Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 24284 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 4 Num. 24284 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/12/2010 della Corte d’appello di Roma Visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO che ha chiesto dichiararsi l ‘ inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con istanza del 26 marzo 2025, per mezzo del difensore munito di procura speciale, NOME COGNOME ha avanzato istanza di restituzione nel termine per impugnare due sentenze pronunciate dalla Corte di appello di Roma.
Si tratta:
della sentenza del 22 dicembre 2010 (irrevocabile il 24 aprile 2011), recante condanna alla pena di anni sei di reclusione ed € 18.000 di multa (parte della quale anni tre di reclusione ed € 10.000 di multa condonata ai sensi
della legge 31 luglio 2006 n. 241), che ha riformato, quanto al trattamento sanzioNOMErio, la sentenza pronunciata il 1° giugno 2007 dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma;
della sentenza del 27 gennaio 2021 (irrevocabile il 22 giugno 2021), recante condanna alla pena di anni 17 di reclusione, che ha riformato, quanto al trattamento sanzioNOMErio, la sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma il 2 febbraio 2012.
In data 1° luglio 2021 la Procura Generale, ha chiesto la revoca dell ‘ indulto concesso in relazione alla prima condanna e ha emesso un provvedimento di determinazione di pene concorrenti con ordine di carcerazione contestuale. Dalla pena unificata, determinata in anni 23 di reclusione ed € 18.000 di multa , è stato detratto un periodo di detenzione sofferto dal 14 marzo 2012 al 22 febbraio 2013 in relazione alla seconda condanna (mesi 11 e giorni 9 di detenzione). La pena da espiare è stata pertanto indicata in anni 22, giorni 21 di reclusione ed € 18.000 di multa e ne è stata ordinata l ‘ esecuzione.
Il 7 maggio 2024, NOME COGNOME è stato arrestato in RAGIONE_SOCIALE a fini estradizionali. Come emerge dagli atti della procedura estradizionale, la consegna è avvenuta il 14 marzo 2025, avendo lo Stato italiano assunto l’impegno (soggetto a verifica da parte della «RAGIONE_SOCIALE») di consentire al condanNOME che fosse risultato inconsapevole della celebrazione dei processi a suo carico «una nuova pronuncia sulla base di fatto e di diritto dell’imputazione» . Il 21 marzo 2025, NOME COGNOME, detenuto nel carcere di Viterbo, ha conferito procura speciale all ‘ AVV_NOTAIO del foro di Roma «per avanzare istanza di restituzione nel termine ex art. 175 cod. proc. pen.».
L ‘ istanza è stata proposta a mezzo PEC il 26 marzo 2025 -dunque entro il termine previsto dall ‘ art. 275, comma 2 bis , cod. proc. pen. -ed è stata inviata alla Corte di appello di Roma in funzione di giudice dell ‘ esecuzione. In data 1° aprile 2025, il Presidente della Corte di appello l ‘ ha trasmessa a questa Corte di cassazione ritenendone la competenza funzionale ai sensi dell ‘ art. 175, comma 4, cod. proc. pen. Questa norma stabilisce infatti che, sulla richiesta di restituzione nei termini relativa a una sentenza, decida «il giudice che sarebbe competente sull ‘ impugnazione».
3. Nell ‘ istanza il difensore deduce:
che entrambe le condanne sono state pronunciate in contumacia a seguito di una dichiarazione di latitanza che non era stata preceduta da esaustive ricerche;
-che COGNOME non si è consapevolmente sottratto all ‘ esecuzione dei provvedimenti cautelari emessi nei suoi confronti né alla conoscenza dei procedimenti e delle sentenze divenute irrevocabili;
che egli non sapeva della celebrazione dei processi a suo carico né della loro prosecuzione nelle diverse fasi e «viveva stabilmente e regolarmente con la propria famiglia in RAGIONE_SOCIALE».
