Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29174 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29174 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a LECCE il 02/08/1970
avverso l’ordinanza del 16/01/2024 del TRIBUNALE DI LECCE, in funzione di giudice del riesama;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG, NOME COGNOME nel senso del rigetto del ricorso; sentite le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME, del Foro di Brindisi, in difesa / dell’indagato NOME COGNOME nel senso dell’accoglimento del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Lecce, con il provvedimento indicato in epigrafe, ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza tesa a ottenere il riconoscimento dell’inefficacia, pe decorrenza dei termini di fase, della custodia cautelare in carcere disposta con ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Lecce il 28 giugno 2023 in applicazione dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. e in virtù di una precedente ordinanza cautelare emessa, in relazione ad altra fattispecie di reato, in procedimento ritenuto diverso dal giudice d’appello e pendente innanzi alla medesima Autorità giudiziaria.
L’operatività dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. è stata invocata dalla difesa in relazione alla precedente ordinanza emessa del G.i.p. del Tribunale di Lecce il 9 marzo 2020, all’esito di convalida di arresto eseguito il precedente 6 marzo e in seno al procedimento n. 2302/2020 R.G.N.R., in ordine a una fattispecie di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, per la quale, previo decreto d giudizio immediato del 14 aprile 2020, NOME COGNOME come detto, è stato condannato il 7 luglio 2020 all’esito di giudizio abbreviato.
Il Tribunale, ricostruiti i fatti processuali e in considerazione del prospettazioni difensive, ha in particolare escluso la sussistenza dei presupposti della «retrodatazione» del termine in relazione alla misura disposta con ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Lecce il 28 giugno 2023 (in seno al procedimento n. 7837/2019 R.G.N.R. ed eseguita 1’11 luglio 2023), con riferimento al delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, contestat come commesso in Merine di Lizzanello e altrove, dal 14 ottobre 2019 al 14 luglio 2020, nonché in merito a plurimi fatti di cui all’art. 73 del citato decreto all’art. 648 cod. pen., commessi in data antecedente al 6 marzo 2020 e in esecuzione del programma associativo.
Ritenuta dai giudici di merito trattarsi di ordinanza, la seconda, emessa in procedimento diverso e per reati in connessione qualificata con quello di cui alla precedente ordinanza, è stata esclusa l’operatività dell’invocato istituto in ragione dell’assenza del requisito della desumibilità dagli atti, dei gravi indizi colpevolezza, antecedentemente all’adozione del decreto di giudizio immediato con riferimento al reato sotteso alla prima ordinanza cautelare.
Avverso l’ordinanza d’appello l’indagato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione articolando un unico motivo complesso, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173,
comma 1, disp. att. cod. proc. pen.), con il quale, nella sostanza, si deducono la violazione dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. nonché vizio cumulativo di motivazione.
3.1. Per il ricorrente, il Tribunale, al pari del G.i.p., avrebbe correttament ritenuto i reati sottesi alle due ordinanze cautelari in connessione qualificata tra loro nonché commessi, quelli di cui alla seconda ordinanza, anteriormente all’adozione del primo provvedimento cautelare. Sarebbero stati però erroneamente ritenuti diversi i procedimenti (pendenti innanzi alla medesima Autorità), nonostante quanto prospettato dalla difesa nel giudizio d’appello, e, comunque, desumibili dagli atti gli elementi afferenti alla gravità indiziaria circa reati sottesi alla seconda ordinanza, già in tempo anteriore all’adozione del primo provvedimento cautelare e comunque prima del decreto di giudizio immediato emesso per il reato di cui alla prima ordinanza.
3.2. In primo luogo, il Tribunale, come emergerebbe da pag. 4 dell’ordinanza impugnata, avrebbe ritenuto la diversità dei procedimenti in termini apodittici e, comunque, in forza del mero dato formale della diversa iscrizione, peraltro in una ipotesi in cui il procedimento avente a oggetto i reati sottesi alla seconda ordinanza recherebbe un numero di registro generale antecedente a quello relativo al reato per cui è stata emessa la prima ordinanza. Secondo il ricorrente dovrebbe farsi riferimento a una nozione sostanzialistica di diverso procedimento, così dissentendo da quanto ritenuto da Sez. F, n. 32427 del 28/07/2022, Molfetta, non massimata.
