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Restituzione nel termine: la consegna fa scattare il timer

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva la restituzione nel termine per impugnare una sentenza emessa in sua assenza. La Corte ha stabilito che, in caso di estradizione, il termine di trenta giorni per presentare la richiesta decorre dalla data di consegna del condannato alle autorità italiane e non dal momento successivo in cui questi ha avuto effettiva conoscenza degli atti tradotti nella sua lingua. La richiesta, presentata oltre tale termine, è stata quindi ritenuta tardiva.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione nel termine: la consegna dell’estradato avvia il conto alla rovescia

Nel complesso scenario della procedura penale, il rispetto dei termini è un principio cardine. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 34647/2024) ha ribadito un punto cruciale riguardante la restituzione nel termine per impugnare una sentenza di condanna emessa in assenza, specialmente nei casi che coinvolgono un imputato estradato dall’estero. La Corte ha chiarito che il termine perentorio di trenta giorni per presentare la richiesta non decorre dal momento della conoscenza soggettiva degli atti tradotti, ma da un momento oggettivo e inequivocabile: la data della consegna del condannato alle autorità italiane. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un cittadino rumeno condannato in primo grado dal Tribunale di Terni nel 2019. Al momento del processo, l’imputato era stato dichiarato latitante e la sentenza era divenuta irrevocabile nel 2020. Successivamente, veniva emesso un Mandato d’Arresto Europeo (MAE) che portava alla sua cattura e alla sua consegna all’Italia nel dicembre 2022. Solo nel maggio 2023, ben cinque mesi dopo il suo arrivo in Italia, l’imputato presentava un’istanza di rescissione del giudicato e di restituzione nel termine per poter impugnare la sentenza di condanna. La difesa sosteneva che il termine dovesse decorrere dal giorno in cui l’interessato aveva ricevuto la notifica dell’ordine di esecuzione tradotto nella sua lingua, ovvero l’11 maggio 2023.

La questione giuridica e la restituzione nel termine

Il cuore della controversia legale era l’individuazione del cosiddetto dies a quo, ovvero il giorno da cui far partire il conteggio dei trenta giorni previsti dalla legge per chiedere la restituzione nel termine. La difesa puntava su un’interpretazione soggettiva, legata all’effettiva comprensione degli atti. La Procura e la Corte d’Appello, invece, si basavano su un criterio oggettivo: la data della consegna fisica del condannato. La questione è di fondamentale importanza, poiché una richiesta tardiva è inammissibile e preclude ogni possibilità di rimettere in discussione la condanna.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, confermando la decisione della Corte d’Appello di Perugia. Il ragionamento dei giudici si è fondato sull’interpretazione letterale dell’articolo 175, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce in modo inequivocabile che, in caso di estradizione dall’estero, il termine di trenta giorni per la presentazione della richiesta di restituzione «decorre dalla consegna del condannato».

I giudici hanno spiegato che questa previsione normativa non è casuale, ma risponde a un’esigenza di certezza del diritto e di tutela dello stesso imputato. Far decorrere il termine dalla consegna, infatti:
1. Crea un punto di riferimento certo e oggettivo, evitando le incertezze legate alla prova del momento esatto in cui il condannato ha avuto piena conoscenza degli atti.
2. Offre una tutela rafforzata, poiché garantisce all’imputato la possibilità di esercitare pienamente i suoi diritti di difesa una volta giunto sul territorio nazionale, dove può avere più facilmente contatto con un difensore e accedere agli atti processuali. La norma, in sostanza, sceglie il termine più favorevole, prescindendo da una eventuale conoscenza del provvedimento già avvenuta all’estero.

La Corte ha quindi concluso che, essendo stato il ricorrente consegnato all’Italia il 7 dicembre 2022, la sua richiesta presentata il 12 maggio 2023 era palesemente tardiva, in quanto depositata ben oltre i trenta giorni previsti.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida un principio fondamentale per gli operatori del diritto: per l’imputato condannato in absentia e successivamente consegnato all’Italia a seguito di procedura di estradizione o MAE, il termine per chiedere la restituzione nel termine per impugnare la sentenza decorre oggettivamente dalla data della sua consegna alle autorità italiane. Questo criterio rigido ma chiaro serve a bilanciare l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici con il diritto di difesa, stabilendo che dal momento in cui l’imputato si trova sul territorio nazionale ha inizio un periodo definito e perentorio per attivare i rimedi previsti dalla legge. Qualsiasi ritardo oltre questo termine comporta l’inammissibilità dell’istanza, con la conseguenza che la condanna non potrà più essere messa in discussione.

Quando inizia a decorrere il termine di 30 giorni per chiedere la restituzione nel termine per un condannato in absentia e poi estradato in Italia?
Secondo la sentenza, l’articolo 175, comma 2-bis, del codice di procedura penale stabilisce chiaramente che il termine di trenta giorni decorre «dalla consegna del condannato» alle autorità italiane.

La conoscenza effettiva della sentenza tradotta in una lingua nota al condannato sposta l’inizio del termine?
No. La Corte ha specificato che il termine decorre oggettivamente dalla data della consegna, indipendentemente dal momento successivo in cui il condannato abbia avuto conoscenza del provvedimento tradotto nella sua lingua. Il criterio è oggettivo e non soggettivo.

Perché la legge stabilisce che il termine decorra dalla consegna e non dalla conoscenza?
Questa scelta legislativa si fonda sull’esigenza di garantire certezza giuridica e, allo stesso tempo, di tutelare il diritto di difesa. Si presume che, una volta sul territorio italiano, la persona sia nella condizione migliore per esercitare pienamente le proprie facoltà difensive, come nominare un legale e accedere agli atti. La norma offre quindi un termine più favorevole e certo, prescindendo da una possibile conoscenza precedente avvenuta all’estero.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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