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Restituzione nel termine: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva la restituzione nel termine per appellare una sentenza. Nonostante la comunicazione tardiva da parte del difensore d’ufficio, la Corte ha ritenuto decisiva la piena conoscenza del processo da parte dell’imputato, che aveva ricevuto la notifica del decreto di citazione a giudizio, rendendo irrilevante il ritardo nella comunicazione dell’esito finale.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione nel termine: la conoscenza del processo prevale sulla notifica tardiva

L’istituto della restituzione nel termine rappresenta una garanzia fondamentale nel nostro ordinamento, permettendo di rimediare a scadenze processuali mancate per cause non imputabili alla parte. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 20121 del 2024, chiarisce i limiti di questa tutela, sottolineando come la consapevolezza dell’esistenza di un procedimento penale a proprio carico imponga all’imputato un onere di diligenza informativa. Vediamo nel dettaglio il caso e le conclusioni dei giudici.

I fatti del caso

Un imputato, dopo la condanna in secondo grado, presentava un’istanza per ottenere la restituzione nel termine al fine di proporre appello. La sentenza era divenuta definitiva il 2 marzo 2023. A sostegno della sua richiesta, l’imputato sosteneva di essere venuto a conoscenza della conclusione del processo solo il 3 marzo 2023, ovvero due giorni dopo la scadenza del termine per l’impugnazione.

Il ritardo, secondo la sua difesa, era dovuto al fatto che il suo difensore d’ufficio, nominato in seguito alla rinuncia del precedente legale di fiducia, gli aveva comunicato l’esito del giudizio con una raccomandata spedita il 3 febbraio 2023 ma pervenuta solo dopo la scadenza dei termini. Si trattava, dunque, di una causa a lui non imputabile che avrebbe dovuto giustificare la riapertura dei termini per l’appello.

La decisione della Corte di Appello e il ricorso in Cassazione

La Corte di Appello di Trieste aveva già rigettato l’istanza. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. L’argomento centrale del ricorso era che la tardiva comunicazione da parte del difensore d’ufficio costituiva un impedimento oggettivo che gli aveva precluso il diritto di impugnare la sentenza.

Le motivazioni della Cassazione sulla restituzione nel termine

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. La motivazione della Corte si basa su un principio cardine: la conoscenza del procedimento. I giudici hanno evidenziato che l’imputato era stato regolarmente informato dell’avvio del giudizio di appello, avendo ricevuto la notifica del decreto di citazione in carcere, dove era detenuto. Nonostante ciò, aveva scelto di non partecipare all’udienza.

Questa circostanza è stata ritenuta decisiva. Secondo la Corte, il fatto che l’imputato fosse pienamente consapevole della pendenza del processo a suo carico lo onerava di un dovere di informarsi sull’esito dello stesso. La sua conoscenza del procedimento rendeva irrilevante la circostanza che fosse assistito da un difensore d’ufficio e, soprattutto, il ritardo con cui quest’ultimo gli ha comunicato l’esito finale. La tardiva comunicazione non poteva influenzare la situazione, poiché, per un imputato assente ma consapevole del processo, non è previsto un obbligo specifico di comunicazione dell’esito del procedimento. Inoltre, la Corte ha sottolineato come nel ricorso non fosse stata nemmeno fornita la prova certa della data di notifica della comunicazione del legale, violando il principio di autosufficienza del ricorso.

Conclusioni e implicazioni pratiche

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: l’istituto della restituzione nel termine non può essere invocato per sopperire a una negligenza informativa dell’imputato. Quando un soggetto è a conoscenza formale e sostanziale di un procedimento penale a suo carico (ad esempio, tramite la notifica della citazione a giudizio), scatta un suo onere di attivarsi per conoscere gli sviluppi e l’esito del processo. La tardiva comunicazione da parte del difensore d’ufficio non costituisce, in questo contesto, una causa di forza maggiore idonea a giustificare la riapertura dei termini. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

La tardiva comunicazione dell’esito del processo da parte del difensore d’ufficio giustifica la restituzione nel termine?
No, secondo questa sentenza, se l’imputato era già a conoscenza della pendenza del processo (per aver ricevuto, ad esempio, la citazione a giudizio), la comunicazione tardiva dell’esito da parte del difensore d’ufficio è irrilevante e non giustifica la restituzione nel termine.

Quale dovere ha l’imputato che sa di avere un processo a suo carico?
L’imputato che ha ricevuto rituale notifica del decreto di citazione è considerato regolarmente a conoscenza della pendenza del processo. Da ciò deriva un suo onere di attivarsi e informarsi sull’esito del procedimento per esercitare le eventuali iniziative processuali, come l’impugnazione.

Cosa succede se un ricorso per Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, come stabilito dall’art. 616 c.p.p., la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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