Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 28492 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 28492 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
NOME n. in Nigeria il 25/9/1985
avverso l’ordinanza del Tribunale di Busto Arsizio in data 7/12/2021
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del Cons. NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc.Gen. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’impugnata ordinanza il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio, quale giudice dell’esecuzione, preso atto della nota della Guardia di Finanza, Gruppo Malpensa, attestante l’impossibilità di effettuare la restituzione agli eventi diritto delle somme sequestrate in data 18/3/2018 a NOME COGNOME come disposto con sentenza del
17/9/2021, che aveva assolto l’imputata dal delitto ex art. 648 bis cod.pen. per insussistenza del fatto, ordinava la confisca del danaro e la conseguente devoluzione allo Stato.
Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore della COGNOME, Avv. NOME COGNOME il quale ha dedotto l’erronea applicazione degli artt. 321 cod.proc.pen. e 240 cod.pen. per avere il giudice, con provvedimento emesso fuori udienza e mai notificato alle parti, disposto la confisca del denaro sottoposto a sequestro preventivo.
Il difensore sostiene che il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione ha disposto la confisca delle somme in sequestro è abnorme, avendo prodotto una non consentita integrazione a posteriori del contenuto decisorio della sentenza assolutoria di primo grado in assenza di contraddittorio tra le parti e in violazione dei diritti di difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con sentenza irrevocabile resa in data 17/6/2021 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio, in esito a giudizio abbreviato, assolveva la ricorrente dal delitto di riciclaggio ascrittole per insussistenza del fatto nel contempo disponendo il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto della complessiva somma di euro 92.880,00 rinvenuta nei bagagli della prevenuta.
Con nota del 7/12/21 la Guardia di Finanza del Gruppo Malpensa comunicava con riguardo all’esecuzione del dissequestro ‘di non essere in grado di ricollegare le somme rinvenute all’interno del bagaglio a mano al seguito della passeggera ai legittimi proprietari’ e il giudice ‘ai sensi dell’art. 262 c.p.p.’ ordinava ‘la confisca del denaro in sequestro con devoluzione allo Stato’.
Il difensore con atto del 24/5/2024 promuoveva incidente di esecuzione, chiedendo la restituzione delle somme in sequestro nell’interesse della ricorrente NOME (euro 8mila), di NOME COGNOME (euro 10mila) e NOME COGNOME (euro 15mila). Il giudice, acquisito il parere del P.m., favorevole alla restituzione alla sola ricorrente della somma richiesta, dichiarava non luogo a provvedere sull’istanza, avendo il giudice del merito già disposto il dissequestro e non essendosi controversia sulla titolarità dei beni.
Il difensore, lungi dall’impugnare detto provvedimento reso de plano ai sensi dell’art. 666, comma 2, codice di rito, ha proposto ricorso per Cassazione denunziando l’abnormità dell’ordinanza che, sul presupposto dell’impossibilità di identificare i titolari delle somme di danaro sequestrate, ha impropriamente disposto la ‘confisca’ delle stesse con devoluzione allo Stato.
La censura è manifestamente infondata. Nonostante l’inesattezza lessicale, il giudice dell’esecuzione non ha effettuato alcuna impropria manipolazione del dispositivo della sentenza ma ha fatto applicazione dell’art. 154,comma 3, DPR 30 maggio 2002, n. 155 in tema di restituzione delle somme di denaro sequestrate, alla cui stregua, se l’avente diritto
alla restituzione di somme o di valori sequestrati è ignoto o irreperibile, tali beni sono devoluti alla cassa delle ammende decorsi sei mesi dalla data in cui la sentenza è passata in giudicato o il provvedimento è divenuto definitivo, e tanto sia nelle ipotesi in cui il diritto non è in contestazione e non vi siano richiedenti – ma anche nel caso in cui, pur essendovi richiedenti, il giudice ritenga che essi non abbiano “titolo giuridico” alla restituzione del denaro (Sez. 3, n. 23475 del 08/04/2019, Di COGNOME, Rv. 275790-01). Infatti, per ottenere la restituzione del bene è necessario allegare e fornire prova specifica dello “ius possidendi” anche in caso di proscioglimento dell’imputato, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero richiamo al solo “favor possessionis” (Sez. 2, n. 8027 del 11/02/2025, Grumo, Rv. 287603-01; Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, COGNOME, Rv. 205705-01; Sez. U. n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202268-01).
2.1 Deve aggiungersi che, a norma dell’art. 151 del citato DPR (Provvedimenti in caso di mancato ritiro del bene restituito e vendita in casi particolari), il magistrato provvede alla devoluzione o alla vendita a norma del successivo art. 154 con ordinanza comunicata all’avente diritto decorsi trenta giorni dalla data della rituale comunicazione di restituzione al medesimo, senza che questi abbia provveduto al ritiro. Nella specie la comunicazione dell’avvenuto dissequestro delle somme, disposto con la sentenza di assoluzione, deve intendersi effettuata alla ricorrente in sede di lettura del dispositivo, in ossequio al generale principio di cui all’art. 148,comma 2, cod.proc.pen., il quale prevede che la lettura dei provvedimenti alle persone presenti o rappresentate dal difensore tiene luogo delle notificazioni o comunicazioni del relativo provvedimento, senza che per circa tre anni la stessa abbia formalmente richiesto le somme ritenute di sua pertinenza.
Pertanto, fermo il rilievo che il provvedimento di devoluzione doveva essere comunicato alla parte processuale che aveva subito il sequestro, alla luce della richiamata normativa, lo stesso, contrariamente a quanto assume il difensore, non appare abnorme né sotto il profilo strutturale né sotto quello funzionale, rientrando nelle competenze del giudice che lo ha emesso, ed esulando dal concetto di abnormità le irregolarità ed eventuali illegittimità dell’atto in questione.
Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguenti statuizioni ex art. 616 cod.proc.pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, 10 luglio 2025
La Consigliera estensore La Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME