato di associazione e la condotta di partecipazione alla stessa si sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza);
la desumibilità dei fatti della seconda ordinanza dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza in caso di connessione qualificata, ovvero, quando tale connessione non sussista, la desumibilità degli elementi giustificativi della seconda ordinanza dagli atti al momento della emissione della prima, sempre che i due procedimenti siano in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione possa essere frutto di una scelta del pubblico ministero (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, del). 2007, Librato, Rv. 235909).
Questa Corte ha anche chiarito che, ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare, il requisito dell’anteriorità del fatto rispetto ad un reato associativo con contestazione “aperta” deve essere desunta cIa concreti elementi dimostrativi (Sez. 6, n. 13568 del 29/11/2019, dep. 2020, RV. 278840).
3.2. Nel caso in esame, il Tribunale ha respinto l’eccezione della difesa assumendo implicitamente che il termine della prima misura era interamente scaduto ed espressamente che i fatti della seconda ordinanza erano diversi e non legati da connessione qualificata con quelli della prima ordinanza, che la contestazione in forma aperta del reato associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 era supportata da recenti acquisizioni prodotte in udienza dal P.M. e che difettava il requisito della desumibilità dagli atti degli elementi giustificativi l’emissione del secondo titolo cautelare.
In particolare, secondo l’ordinanza impugnata, il quadro investigativo sarebbe stato arricchito da nuove e recenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia.
3.3. Il Collegio ritiene che la questione sia stata affrontata dal Tribunale con motivazione carente rispetto alle conclusioni rassegnate.
Quanto all’anteriorità dei fatti, nell’esposizione delle evidenze a carico del ricorrente, il Tribunale ha indicato solo elementi indiziari che si attestavano al periodo 2019-2020 e neppure per motivare l’attualità delle esigenze cautelari ha evidenziato più recenti circostanze dimostrative della perdurante partecipazione al sodalizio da parte del ricorrente dopo detto periodo.
Inoltre, il Tribunale non ha argomentato in ordine all’esclusione della connessione qualificata tra i fatti contestati in sede cautelare nei due procedimenti. In ogni caso, anche a voler aderire alla prospettazione della mancanza di connessione qualificata, l’ordinanza impugnata non ha offerto una risposta soddisfacente sul requisito della desumibilità dagli atti, limitandosi genericamenl:e a sostenere che gli elementi posti alla base della seconda ordinanza sono il frutto della “rielaborazione di un vasto, complesso e variegato compendio indiziario/probatorio”, costituito da nutrite informative di p.g., da una consistenl:e mole di intercettazioni e da nuove e recenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia.
La motivazione invero non spiega né la decisività delle nuove acquisizioni indiziarie sulla completezza del quadro indiziario nè perché il compendio indiziario già disponibile non manifestasse all’epoca la propria portata dimostrativa, tanto da richiedere la elaborazione degli elementi probatori acquisiti e la necessaria separazione o la distinta iscrizione delle notizie di reato (Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020, Rv. 279291).
Quanto al primo punto, va evidenziato, a supporto delle deduzioni difensive, che non emergono neppure dalla richiesta cautelare “recenti” acquisizioni rilevanti per il gruppo “DCOGNOME“: il P.M. infatti ha elencato da pag. 1126 a pag. 1250 una serie di captazioni effettuate tra il 2019 e 2020, afferenti a trattative di droga (coinvolgenti anche il ricorrente), e le dichiarazioni di collaboratori rese al , Où-tard-i-
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nel 2019, ritenendo tali evidenze dimostrative dell’esistenza di un sodalizio dedito al traffico di stupefacenti alle dipendenze del COGNOME.
Quanto al secondo profilo, la risposta appare generica perché basata su elementi vaghi ed incerti, viepiù se confrontata con l’ipotesi accusatoria provvisoriamente contestata al ricorrente.
Invero, già la prima ordinanza cautelare (cfr. da pag. 19 della ordinanza genetica emessa nel presente procedimento) aveva collocato la fattispecie associativa mafiosa contestata al ricorrente nell’ambito del c.d. “sistema Cosenza”, ovvero nella confederazione ‘ndranghetistica operante nel territorio cosentino che operava il controllo capillare del territorio in vari settori, tra i quali anche que degli stupefacenti. La sussistenza di un’attività illecita di tale tipologia nel contes degli interessi della cosca confederata era già emersa dal compendio indiziario originario e anche con specifico riferimento alla posizione del ricorrente (che era stato cautelato per una cessione di stupefacente commessa nel settembre 2019).
