Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4933 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 6 Num. 4933 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato il 26/01/1991 a Palmanova
avverso l’ordinanza della Corte di appello di Trieste del 02/07/2024;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venga accolto con conseguente restituzione nei termini per presentare ricorso per cassazione nei confronti della sentenza di appello;
letta la memoria depositata dal difensore delle parti civili COGNOME Salvatore e COGNOME Nicola, Avvocato NOME COGNOME nella quale si chiede che il ricorso venga rigettato e che l’imputato sia condannato alla rifusione delle spese in favore delle parti civili, liquidate nella misura ritenuta di giustizia;
letta la memoria depositata dal difensore del ricorrente, Avvocato NOME COGNOME nella quale si insiste per l’accoglimento del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di appello di Trieste, con ordinanza in data 9 luglio 2024, ha dichiarato, ai sensi dell’art. 175 comma 4 cod. proc. pen., la competenza della Corte di cassazione a decidere sulla richiesta di restituzione nel termine per impugnare la citata sentenza della Corte di appello, trasmettendo alla Cassazione i relativi atti.
Nella richiesta, il difensore evidenzia di essersi personalmente recato in data 12 marzo 2024 presso la cancelleria della Corte di appello per avere notizie circa il deposito della motivazione della sentenza (il cui termine scadeva il precedente 11 marzo, avendo la Corte territoriale indicato in sessanta giorni il relativo termine) e di avere appreso che non era ancora intervenuto il deposito della motivazione. Aveva dunque confidato circa il superamento del termine ex art. 544 cod. proc. pen. e, dunque, atteso la successiva notifica dell’intervenuto deposito, dal quale sarebbe decorso il termine di quarantacinque giorni per il ricorso in cassazione. Il 9 maggio 2024, a seguito di richiesta via PEC per avere notizie della sentenza, apprendeva che la motivazione era stata depositata già il precedente 7 marzo.
Invoca quindi la restituzione in termini, atteso che l’errata indicazione ricevuta dalla cancelleria lo ha tratto in inganno circa il mancato decorso del termine per impugnare.
Preliminarmente, va rilevato che sussiste la competenza di questa Corte a valutare la richiesta di restituzione nel termine per impugnare la sentenza di appello, ai sensi del comma 4 dell’art. 175 cod. proc. pen. Infatti, nella specie si deduce la mancata conoscenza – per caso fortuito o forza maggiore dell’intervenuto deposito della motivazione della sentenza di appello e, dunque, non si sostiene la illegittima formazione del titolo esecutivo. Trova pertanto applicazione il principio (Sez. 2, n. 29614 del 23/05/2019, COGNOME, Rv. 277017 01) secondo cui «in tema di restituzione nel termine per proporre impugnazione, la competenza a provvedere spetta al giudice dell’esecuzione solo allorquando la richiesta sia logicamente subordinata o alternativa all’accertamento della validità del titolo esecutivo, diversamente rientrando l’istanza nella competenza del giudice dell’impugnazione. (In motivazione, la Corte ha precisato che la competenza a decidere sulla richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso una sentenza contumaciale di condanna, determinata ai sensi dell’art. 175, comma 4, cod. proc. pen., ha carattere funzionale e la sua inosservanza determina una nullità assoluta di carattere generale, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento)».
Nel merito, il ricorso è manifestamente infondato e dunque inammissibile.
Si è già ritenuto che «integra fatto costituente forza maggiore, che può giustificare la restituzione nel termine per l’impugnazione, l’errata informazione ricevuta dalla cancelleria circa l’omesso tempestivo deposito della sentenza nei termini di rito, ma grava sull’istante l’onere di provare rigorosamente – mediante attestazione di cancelleria o altro atto o fatto certo – il verificarsi della circostanza ostativa al tempestivo esercizio della facoltà di impugnazione, che non può ritenersi assolto con l’allegazione, a sostegno del proprio assunto, di dichiarazioni provenienti da lui o da altri difensori interessati» (Sez. 2, n. 17708 del 31/01/2022, COGNOME, Rv. 283059 – 01) e si è precisato che «in tema di richiesta di restituzione dei termini ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen. per dedotta forza maggiore a proporre tempestiva impugnazione, spetta al difensore dare la prova non solo di aver richiesto a mezzo PEC copia della sentenza da impugnare, ma anche di aver posto in essere ogni possibile diligente iniziativa per sollecitarne il rilascio, financo recandosi presso la cancelleria, a meno di non dimostrare che detto accesso gli era stato impedito in modo inderogabile a causa dei provvedimenti emergenziali “antipandemici”» (così, Sez. 2, ord. n. 39211 del 24/09/2024, COGNOME, Rv. 287051 – 01; Sez. 5, n. 29340 del 19/04/2023, COGNOME, Rv. 284816 – 02)».
Nel caso in esame tale prova non è stata fornita, essendosi il difensore limitato a indicare, senza alcuna documentazione a sostegno, di essersi recato presso la cancelleria della Corte di appello e di essere stato fuorviato dalle errate rassicurazioni circa il non intervenuto tempestivo deposito della sentenza di appello.
Pertanto, difettando la prova suindicata, si impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso alla quale segue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Non si ritiene invece – in ragione della peculiarità della situazione – di applicare anche la sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende.
Non deve farsi neppure luogo alla liquidazione delle spese richieste – in via equitativa – dal difensore delle parti civili. In tema di diritto alla rifusione dell spese di parte civile nel giudizio di legittimità, le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare come esso sia in ogni caso subordinato alla condizione che la stessa parte civile abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa dell’imputato per la tutela dei propri interessi (Sez. U, ord. n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716 – 01). Recentemente si è ribadito tale principio chiarendosi che la disposizione di cui all’art. 541, comma 1, cod. proc. pen. presuppone che il giudice valuti la qualità della partecipazione al processo della parte civile, avendo quest’ultima l’onere di
coltivare le proprie pretese fornendo un fattivo contributo alla dialettica del
contraddittorio (così Sez. 5, n. 1144 del 07/11/2023 – dep. 2024, D., Rv. 285598 – 01). Contributo fattivo che nella specie non è rinvenibile avendo le parti civile riportato nella memoria considerazioni generiche inidonee, dunque, a integrare il presupposto per la liquidazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19 dicembre 2024
I Consiglier NOME COGNOME re
Il Preidente