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Restituzione nel termine: onere della prova e notifica

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12458 del 2024, ha chiarito i presupposti per la restituzione nel termine per opporre un decreto penale di condanna. Il caso riguardava un imputato la cui notifica era stata perfezionata tramite consegna a un familiare convivente. La Corte ha stabilito che, per ottenere il beneficio, non è sufficiente la mera affermazione di non aver avuto conoscenza dell’atto. È necessario un onere di allegazione specifico, ovvero indicare elementi fattuali esterni che dimostrino perché, nonostante la regolarità della notifica, non si sia venuti a conoscenza del provvedimento. In assenza di tali elementi, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione nel termine: la Notifica al Familiare non Basta a Scusare la Dimenticanza

Nel processo penale, il rispetto dei termini è cruciale. Perdere una scadenza può significare la perdita di un diritto, come quello di opporsi a un decreto penale di condanna. Tuttavia, la legge prevede un rimedio: la restituzione nel termine, disciplinata dall’art. 175 del codice di procedura penale. Questo istituto permette di ‘recuperare’ un termine scaduto quando la parte dimostra di non averlo potuto osservare per caso fortuito o forza maggiore. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 12458/2024) offre un importante chiarimento su quali prove siano necessarie per ottenere questo beneficio, specialmente quando la notifica di un atto avviene tramite un familiare convivente.

Il Caso: Notifica al Padre e Mancata Opposizione al Decreto Penale

Un cittadino veniva condannato con un decreto penale per guida in stato di ebbrezza (art. 186 Codice della Strada). Non essendo presente in casa al momento della notifica, la procedura si perfezionava regolarmente: l’atto veniva depositato presso la casa comunale, veniva affisso un avviso alla porta dell’abitazione e una raccomandata informativa veniva spedita all’indirizzo. A ritirare quest’ultima era il padre dell’imputato, con lui convivente.

Scaduti i termini per l’opposizione, l’imputato presentava un’istanza per la restituzione nel termine, sostenendo di non aver mai avuto effettiva conoscenza del decreto perché non gli era stato notificato personalmente. Il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) rigettava l’istanza, ritenendo la notifica formalmente corretta. L’imputato ricorreva quindi in Cassazione, lamentando che il giudice si fosse fermato alla regolarità formale senza valutare la sua effettiva mancata conoscenza.

La Questione Giuridica: I Limiti della Restituzione nel Termine

Il cuore della questione giuridica verte sull’interpretazione dell’art. 175, comma 2, c.p.p. e sull’onere probatorio a carico di chi richiede la restituzione nel termine. La norma stabilisce che l’imputato deve fornire la prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del provvedimento per caso fortuito o forza maggiore.

La giurisprudenza consolidata, richiamata dalla Corte, ha precisato che sull’istante grava un mero “onere di allegazione”. Ciò significa che non deve fornire una prova piena e incontrovertibile, ma deve indicare le ragioni specifiche e concrete che hanno causato la mancata conoscenza. Una volta che l’istante ha adempiuto a questo onere, spetta al giudice attivare i propri poteri di accertamento per verificare la veridicità di quanto allegato. Il dubbio, in questo caso, gioca a favore dell’imputato.

L’Onere di Allegazione in Caso di Notifica Regolare

Il punto critico, nel caso di specie, è che la notifica si era perfezionata in modo formalmente ineccepibile. Il ritiro della raccomandata da parte di un familiare convivente crea una forte presunzione di conoscenza da parte del destinatario. Come superare questa presunzione? È sufficiente dichiarare di non aver mai ricevuto l’atto dal familiare?

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del GIP. I giudici hanno sottolineato che il ricorrente si è limitato a descrivere il procedimento di notifica e ad affermare di non aver ricevuto l’atto a mani proprie. Questa, secondo la Corte, non è un’allegazione sufficiente.

Per adempiere al proprio onere, l’imputato avrebbe dovuto prospettare “elementi fattuali esterni” al procedimento di notifica. Avrebbe dovuto, cioè, spiegare perché il ritiro dell’atto da parte del padre non lo ha portato a conoscenza del decreto. Ad esempio, avrebbe potuto allegare l’esistenza di gravi dissidi familiari, una condizione di salute del genitore che ne comprometteva la memoria, o altre circostanze specifiche che rendessero plausibile la mancata comunicazione.

Limitarsi a negare la conoscenza, senza fornire alcun elemento a supporto di tale negazione di fronte a una notifica regolarmente perfezionata e ricevuta da un convivente, equivale a non adempiere all’onere di allegazione richiesto dalla legge. Di conseguenza, il giudice non è tenuto ad attivare ulteriori accertamenti e può legittimamente rigettare l’istanza.

Le Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la restituzione nel termine non è un rimedio automatico per sanare le proprie negligenze. Se la notifica di un atto giudiziario è formalmente corretta, specialmente se un familiare convivente ha ritirato la comunicazione, la presunzione di conoscenza è molto forte. Per vincerla, non basta una semplice dichiarazione negativa. È indispensabile fornire al giudice elementi concreti e specifici che giustifichino la mancata conoscenza, trasformando un’ipotesi astratta in una situazione fattuale credibile e meritevole di approfondimento. In assenza di ciò, il diritto a impugnare un provvedimento sfavorevole si considera definitivamente perduto.

È sufficiente affermare di non aver ricevuto personalmente un atto per ottenere la restituzione nel termine?
No. Secondo la sentenza, non basta la mera affermazione di non aver ricevuto personalmente l’atto. L’interessato deve allegare elementi fattuali specifici ed esterni al procedimento di notifica che dimostrino la mancata conoscenza effettiva del provvedimento, soprattutto se la notifica è stata regolarmente perfezionata.

Qual è l’onere di chi chiede la restituzione nel termine per mancata conoscenza di un atto?
L’onere è quello di ‘allegazione’. La persona deve indicare le ragioni specifiche e concrete per cui non ha avuto conoscenza dell’atto notificato. Se questo onere è adempiuto, spetta poi al giudice verificare, con i propri poteri di accertamento, se vi sia stata o meno conoscenza effettiva.

La notifica di un atto a un familiare convivente crea una presunzione di conoscenza?
Sì. Il ritiro dell’atto da parte di un familiare convivente crea una forte presunzione di conoscenza. Per superarla, il destinatario deve allegare circostanze concrete e specifiche (es. gravi dissidi, problemi di salute del familiare, ecc.) che spieghino perché, nonostante il ritiro, non sia venuto a conoscenza del provvedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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