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Restituzione nel termine: onere di allegazione dell’imputato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva la restituzione nel termine per opporsi a un decreto penale di condanna. La Corte ha ribadito che, anche a fronte di una notifica regolare, spetta all’imputato un preciso onere di allegazione, ovvero il dovere di fornire indicazioni specifiche e concrete (e non generiche) circa le ragioni della mancata effettiva conoscenza del provvedimento, al fine di ottenere la restituzione nel termine.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione nel termine: l’importanza di allegazioni specifiche

L’istituto della restituzione nel termine rappresenta una garanzia fondamentale nel processo penale, consentendo all’imputato di esercitare un diritto quando i termini sono già scaduti a causa di una mancata conoscenza effettiva del provvedimento. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione ci ricorda che per accedere a tale beneficio non è sufficiente una semplice affermazione, ma è necessario un preciso onere di allegazione. Vediamo nel dettaglio il caso e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Un giovane imputato si vedeva notificare un decreto penale di condanna. La notifica avveniva regolarmente presso il suo domicilio, e l’atto veniva consegnato nelle mani della madre convivente. Divenuto esecutivo il provvedimento, la difesa dell’imputato presentava un’istanza per ottenere la restituzione nel termine per proporre opposizione.

La tesi difensiva sosteneva che l’imputato avesse avuto conoscenza effettiva del decreto solo tre giorni dopo la notifica, in quanto al momento della consegna si trovava fuori casa per motivi di lavoro e la madre non lo aveva informato immediatamente. Il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) rigettava l’istanza, portando la difesa a ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sull’onere di allegazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, confermando la decisione del GIP. Il fulcro della decisione risiede nel principio consolidato dell’onere di allegazione che grava sull’istante che richiede la restituzione nel termine.

La Corte ha chiarito che, sebbene la legge richieda una ‘conoscenza effettiva’ del provvedimento, in presenza di una notifica rituale (come la consegna a un familiare convivente) non si può presumere la mancata conoscenza. Spetta all’imputato, quindi, non solo affermare di non aver saputo, ma anche fornire al giudice elementi concreti e specifici che rendano verosimile la sua affermazione e che possano essere oggetto di verifica.

Le Motivazioni

La motivazione della sentenza si articola su un percorso logico-giuridico ben definito. La Cassazione, richiamando una vasta e consolidata giurisprudenza, ha spiegato che l’onere di allegazione non equivale a un onere della prova in senso civilistico. All’imputato non è richiesto di ‘provare’ con certezza assoluta di non aver avuto conoscenza, ma di ‘allegare’, cioè di indicare fatti e circostanze precise che siano idonei a far sorgere nel giudice un ragionevole dubbio sulla tempestiva conoscenza dell’atto.

Nel caso specifico, le affermazioni della difesa sono state ritenute troppo generiche e carenti di specificità. Affermare di essere ‘assente per lavoro’ e che ‘la madre non ha informato subito’ non è sufficiente. L’imputato avrebbe dovuto fornire dettagli più circostanziati: ad esempio, il tipo di lavoro, il luogo, la durata dell’assenza, le ragioni specifiche del ritardo nella comunicazione da parte del familiare. In assenza di tali elementi, la richiesta si riduce a una mera asserzione, insufficiente a superare la presunzione di conoscenza derivante dalla regolarità della notifica.

Il giudice, pertanto, non è tenuto a svolgere indagini esplorative, ma deve basare la sua valutazione sugli elementi forniti dall’istante. Se questi elementi sono vaghi, l’accertamento è precluso e la richiesta deve essere respinta.

Conclusioni

Questa pronuncia offre un’importante lezione pratica. Chiunque intenda richiedere la restituzione nel termine a seguito di una notifica apparentemente regolare deve essere consapevole che la propria istanza deve essere supportata da un ‘principio di prova’. È essenziale articolare una narrazione dei fatti dettagliata, credibile e, per quanto possibile, supportata da elementi verificabili. Una difesa superficiale o generica rischia di essere inefficace. La sentenza ribadisce che le garanzie processuali richiedono una collaborazione attiva dell’interessato, che deve mettere il giudice nelle condizioni di poter valutare concretamente la fondatezza della sua richiesta.

Cosa significa ‘restituzione nel termine’ nel processo penale?
È un istituto che permette a una parte di compiere un’attività processuale (come un’impugnazione) anche dopo la scadenza del termine, a condizione che dimostri di non aver potuto agire tempestivamente per caso fortuito, forza maggiore o per non aver avuto effettiva e tempestiva conoscenza del provvedimento.

Se un decreto penale viene notificato a un familiare convivente, si presume che l’imputato ne abbia avuto conoscenza?
Sì, in presenza di una notifica rituale e valida, come la consegna a un familiare convivente capace, si presume che l’imputato abbia avuto conoscenza dell’atto. Questa presunzione non è assoluta, ma per superarla l’imputato deve fornire elementi specifici che dimostrino il contrario.

Cosa deve fare un imputato per dimostrare di non aver avuto effettiva conoscenza di un provvedimento e ottenere la restituzione nel termine?
L’imputato deve adempiere a un ‘onere di allegazione’. Ciò significa che deve presentare un’istanza in cui non si limita ad affermare la mancata conoscenza, ma deduce una o più circostanze specifiche, concrete e verificabili che spieghino perché, nonostante la regolarità della notifica, non ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento in tempo utile per esercitare i propri diritti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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