LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Restituzione somme sequestrate: la prova dello ius possidendi

Un individuo assolto da un’accusa penale ha richiesto la restituzione di una cospicua somma di denaro trovata nascosta nell’auto che aveva noleggiato. La Corte di Cassazione ha negato la richiesta, stabilendo un principio fondamentale: per ottenere la restituzione somme sequestrate non basta la semplice detenzione materiale del bene, ma è necessario fornire una prova rigorosa del proprio legittimo diritto (ius possidendi). In mancanza di tale prova, i beni vengono devoluti allo Stato.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 13 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione somme sequestrate dopo l’assoluzione: non basta il possesso, serve la prova del diritto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 8027/2025) ha ribadito un principio cruciale in materia di restituzione somme sequestrate: l’assoluzione in un processo penale non garantisce automaticamente il diritto a riavere i beni che erano stati sottoposti a sequestro. Il richiedente ha l’onere di dimostrare in modo rigoroso la propria legittima titolarità sul bene, il cosiddetto ius possidendi, non potendo fare affidamento sulla semplice presunzione derivante dal possesso materiale (favor possessionis).

I fatti del caso

La vicenda trae origine dalla richiesta di restituzione di una somma di circa 114.000 euro, avanzata da un uomo che era stato precedentemente assolto con formula piena (“perché il fatto non sussiste”). Il denaro era stato rinvenuto durante un controllo, occultato all’interno di un pannello di un’autovettura che l’uomo aveva preso a noleggio.

Nonostante l’esito assolutorio del giudizio penale, il Tribunale in funzione di giudice dell’esecuzione aveva rigettato la richiesta di restituzione. La motivazione? L’interessato non aveva fornito alcun elemento concreto per provare il suo legittimo diritto su quella somma di denaro. Di conseguenza, il Tribunale aveva disposto che il denaro fosse devoluto alla Cassa delle ammende, come previsto dalla legge per i beni sequestrati il cui avente diritto risulti ignoto o irreperibile.

La decisione della Corte di Cassazione

L’uomo ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua assoluzione piena e il fatto che il denaro fosse nella sua disponibilità avrebbero dovuto essere sufficienti a giustificarne la restituzione. A suo avviso, doveva prevalere il principio del favor possessionis.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando integralmente la decisione del Tribunale. I giudici hanno chiarito che la giurisprudenza più recente e consolidata è concorde nel richiedere, ai fini della restituzione, una prova positiva e rigorosa dello ius possidendi. Il semplice possesso non basta.

Le motivazioni della Corte sulla restituzione somme sequestrate

La Corte ha spiegato che la disciplina sulla restituzione somme sequestrate distingue nettamente tra il soggetto a cui il bene è stato materialmente sequestrato e l'”avente diritto” alla restituzione. Dopo una sentenza definitiva, la restituzione deve avvenire in favore di chi può dimostrare un titolo giuridico legittimo e apprezzabile sul bene.

Nel caso specifico, le circostanze erano altamente sospette: una grossa somma di denaro contante era stata accuratamente nascosta in un’auto non di proprietà, senza alcuna spiegazione o documento che ne giustificasse la provenienza o la destinazione. In questo contesto, il mero richiamo al favor possessionis è risultato del tutto insufficiente. Il richiedente avrebbe dovuto fornire prove concrete (es. documenti bancari, contratti, testimonianze) per dimostrare che quel denaro gli apparteneva legittimamente.

La Cassazione ha affermato che l’orientamento giurisprudenziale che in passato dava maggior peso al favor possessionis deve considerarsi ampiamente superato. Oggi, il giudice dell’esecuzione ha il dovere di accertare l’effettiva esistenza di un diritto alla restituzione, e in mancanza di prove, deve applicare la norma che prevede la devoluzione dei beni alla Cassa delle ammende (art. 154, d.P.R. 115/2002).

Conclusioni

Questa sentenza consolida un importante principio di diritto: chi chiede la restituzione di beni sequestrati, anche se assolto, non può limitarsi a invocare il fatto di esserne stato il possessore materiale al momento del sequestro. È indispensabile fornire al giudice una prova positiva e convincente del proprio diritto legittimo su quei beni. In assenza di tale dimostrazione, soprattutto in presenza di circostanze anomale, lo Stato è legittimato a trattenere le somme, destinandole alla Cassa delle ammende. La decisione sottolinea la necessità di trasparenza e legalità nella circolazione del denaro, ponendo un onere probatorio specifico su chi reclama beni sequestrati in contesti poco chiari.

Dopo un’assoluzione, si ha sempre diritto alla restituzione dei beni sequestrati?
No. L’assoluzione non comporta automaticamente il diritto alla restituzione. La persona che richiede i beni deve fornire la prova positiva del proprio legittimo diritto di possesso (ius possidendi), non essendo sufficiente la mera detenzione materiale.

Cosa significa dover provare lo “ius possidendi” per ottenere la restituzione somme sequestrate?
Significa che il richiedente deve dimostrare di avere un titolo giuridico valido e legittimo sui beni (ad esempio, la proprietà). Deve fornire elementi concreti e prove che attestino la provenienza e la legittima appartenenza del bene, non potendo fare affidamento sulla semplice circostanza di averne avuto il possesso al momento del sequestro.

Cosa succede al denaro sequestrato se nessuno ne dimostra la legittima provenienza?
Se l’avente diritto alla restituzione rimane ignoto o irreperibile, o se chi ne fa richiesta non riesce a provare il proprio diritto, la legge (nello specifico, l’art. 154 del d.P.R. 115/2002) prevede che le somme di denaro siano devolute alla Cassa delle ammende dello Stato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati