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Retrodatazione custodia cautelare: i limiti della Cassazione

La Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato che chiedeva la retrodatazione della custodia cautelare per reati connessi ma giudicati in procedimenti diversi. La Corte ha stabilito che, in assenza di identità del fatto, è necessaria la prova che gli indizi del secondo reato fossero già desumibili dagli atti del primo procedimento al momento della prima misura, un onere non soddisfatto nel caso di specie.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Retrodatazione Custodia Cautelare: la Cassazione fissa i paletti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29174 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema tecnico ma di fondamentale importanza per la tutela della libertà personale: la retrodatazione della custodia cautelare. Questo istituto, disciplinato dall’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale, mira a evitare che la separazione dei procedimenti per reati connessi possa portare a un’ingiustificata estensione dei termini di detenzione preventiva. La pronuncia in esame chiarisce in modo netto i presupposti per la sua applicazione, distinguendo tra procedimenti formalmente e sostanzialmente diversi.

I Fatti del Caso: Due Misure Cautelari per Reati Connessi

Il caso riguarda un indagato colpito da due distinte ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Tribunale di Lecce.

1. La prima ordinanza, del marzo 2020, era relativa a un reato in materia di stupefacenti (ex art. 73 d.P.R. 309/90), per il quale l’indagato è stato poi condannato con rito abbreviato nel luglio 2020.
2. La seconda ordinanza, emessa nel giugno 2023, riguardava reati più gravi, tra cui l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (ex art. 74 d.P.R. 309/90), commessi in un arco temporale che includeva il periodo precedente alla prima misura.

La difesa dell’indagato aveva richiesto che i termini di durata della seconda misura cautelare venissero fatti decorrere dalla data di esecuzione della prima, invocando appunto la retrodatazione. Secondo la tesi difensiva, i due procedimenti erano sostanzialmente unitari e, in ogni caso, gli elementi indiziari per i reati della seconda ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima.

Il Tribunale del riesame aveva rigettato l’istanza, ritenendo che, pur in presenza di una connessione qualificata tra i reati, non sussistesse il presupposto della ‘desumibilità dagli atti’ al momento della prima misura. Contro questa decisione, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte: i requisiti della retrodatazione custodia cautelare

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale e fornendo importanti chiarimenti sull’applicazione dell’art. 297, comma 3, c.p.p.

Il Rigetto della Nozione ‘Sostanziale’ di Unico Procedimento

Il primo punto affrontato dalla Corte riguarda la tesi difensiva secondo cui i due procedimenti, pur formalmente distinti, costituissero un’unica indagine. La difesa richiamava la nota sentenza ‘Cavallo’ delle Sezioni Unite, relativa però alla diversa materia dell’utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi.

La Cassazione ha respinto questa analogia, sottolineando che la disciplina della retrodatazione custodia cautelare ha una sua specifica ratio e struttura. L’art. 297 c.p.p. distingue esplicitamente l’ipotesi in cui le misure siano emesse nello ‘stesso procedimento’ da quella in cui siano emesse in ‘procedimenti diversi’. Pertanto, non si può dare rilievo a una nozione ‘sostanziale’ di unicità per eludere i requisiti previsti dalla norma. La diversità formale, legata all’iscrizione nel registro delle notizie di reato, mantiene la sua rilevanza.

L’Onere della Prova sulla ‘Desumibilità dagli Atti’

Il cuore della decisione riguarda il requisito della ‘desumibilità dagli atti’. Quando i procedimenti sono diversi, la retrodatazione non è automatica. È necessario che gli elementi indiziari relativi ai reati della seconda ordinanza fossero già concretamente ricavabili dagli atti del primo procedimento prima che questo entrasse nella fase del giudizio.

La Corte ha specificato che la ‘desumibilità’ non equivale a una mera notizia di reato, ma richiede la sussistenza di un quadro indiziario già sufficientemente delineato. La valutazione di tale presupposto è una ‘quaestio facti’, una questione di fatto riservata al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per vizi di manifesta illogicità.

Le Motivazioni della Sentenza

Nelle motivazioni, la Corte ha ritenuto logica e coerente la valutazione del Tribunale. I giudici di merito avevano correttamente evidenziato che l’informativa conclusiva che ha dato origine alla seconda ordinanza era stata depositata nel settembre 2021, ovvero un anno e cinque mesi dopo il decreto di giudizio immediato del primo procedimento. Questo dato temporale rendeva implausibile sostenere che un quadro indiziario grave e completo fosse già disponibile in precedenza.

La circostanza, evidenziata dalla difesa, che la seconda ordinanza menzionasse l’arresto del 2020 come prova di un’attività illecita in corso, non è stata ritenuta decisiva. La Cassazione ha chiarito che tale valutazione del G.I.P. era stata fatta ‘ex post’, sulla base del compendio probatorio complessivo raccolto successivamente, e non dimostrava che quegli stessi elementi fossero già ‘desumibili’ al momento della prima misura cautelare.

Le Conclusioni

La sentenza n. 29174/2024 ribadisce un principio rigoroso: la retrodatazione della custodia cautelare tra procedimenti diversi non è un automatismo derivante dalla mera connessione tra i reati. La parte che la invoca ha l’onere di provare che gli elementi indiziari erano già acquisiti e conoscibili nel primo procedimento. Una valutazione meramente formale, basata sul deposito successivo di atti di indagine, come quella operata dal Tribunale, è stata ritenuta corretta. Questa pronuncia consolida un orientamento che mira a bilanciare la garanzia della libertà personale con l’esigenza di non paralizzare le indagini complesse, che spesso si sviluppano in fasi e tempi diversi.

Quando si applica la retrodatazione della custodia cautelare tra procedimenti diversi per reati connessi?
Si applica a condizione che: 1) i reati oggetto della seconda ordinanza siano stati commessi prima dell’emissione della prima; 2) esista una connessione qualificata tra i reati (es. reato continuato); 3) gli elementi indiziari a carico per i reati della seconda ordinanza fossero già ‘desumibili dagli atti’ del primo procedimento prima del rinvio a giudizio o di un provvedimento equipollente.

La nozione di ‘procedimento diverso’ ai fini dell’utilizzabilità delle intercettazioni (sentenza ‘Cavallo’) è la stessa usata per la retrodatazione?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la soluzione ermeneutica della sentenza ‘Cavallo’ è specifica per la disciplina delle intercettazioni (art. 270 c.p.p.) e non può essere automaticamente estesa alla retrodatazione, la cui disciplina (art. 297 c.p.p.) si basa su una nozione più formale di procedimento, legata all’iscrizione nel registro delle notizie di reato.

Chi deve provare che gli indizi del secondo reato erano ‘desumibili dagli atti’ del primo procedimento?
L’onere della prova grava sulla parte che invoca l’applicazione della retrodatazione, ovvero sulla difesa dell’indagato. È necessario fornire elementi concreti per dimostrare che un quadro indiziario sufficiente a giustificare la seconda misura era già emerso e documentato negli atti del primo procedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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