La tesi della difesa trarrebbe argomentazioni dalla giurisprudenza formatasi in tema di utilizzabilità delle intercettazioni disposte in altri procedimenti ex a 270 cod. proc. pen. (il riferimento specifico è a Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277395).
Aderendo alla nozione prospettata dal ricorrente, i due procedimenti, ancorché recanti date di iscrizione e numeri diversi, integrerebbero sostanzialmente un medesimo procedimento in ragione dell’uniformità di condotte di reato, in materia di stupefacenti e comunque in connessione qualificata tra loro, e della continuità di indagini nell’ambito di un unico contest spazio-temporale, essendo emerso il reato di cui alla prima misura cautelare a seguito di attività di riscontro degli elementi emergenti dalle intercettazion disposte nel procedimento culminato nella seconda misura cautelare (come emergerebbe dalla seconda ordinanza custodiale).
Sicché, conclude sul punto il ricorso (facendo riferimento ai principi di cui a Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, Rahulia), trattandosi di due ordinanze cautelari emesse nell’ambito dello stesso procedimento, per reati in connessione
qualificata, la retrodatazione opererebbe automaticamente, cioè a prescindere dalla anteriore desumibilità dagli atti, nella specie esclusa dal giudice di merito.
3.3. In secondo luogo, sostanzialmente in subordine rispetto a quanto prospettato con l’evidenziato profilo di censura, il ricorrente deduce che solo formalmente il Tribunale avrebbe ritenuto non desumibili dagli atti gli elementi inerenti alla gravità indiziaria circa i reati sottesi alla seconda ordinanz antecedentemente all’adozione della prima ordinanza e, comunque, antecedentemente al decreto di giudizio immediato per il reato di cui al primo provvedimento cautelare.
Con approccio meramente formalistico, definito in ricorso «notarile», il giudice d’appello avrebbe difatti escluso la detta desumibilità in ragione del deposito, nel solo procedimento in seno al quale è stata adottata la seconda ordinanza, dell’informativa conclusiva in data 22 settembre 2021, cioè circa un anno e cinque mesi dopo il decreto di giudizio immediato per il reato di cui alla prima ordinanza, così ritenendo non soddisfatto l’onere probatorio gravante in capo all’instante e avente a oggetto i presupposti per l’operatività dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
Il Tribunale, in sostanza, non avrebbe effettuato una concreta valutazione degli elementi emergenti dagli atti a disposizione, in particolare le ordinanze cautelari e la citata informativa conclusiva, al fine di verificare, in concreto, alla data di emissione del decreto di giudizio immediato (il 16 aprile 2020) vi fossero, a prescindere quindi dal successivo deposito della detta informativa, elementi già acquisiti idonei a sostenere l’istanza cautelare accolta con la seconda ordinanza.
Limitandosi al dato formale costituito dalla data dell’avvenuto deposito dell’informativa conclusiva, sottesa alla richiesta cautelare accolta con la seconda ordinanza, il giudice di merito non si sarebbe neanche confrontato con la specifica deduzione difensiva volta a soddisfare l’onere probatorio invece ritenuto non assolto. Il riferimento specifico è alla circostanza per cui proprio nella seconda ordinanza cautelare, peraltro emessa a carico anche di NOME COGNOME per aver commesso, in concorso con l’attuale ricorrente, il reato sotteso alla prima ordinanza cautelare emessa a carico di NOME COGNOME si leggerebbe che «la prova tangibile che effettivamente la coppia COGNOME si prodigherebbe a riscuotere i debiti degli acquirenti di stupefacente del BRAI’ emergeva quando la stessa era tratta in arresto il 06.03.2020 …».
4. Le parti hanno discusso e concluso nei termini di cui in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, complessivamente considerato, è infondato.
Le questioni di cui al motivo di ricorso ineriscono all’istituto della c.d «retrodatazione», contemplato dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., così come letto dalla Consulta e interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, nei termini, che si intendono ribadire, di recente ricostruiti da Sez. 4, n. 21075 del 13/04/2022, Caldarola, in motivazione, e ripresi da Sez. 4, n. 28818 del 17/05/2023, Ferrara, in motivazione.
