Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14734 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14734 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME, nato in Senegal il DATA_NASCITA (CUI 05F10C2) NOME COGNOME, nato in Senegal il DATA_NASCITA (CUI CODICE_FISCALE)
avverso l’ordinanza del 30/10/2023 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibili i ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30/10/2023, la Corte di appello di Torino dichiarava non luogo a provvedere sull’istanza con la quale NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano chiesto di autorizzare il proprio difensore ad incassare somme di denaro, già loro sequestrate, di cui era stata disposta la restituzione agli aventi diritto.
Propongono ricorso per cassazione i due istanti, deducendo – con unico motivo – l’erronea interpretazione ed applicazione di norma di legge. La Corte di appello avrebbe steso una motivazione manifestamente carente ed illogica, con la
quale avrebbe di fatto disapplicato un provvedimento dell’autorità giudiziaria: in particolare, le somme in questione – già sequestrate e poste in un libretto di risparmio postale a nome dei ricorrenti – non sarebbero state restituite a questi in quanto privi di un documento di identità, loro richiesto presso l’ufficio postale. L’unico modo che gli interessati avrebbero per ottenere la somma dissequestrata, pertanto, sarebbe la delega al difensore, in carta semplice, non potendo gli stessi rilasciare una procura speciale notarile, sempre per mancanza del documento d’identità. Nei termini richiesti, peraltro, si sarebbero già espressi altri Giudici dello stesso Ufficio, così confermando la correttezza della domanda.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi risultano inammissibili.
Premesso che la Corte di appello di Torino ha disposto la restituzione ai ricorrenti delle somme di denaro in oggetto, lo stesso Ufficio ha poi correttamente dichiarato non luogo a provvedere con riguardo alla domanda, dagli stessi formulata, volta ad ottenere la rimozione di un ostacolo alla restituzione medesima, quale la mancanza di un documento di identità in capo agli istanti. Come sostenuto nell’ordinanza impugnata, infatti, non rientra nelle competenze del giudice la determinazione circa le modalità di esecuzione del provvedimento restitutorio.
4.1. Questa considerazione appare del tutto condivisibile ed in linea con la lettera dell’art. 676, comma 1, cod. proc. pen.; tra le altre competenze attribuite al giudice dell’esecuzione, infatti, sono indicate quelle relative “alla restituzione delle cose sequestrate”, espressione da riferire agli incidenti che coinvolgono l’individuazione degli aventi diritto alla restituzione stessa e del loro interesse, o la misura del provvedimento, non anche quelli nei quali – pacifici questi riferimenti – si discuta soltanto di modalità esecutive della restituzione. Nel caso di specie, peraltro, accogliere nel merito l’istanza (in sé evidentemente riproponibile) comporterebbe il sindacato giurisdizionale su previsioni esclusivamente amministrative, quali quelle che regolano la restituzione delle somme sequestrate da parte di RAGIONE_SOCIALE; in altri termini, l’accoglimento dei ricorsi s tradurrebbe nell’individuazione, per via giudiziaria, di un’evidente eccezione alla regola amministrativa – sostenuta da una ratio tanto evidente quanto inoppugnabile – secondo cui la restituzione delle somme può essere disposta soltanto nelle mani dell’avente diritto o in quelle di persona a ciò delegata, con presentazione di un regolare il documento d’identità del delegante.
I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2024
Il Presidente