Quindi, per escludere la desumibilità dagli atti, era necessario spiegare perché quel medesimo materiale indiziario già esaminato ed esplorato per l’emissione della prima ordinanza cautelare non manifestasse il suo significato sin dall’inizio in modo immediato ed evidente anche per l’emissione del secondo titolo custodiale, così da escludere che la scelta di tenere separati i due procedimenti davanti alla stessa autorità giudiziaria non sia stata il frutto di una scelta discrezionale del P.M.
Pertanto, la questione deve essere riesaminata in sede di rinvio alla luce dei rilievi sopra avanzati.
4. Infondato è il terzo motivo.
Il ricorrente aveva sollevato in sede di riesame la questione della inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto non erano stati rinvenuti in at relativi verbali, registrazioni e decreti autorizzativi.
Il Tribunale rilevava che difettava una specifica e tempestiva richiesta della parte di acquisizione di tali atti.
Il motivo di ricorso, nel censurare tale risposta, non si confronta con il pacifico principio, secondo cui la mancata allegazione, da parte del pubblico ministero, dei relativi decreti autorizzativi a corredo della richiesta di applicazione della misura cautelare e la successiva omessa trasmissione degli stessi al tribunale del riesame, a seguito di impugnazione del provvedimento coercitivo, non determina l’inefficacia della misura ex art. 309, comma 10, cod. proc. pen., né l’inutilizzabilità delle captazioni, che consegue, invece, all’adozione dei decreti fuori dei casi consentiti dalla legge o in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 267 e 26 cod. proc. pen., obbligando, purtuttavia, il tribunale ad acquisire tali provveclirfiént a garanzia del diritto di difesa della parte che ne abbia fatto richiesta l a / i fini del
contro
llo circa la loro sussistenza e legittima adozione (Sez. 4, n. 26297 del 15/05/2024, Rv. 286817).
5. Il motivo sui gravi indizi di colpevolezza risulta aspecifico e precluso.
Va rammentato che, in sede di ricorso ex art. 311 cod. proc. pen., non spetta al giudice di legittimità di verificare la consistenza effettiva degli indizi, né operare la rilettura del compendio indiziario, ma soltanto di controllare la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976).
Le censure del ricorrente si risolvono in larga parte nella reiterazione delle doglianze proposte in sede di riesame, senza confrontarsi realmente con gli argomenti esposti nella ordinanza impugnata e operando una non consentita parcellizzazione delle evidenze indiziarie (Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280605).
Il Tribunale, nel rispondere alla doglianza difensiva, volta a sostenere l’estraneità del ricorrente al contesto associativo (nessun collaboratore lo aveva menzionato; non erano contestati reati-fine al ricorrente, se non un unico episodio; il ricorrente aveva agito uti singulis nelle vicende ricostruite attraverso il compendio intercettativo), ha riportato tutte le evidenze che venivano a smentire, in una lettura unitaria, l’assunto.
Così la captazione che dimostrava come il ricorrente fosse stato convolto nelle trattative avviate dal gruppo per nuove forniture di stupefacente; le captazioni che davano atto di come il sodale COGNOME fosse stato individuato da COGNOME come colui che doveva veicolare messaggi al ricorrente, secondo regole convenzionali e linguaggio criptico, note a quest’ultimo; di come l’attività di cessione di stupefacenti svolta dal ricorrente fosse di interesse del gruppo (coinvolto dal capo nella riscossione dei relativi proventi e al mantenimento della clientela); di come il ricorrente avesse dimostrato attivismo e spirito di iniziativa nel reperire altre modalità di smercio della droga a favore del gruppo e di come fosse stato coinvolto nel discutere con gli altri sodali delle dinamiche interne all’associazione (emblematiche sono ritenute quelle relative ai dissidi sorti tra diverse fazioni sul controllo di piazze di spaccio).
Il Tribunale ha anche affrontato la questione relativa al significato di una captazione del febbraio 2020, indicata dalla difesa come dimostrativa dell’estraneità o comunque dell’allontanamento del ricorrente dal gruppo COGNOME. Secondo il Tribunale, questa captazione, ad una lettura autonoma, non aveva il significato univoco, sostenuto dalla difesa, prestandosi
dimostrare la tesi accusatoria (ovvero che il ricorrente era stato sospettato di voler passare nelle fila di altro gruppo operante sul territorio).
Si tratta di conclusione non manifestamente infondata e pertanto non sindacabile in questa Sede (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
Per il resto il ricorso avanza anche argomentazioni di merito, in diretto confronto con le evidenze indiziarie, secondo, quindi, un metodo di analisi notoriamente estraneo al sindacato di legittimità.
Alla stregua delle osservazioni che precedono, l’ordinanza impugnata va dunque annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame sul punto della retrodatazione dei termini di custodia cautelare.
La Cancelleria procederà agli adempimenti di rito.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14/11/2024.