2.1. L’istituto in esame consiste nel «riallineamento» tra misure cautelari che, pur dovendo essere coeve, sono state separatamente adottate, determinando uno «slittamento all’indietro» della data di esecuzione del provvedimento cautelare successivo fino alla data di esecuzione di quello iniziale. Ciò in adesione alle prospettazioni provenienti tanto dalla più attenta dottrina quanto dalla più recente giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, in motivazione), da ritenersi corrette e condivisibili i quanto tali da considerare le varie ipotesi applicative dell’istituto che vanno ben oltre quella caratterizzata dalla medesimezza del fatto di cui alle diverse misure cautelari.
2.2. Quando nei confronti di un soggetto sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste un connessione qualificata, la «retrodatazione» opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza. I casi di connessione rilevanti a fini della retrodatazione sono, ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., solo quelli di concorso formale di reati, di reato continuato e nesso teleologico tra reati commessi per eseguire gli altri, previsti dall’art. 12, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen. Nel caso in cui l ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del Pubblico Ministero (come ricordato di recente da Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, in motivazione, all’esito di una dettagliata ricostruzione dell’evoluzione normativa dell’istituto e alla luce della giurisprudenza di legittimità e costituzionale in tema di «contestazioni a catena»).
Ne consegue che la regola della retrodatazione concerne normalmente misure adottate nello stesso procedimento e può applicarsi a misure disposte in un procedimento diverso solo nelle ipotesi testé indicate (Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235909; Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231058). Qualora invece si tratti di procedimenti pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi, la retrodatazione della seconda ordinanza non potrebbe operare in mancanza dell’effettiva sussistenza dell’invocata connessione qualificata tra i fatti oggetto dei due provvedimenti cautelari.
Nei termini di cui innanzi si esprimono difatti le citate Sezioni Unite n. 23166 del 2020 le quali, richiamando le precedenti Sezioni Unite «Librato» (sentenza n. 14335 del 2007), osservano puntualmente che «la diversità delle autorità giudiziarie procedenti indica una diversità di competenza, e fa ritenere che i procedimenti non avrebbero potuto essere riuniti e che quindi la sequenza dei provvedimenti cautelari non è il frutto di una scelta per ritardare la decorrenza della seconda misura. Se la competenza appartiene a giudici diversi, il primo non ha ragione di disporre una misura cautelare per fatti di competenza del secondo, anche perché, a norma dell’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., il giudice incompetente è tenuto a disporre la misura cautelare nel solo caso in cui “sussiste l’urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p.”, e questa urgenza manca se il giudice riesce a soddisfare le esigenze cautelari disponendo la misura per i fatti di propria competenza».
Tanto l’esistenza della connessione rilevante ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, COGNOME, in motivazione), quanto la «desurnibilità dagli atti» del primo procedimento degli elementi idonei e sufficienti per adottare i diversi provvedimenti cautelari (Sez. 6, n. 12676 del 20/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236829) costituiscono quaestiones facti, la cui valutazione è riservata ai giudici di merito ed è sindacabile dal giudice di legittimità esclusivamente sotto il profilo della logicità e coerenza descrittiv delle emergenze processuali e probatorie, nonché della congruenza e non contraddittorietà delle relative analisi e dei pertinenti passaggi argomentativi (ex plurimis, Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, in motivazione).
Occorre aggiungere infine che, a seguito della pronuncia resa da Corte cost., sent. n. 233 del 2011, l’istituto della retrodatazione è applicabile anche nel caso in cui, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia sta condannato con sentenza passata in giudicato, emessa anteriormente all’adozione della seconda misura cautelare, il cui termine di durata, pertanto, dev’essere fatto regredire alla data di applicazione della prima misura.
2.3. In conclusione, evidenziano ancora le citata Sez. 4, n. 21075 del 2022 Caldarola, e n. 28813 del 2023, Ferrara, le fattispecie processuali in grado di azionare il meccanismo della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della custodia cautelare, di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., sono molteplici e tra loro profondamente eterogenee.
Il dato che più di tutti condiziona la gamma dei presupposti applicativi della regola in esame è il nesso che intercorre tra i fatti oggetto delle diverse contestazioni cautelari: quanto più è intenso questo legame, tanto più la struttura della fattispecie processuale risulta semplificata e l’ambito applicativo della retrodatazione si dilata, laddove, invece, conseguenze opposte si innestano mano a mano che il legame tra i fatti si vada progressivamente ad affievolire (Sez. 6, n. 13568 del 29/11/2019, COGNOME, in motivazione).
