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Restituzione nel termine: onere della prova per l’assente

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva la restituzione nel termine per appellare una sentenza di condanna. La Corte ha stabilito che l’imputato non ha fornito la prova di non aver potuto impugnare per causa a lui non imputabile, sottolineando come il disinteresse verso il processo e la mancata spiegazione del perché non avesse ritirato la notifica della sentenza siano elementi decisivi per il rigetto dell’istanza.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione nel termine: l’onere della prova per l’imputato assente

La restituzione nel termine per proporre impugnazione è un istituto fondamentale a tutela del diritto di difesa, ma il suo accesso è subordinato a requisiti rigorosi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale ha ribadito la necessità per l’imputato assente di fornire una prova concreta e non colpevole della propria impossibilità ad agire tempestivamente. Analizziamo come la condotta processuale e il disinteresse dell’imputato possano precludere questo rimedio.

I fatti del caso

Un imputato veniva condannato in primo grado dal Tribunale di Modena. L’interessato, dichiarato assente durante il processo, presentava un’istanza alla Corte di Appello di Bologna per ottenere la restituzione nel termine per poter proporre appello. A suo dire, non aveva avuto conoscenza della sentenza perché, depositata fuori termine, era stata notificata solo al difensore d’ufficio e non a lui personalmente. Sosteneva di aver appreso dell’esistenza della condanna solo a seguito della notifica di un atto civile e di essersi attivato per recuperare la sentenza, presentando l’istanza entro 30 giorni da tale scoperta.

La Corte di Appello, tuttavia, dichiarava l’istanza inammissibile. Secondo i giudici di secondo grado, il rimedio corretto sarebbe stata la rescissione del giudicato e, in ogni caso, l’imputato non aveva provato la tempestività della sua richiesta né superato la presunzione di un suo colpevole disinteresse verso il processo.

La questione della restituzione nel termine secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione, investita del ricorso, ha confermato la decisione di inammissibilità, pur correggendo parzialmente l’impostazione giuridica della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno chiarito che, a seguito della riforma Cartabia (D.Lgs. 150/2022), il rimedio applicabile al caso di specie era effettivamente la restituzione nel termine prevista dall’art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen., e non la rescissione del giudicato.

Tuttavia, la sostanza della decisione non è cambiata: il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato perché l’imputato non ha soddisfatto i presupposti richiesti dalla norma.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su alcuni punti cardine:

1. Mancanza della prova liberatoria: L’art. 175 cod. proc. pen. richiede all’imputato di dimostrare di “non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa”. Nel caso specifico, l’imputato si è limitato a sostenere che il plico contenente la notifica della sentenza non era stato ritirato, senza però spiegare il motivo di tale mancato ritiro. La Corte ha sottolineato che non è sufficiente allegare un fatto (il mancato ritiro), ma è necessario provare che tale omissione sia avvenuta per una causa non imputabile a negligenza o volontario disinteresse.

2. Colpevole disinteresse verso il processo: I giudici hanno valorizzato elementi che dimostravano un atteggiamento passivo e disinteressato dell’imputato. Già nel 2019, il suo difensore di fiducia gli aveva comunicato la rinuncia al mandato. Questo, unito al mancato ritiro della notifica, ha disegnato un quadro di colpevole inerzia, incompatibile con la concessione del beneficio della restituzione nel termine.

3. Impossibilità di riqualificare l’istanza: La Corte ha inoltre ribadito un principio procedurale importante. Un’istanza di restituzione nel termine non può essere “convertita” o riqualificata d’ufficio dal giudice in una richiesta di rescissione del giudicato. Il principio di conservazione degli atti processuali (art. 568, comma 5, cod. proc. pen.) si applica solo ai mezzi di impugnazione tipici, tra cui non rientra la restituzione nel termine.

Le conclusioni

La sentenza in esame offre un importante monito: il diritto alla restituzione nel termine non è automatico. L’imputato che intende avvalersene ha un onere probatorio stringente. Deve dimostrare attivamente di essere stato un soggetto incolpevole, ostacolato da eventi esterni e imprevedibili. Un atteggiamento di disinteresse, manifestato anche attraverso la semplice negligenza nel curare la ricezione delle comunicazioni legali, è sufficiente a precludere l’accesso a questo rimedio, con la conseguenza di rendere definitiva una sentenza di condanna. La decisione della Cassazione, condannando il ricorrente anche al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende, rafforza il principio secondo cui i rimedi processuali non possono essere utilizzati per sopperire alla propria trascuratezza.

Un’istanza di restituzione nel termine può essere riqualificata dal giudice come richiesta di rescissione del giudicato?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la restituzione nel termine non è un mezzo di impugnazione in senso stretto. Pertanto, il principio di conservazione degli atti non si applica e il giudice non può riqualificare l’istanza.

Cosa deve provare un imputato assente per ottenere la restituzione nel termine per impugnare una sentenza?
L’imputato deve fornire una prova rigorosa di non aver potuto proporre impugnazione entro i termini “senza sua colpa”. Non è sufficiente affermare di non aver ricevuto una notifica; è necessario dimostrare che la mancata conoscenza dell’atto non sia dipesa da una propria negligenza o da un colpevole disinteresse verso il processo.

Il mancato ritiro di una notifica è una scusante valida per chiedere la restituzione nel termine?
Di per sé, no. La sentenza chiarisce che il ricorrente deve spiegare il motivo incolpevole del mancato ritiro del plico. La semplice omissione, non giustificata, viene interpretata come un comportamento negligente che impedisce la concessione del beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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