2.4. Ai fini dell’operatività dell’istituto, in particolare, devono ricor l’«identità del fatto» (benché diversamente circostanziato o qualificato), nel qual caso la «retrodatazione» opera automaticamente, oppure, in caso di reati diversi, i presupposti di seguito indicati.
2.4.1. Tra essi il primo e determinante è costituito dall’anteriorità dei fat oggetto della seconda ordinanza rispetto alla data in cui è stata adottata la prima (circa l’anteriorità si vedano, ex plurimis, Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, in motivazione, oltre che Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020, COGNOME, in motivazione, pag. 24 e ss., alla quale si deve la sintesi dei presupposti legittimanti la retrodatazione, di seguito mutuata e specificata, e che fa riferimento all’intera consumazione del reato oggetto della seconda ordinanza in epoca anteriore alla prima).
Quanto all’individuazione delle condizioni legittimanti l’operatività della retrodatazione in caso di «fatti diversi», non si dubita infatti che retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, disposta per differenti reati, presupponga, in ogni caso, che la seconda ordinanza abbia a oggetto fatti commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza. Ciò, tanto in forza della ratio sottesa alla norma, che mira a evitare, a date circostanze, la protrazione della misura custodiale e non a rendere sostanzialmente inattuabile il procedimento cautelare con riferimento a fattispecie non ancora commesse o interamente commesse, quanto in virtù di locuzioni utilizzate dalla norma e tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l’emissione della prima ordinanza. Soltanto rispetto a condotte illecite anteriori alla custodia cautelare disposta con la prima ordinanza può quindi ragionevolmente operarsi la retrodatazione di misure adottate in un momento successivo, come si desume dalla lettera dell’art. 297, comma 3, c.p.p., che prende in considerazione solo i «fatti diversi commessi anteriormente
all’emissione della prima ordinanza» (sul punto si vedano, ex plurimis: Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, Rahulia, Rv. 231057; Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 235910; Sez. 6, n. 21029 del 04/05/2021, COGNOME, in motivazione; Sez. 1, n. 20135 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, in motivazione; Sez. 2, n. 16595 del 06/05/2020, COGNOME, in motivazione; Sez. 6, n. 13568 del 29/11/2019, COGNOME, in motivazione; Sez. 6, n. 11807 del 11/02/2013, COGNOME, Rv. 255721).
2.4.2. Circa gli altri presupposti, nel dettaglio, nel caso di non identità de fatto e di intera consumazione del reato di cui alla seconda ordinanza in epoca anteriore alla prima, per l’operatività dell’istituto è necessario che il reato s stato commesso: (1) con la medesima azione od omissione con cui è stato commesso il primo (concorso formale); oppure (2) in esecuzione di un medesimo disegno criminoso (continuazione); oppure ancora (3) per eseguire il primo reato (connessione teleologica). In questi casi, però, la retrodatazione degli effetti della seconda ordinanza: (i) opera automaticamente, se emessa nell’ambito del medesimo procedimento (salva la prova della connessione qualificata); (ii) è subordinata alla prova della desumibilità dagli atti alla data del rinvio a giudizio se emessa in procedimento diverso (Sez. 4, n. 21075 del 2022, COGNOME, cit., e Sez. 4, n. 28813 del 2023, Ferrara, cit.).
2.4.3. Nel caso invece, diverso da quello di specie, di fatti (diversi) oggetto di differenti procedimenti ma non in rapporto di connessione qualificata, ai fini dell’operatività della retrodatazione, è necessaria la desunnibilità dagli atti degl elementi giustificativi della seconda ordinanza cautelare già dal momento dell’emissione della prima ordinanza ma solo se i procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del Pubblico Ministero. Qualora invece si tratti di procedimenti pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi, la retrodatazione della seconda ordinanza non opera in mancanza dell’effettiva sussistenza dell’indicata connessione qualificata tra i fatti oggetto dei due provvedimenti cautelari (Sez. 4, n. 21075 del 2022, COGNOME, cit., e Sez. 4, n. 28813 del 2023, Ferrara, cit.).
2.5. In ogni caso non osta all’applicazione della retrodatazione la circostanza in forza della quale per i reati oggetto della prima ordinanza sia intervenuta condanna irrevocabile anteriormente all’emissione della seconda (Corte cost., sent. n. 233 del 2011).
2.6. Della sussistenza dei presupposti della connessione qualificata e della desumibilità dagli atti (nei casi in cui essi sono richiesti) è necessaria la prov (art. 187, comma 2, cod. proc. nen.) della quale deve farsi carico la parte che invoca l’applicazione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare (Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020, Flandina, in motivazione;
Sez. 4, n. 21075 del 2022, Caldarola, cit., Sez. 4, n. 28813 del 2023, Ferrara, cit., Sez. 3, n. 18671 del 15/01/2015, Rv. 263511, Sez. 2, n. 6374 del 28/01/2015, Rv. 262577, Sez. 5, n. 49793 del 05/06/2013, Rv. 257827). La relativa decisione, peraltro, può essere sindacata in sede di legittimità nei limit stabiliti dall’art. 606, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, in motivazione, Sez. 4, n. 21075 del 2022, Caldarola, cit., Sez. 4, n. 28813 del 2023, Ferrara, cit., Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020, COGNOME, in motivazione).
2.7. Ai fini della «desumibilità dagli atti», infine, il fatto storico oggett contestazione non va confuso con la prova dello stesso; non è sufficiente, altresì, né la mera notizia del fatto-reato, essendo indispensabile che già sussista il quadro legittimante l’adozione della misura, né che l’ordinanza emessa successivamente si fondi su elementi già presenti nel primo procedimento, perché, in molti casi, gli elementi probatori non manifestano immediatamente e in modo evidente il loro significato (Sez. 4, n. 28813 del 2023, Ferrara, cit., Sez. 4, n. 21075 del 2022, COGNOME, cit., Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279291; sull’istituto in esame in termini generali si veda anche Sez. 4, n. 30062 del 07/07/2022, COGNOME, in motivazione).
Premesso quanto innanzi circa l’istituto in esame, in ordine al merito cassatorio occorre rilevare che il giudice dell’appello cautelare, come evidenziato dallo stesso ricorrente: a) ha escluso l’identità del fatto, relativamente ai due diversi procedimenti pendenti innanzi alla medesima autorità giudiziaria; b) ha ritenuto gli stessi fatti in connessione qualificata tra loro, nonché commessi, quelli di cui alla seconda ordinanza cautelare, anteriormente all’adozione del primo provvedimento cautelare (in data 9 marzo 2020 e all’esito della convalida dell’arresto in flagranza del precedente 6 marzo). È stato altresì escluso il presupposto della desumibilità dagli atti, dei gravi indizi di colpevolezza in merito ai reati di cui alla seconda ordinanza, già all’epoca dell’adozione della prima ordinanza e comunque alla data del decreto di giudizio immediato per i fatti sottesi al primo provvedimento cautelare.
Orbene, è infondato il primo profilo di doglianza con il quale si deduce l’errore nel quale sarebbe incorso il Tribunale nel ritenere la non unicità del procedimento, nonostante l’elemento della connessione qualificata sussistente tra le fattispecie sottese alle due ordinanze cautelari e l’essere stato accertato, i reato di cui all’arresto in flagranza, all’esito di attività di riscontro degli ele emersi dalle intercettazioni disposte nell’altro procedimento (iscritto per primo). Unicità che, invece, se fosse stata ritenuta, avrebbe reso automatica la
retrodatazione a prescindere dal requisito, escluso nella specie dal giudice di merito, dell’anteriore «desumibilità dagli atti» (in forza del c.d. «diritto vivent sintetizzato al precedente paragrafo 2.4.2.).
4.1. Come evidenziato in sede di ricostruzione del fatto processuale, il ricorrente richiama a sostegno della propria tesi una nozione «sostanziale» di procedimento elaborata dalla citata sentenza «Cavallo» (Sez. U, n. 51 del 2019, del 2020).
4.2. La tesi è infondata, come già chiarito dalla Suprema Corte, in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile alla presente, con sentenza espressamente non condivisa dal ricorrente in sede di discussione orale (il riferimento è alla citat Sez. F, n. 32427 del 2022, Molfetta, in motivazione).
È stato in particolare premesso che la citata pronuncia delle Sezioni Unite «Cavallo» riguarda l’interpretazione del sintagma «diversi procedimenti» ai fini della perimetrazione del divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazio previsto dall’art. 270 cod. proc. pen. La soluzione ermeneutica adottata dal Supremo Consesso, volta a privilegiare, ai fini della individuazione della unicità del procedimento, il dato sostanziale della connessione ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen. rispetto a quello strutturale dell’iscrizione nel registro delle notizie reato, è stata espressamente elaborata con riferimento alla specifica disciplina delle intercettazioni e non si presta a essere automaticamente trasposta ad altri ambiti, tra cui quello in oggetto. Le stesse Sezioni Unite hanno difatti dato atto, proprio nella sentenza in esame, della plurivocità semantica del termine «procedimento», utilizzato dal codice di rito in termini tutt’altro che univoci, or in relazione alle scansioni processuali, in contrapposizione al «procedimento», ora, invece, con riferimento al singolo reato (art. 12 cod. proc. pen.).
A ulteriore conferma dell’impossibilità di adottare, ai fini di cui all’art. 2 comma 3, cod. proc. pen., la medesima nozione di procedimento elaborata dalle Sezioni Unite «Cavallo» in relazione all’art. 270 cod. proc. pen., è stato condivisibilmente aggiunto che proprio la disciplina del meccanismo della retrodatazione, in cui si prevede espressamente l’ipotesi della sussistenza di una connessione, peraltro qualificata, tra i reati, distinguendo a seconda che le ordinanze siano state emesse in un unico o in diversi procedimenti, costituisce un importante indice normativo della non condivisibilità della tesi difensiva e del rilievo del diverso criterio da adottare ai fini della operatività dell’istit esame, legato al dato dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato.
4.3. In questa sede, deve altresì aggiungersi quanto segue, quale ulteriore fondamento della tesi opposta a quella prospettata in ricorso.
Dare rilievo, come sostiene il ricorrente, al fine di ritenere l’unicità d procedimento, alla circostanza per cui la prima ordinanza sia tata emessa con /
riferimento a reato accertato, in termini di gravità indiziaria, all’esito di attivi riscontro degli elementi emersi dalle intercettazioni disposte nell’altro procedimento (nella specie, iscritto per primo), vorrebbe sostanzialmente dare risalto alla, eventuale, «desumibilità dagli atti», al momento dell’adozione della prima ordinanza, della gravità indiziaria con riferimento al reato sotteso alla seconda ordinanza. Desumibilità che, come innanzi detto, per il diritto vivente è invece presupposto diverso e ulteriore di operatività della «retrodatazione». Il dato dell’irrilevanza della circostanza per cui le due ordinanze siano state emesse in procedimenti diversi quali «gemmazione» di un unico procedimento, vale a dire che siano la conseguenza di una separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che i due procedimenti abbiano avuto autonome origini, è stato peraltro già evidenziato da Sez. 1, n. 26093 del 15/02/2018, Bruzzese, Rv. 273132, in motivazione, facendo riferimento alle citate sentenze delle Sezioni Unite «Librato» e, soprattutto, «Rahulia», ove si fa l’esempio di diversi procedimenti che hanno origine da una separazione oppure da iniziative autonome.
Nella specie, peraltro, milita a sfavore della tesi difensiva, costituendo argomentazione a fortiri della opposta soluzione ermeneutica circa il significato e la portata della diversità dei procedimenti, la circostanza per cui, come emerge dal provvedimento impugnato ma sul punto non sindacato, i procedimenti in seno ai quali sono state adottate le due ordinanze cautelari versano in fasi diverse: uno, quello di cui all’ordinanza che si intende retrodatare, versa nella fase delle indagini preliminari e l’altro, quello in forza del quale si invo l’operatività dell’istituto, versa in fase processuale, in forza del disposto giudiz abbreviato, definita con sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato il 7 luglio 2020, cioè antecedentemente alla seconda ordinanza cautelare.
5. È invece inammissibile, in parte perché manifestamente infondato e in parte per aspecificità in ragione del mancato confronto con la ratio decidenti sottesa alla decisione impugnata, il secondo profilo di censura, che appunta sull’apparato motivazionale relativo alla ritenuta insussistenza del presupposto della desumbilità dagli atti, dei gravi indizi di colpevolezza in merito ai reati di alla seconda ordinanza, già all’epoca dell’adozione della prima ordinanza e comunque alla data del decreto di giudizio immediato per i fatti sottesi al primo provvedimento cautelare (per l’inammissibilità del motivo di ricorso che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex plurimis: Sez. 4, n. 2644 del 16/12/2022, dep. 2023, Fiore, in motivazione; Sez. 4, n. 49411 del 26/10/2022, Troplini, in motivazione; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584).
5.1. Ritenendo correttamente trattarsi di due diversi procedimenti, il Tribunale ha altresì escluso il presupposto della desumibilità dagli atti, dei gravi indizi di colpevolezza in merito ai reati di cui alla seconda ordinanza, già all’epoca dell’adozione della prima ordinanza e comunque alla data del decreto di giudizio immediato per i fatti sottesi al primo provvedimento cautelare, con motivazione coerente, non manifestamente illogica oltre che in linea con i principi innanzi richiamati.
L’informativa finale sottesa all’adozione della seconda ordinanza cautelare (emessa il 28 giugno 2023 in seno al procedimento 7827/2019 R.G.N.R. ed eseguita I’ll luglio 2023), ritenuta tale da caratterizzare di specifica significan processuale gli atti in vista di una richiesta cautelare, come precisato dal giudice di merito, è stata difatti depositata il 22 settembre 2021, cioè circa un anno e cinque mesi dopo il decreto di giudizio immediato avente a oggetto i fatti sottesi al primo provvedimento cautelare (relativo al procedimento n. 2302/2020 R.G.N.R.) e finanche dopo la condanna in primo grado per i detti fatti (emessa all’esito del giudizio abbreviato il 7 luglio 2020).
Diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, il provvedimento è altresì lungi dal non confrontarsi con quanto dedotto dalla difesa circa il riferimento contenuto nella seconda ordinanza proprio all’arresto della correa di NOME COGNOME avvenuto il 6 marzo 2020.
In merito, il Tribunale difatti chiarisce che si tratta proprio di deduzioni d G.i.p. effettuate in ragione del complesso compendio emergente dall’informativa finale; apparato motivazionale, quello di cui innanzi, insuscettibile di censure in questa sede in quanto coerente e non manifestamente illogico. Tanto l’esistenza della connessione rilevante ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, COGNOME, in motivazione) quanto la «desumibilità dagli atti» del primo procedimento degli elementi idonei e sufficienti per adottare i diversi provvedimenti cautelari (Sez. 6, n. 12676 del 20/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236829-01) costituiscono difatti quaestiones facti, la cui valutazione è riservata ai giudici di merito ed è sindacabile dal Giudice di legittimit esclusivamente sotto il profilo della logicità e coerenza descrittiva delle emergenze processuali e probatorie, nonché della congruenza e non contraddittorietà delle relative analisi e dei pertinenti passaggi argomentativi (ex plurimis, Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, in motivazione).
5.2. Argomentando nei termini di cui innanzi l’ordinanza impugnata ha peraltro fatto propri i principi sanciti nella detta materia dalla Suprema Corte, come innanzi richiamati, con particolare riferimento all’essere la richiesta retrodatazione sfornita di supporto probatorio.
Della sussistenza del presupposto della «desumibilità dagli atti», così come di quello della connessione qualificata, è difatti necessaria la prova (art. 187,
comma 2, cod. proc. pen.) della quale, diversamente da quanto avvenuto nella specie, deve difatti farsi carico la parte che invoca l’applicazione della
retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare (Sez. 3, n.
20002 del 10/01/2020, COGNOME, in motivazione; Sez. 3, n. 18671 del
15/01/2015, COGNOME, Rv. 263511; Sez. 2, n. 6374 del 28/01/2015, COGNOME,
Rv. 262577; Sez. 5, n. 49793 del 05/06/2013, Guardiano, Rv. 257827). Il giudice del riesame ha altresì mostrato aderenza al principio per cui ai fini della
«desumibilità dagli atti», da intendersi in termini di specifica significanz processuale degli atti ai fini della gravità indiziaria fondante la richies
cautelare, il fatto storico oggetto di contestazione non va confuso con la prova dello stesso. Non è sufficiente, altresì, né la mera notizia del fatto reato, essendo
indispensabile che già sussista il quadro legittimante l’adozione della misura, né
che l’ordinanza emessa successivamente si fondi su elementi già presenti nel primo procedimento, perché, in molti casi gli elementi probatori non manifestano
immediatamente e in modo evidente la detta significanza (Sez. 3, n. 20002 del 2020, Flandina, cit.).
In conclusione, il ricorso, complessivamente considerato, deve essere rigattato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis del citato articolo 94.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 15 maggio 2024
Il Pres ente