Sottolinea, inoltre:
che la sentenza della Corte di appello di Roma del 22 dicembre 2010 (divenuta irrevocabile il 24 aprile 2011) è precedente alla riforma del processo contumaciale, intervenuta con legge 28 aprile 2014 n. 67;
che la sentenza della Corte di appello di Roma del 27 gennaio 2021 (irrevocabile il 22 giugno 2021) è successiva all ‘ entrata in vigore della legge n. 67/2014, ma non lo è la sentenza di primo grado, che è stata pronunciata dal Tribunale di Roma il 1° giugno 2007.
Precisa che la richiesta di restituzione nei termini è proposta ai sensi dell ‘ art. 175, comma 2, cod. proc. pen. nel testo vigente prima dell ‘ entrata in vigore della legge n. 67/2014
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte sottolineando la genericità dell ‘ istanza e ha chiesto che ne sia dichiarata l ‘ inammissibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L ‘ istanza che ha dato origine al presente procedimento è stata inviata alla Corte di appello di Roma «in funzione di giudice dell ‘ esecuzione». Il difensore parla di «incidente di esecuzione» per due volte (al rigo sei e al rigo ventidue della seconda pagina) e fa generico riferimento alla mancanza dei presupposti per la dichiarazione di latitanza affermando -in termini assertivi -che COGNOME non è stato «esaustivamente ricercato» e che i decreti di latitanza emessi nei procedimenti ai quali sono conseguite le condanne definitive sarebbero affetti da «invalidità» per «l ‘ incompletezza ed aspecificità dei verbali di vane ricerche».
Pur tenuto conto di questi riferimenti, la lettura dell’istanza non consente di dubitare che il condanNOME abbia inteso chiedere la restituzione nei termini per impugnare le sentenze di condanna in esecuzione delle quali è detenuto e non abbia proposto un incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 670 cod. pen.
Depone in tal senso, oltre alla intestazione della richiesta -che è intitolata «richiesta di restituzione nel termine» -il contenuto dell ‘ atto, nel quale si sostiene che COGNOME non era a conoscenza della celebrazione dei processi a suo
carico e si invoca l ‘ applicazione dell ‘ art. 175, comma 2, cod. proc. pen. nel testo vigente prima della entrata in vigore della legge n. 67/2014.
Depone nello stesso senso la constatazione che, nel corpo della richiesta, il difensore cita sentenze in materia di rescissione del giudicato e, tra queste, la sentenza Sez. 6, n. 10000 del 14/02/2017, COGNOME Maio, Rv. 269665, secondo la quale la norma di cui all’art. 625ter cod. proc. pen., non si applica ai processi contumaciali nei confronti di soggetti irreperibili, quando questi processi siano stati definiti, anche nei soli gradi di merito, secondo la normativa antecedente all ‘ entrata in vigore della legge n. 67/2014.
A ciò deve aggiungersi:
che, nella parte finale dell ‘ istanza, il difensore chiede, testualmente, la «restituzione nel termine al fine di poter proporre impugnazione avverso le sentenze di condanna emesse dalla Corte di appello di Roma il 22.12.2020 e il 27.01.2021»;
che, pur avendo sostenuto l ‘ incompletezza delle ricerche a seguito delle quali COGNOME fu dichiarato latitante, il difensore non ha dedotto l’esistenza di vizi nella notifica degli estratti contumaciali delle sentenze (notifica dovuta, ratione temporis , ai sensi dell ‘ art. 548, comma 2, cod. proc. pen. nel testo previgente);
che tale notifica fu eseguita presso i difensori sulla base di decreti di irreperibilità fondati su ricerche ripetute nel tempo; dunque, anche su ricerche ulteriori rispetto a quelle prodromiche al decreto di latitanza, ma del contenuto di tali ulteriori ricerche l ‘ istante non si duole;
che l ‘ incompletezza delle ricerche è stata dedotta in termini generici e il condanNOME si è limitato a sostenere di aver vissuto «stabilmente e regolarmente con la propria famiglia in RAGIONE_SOCIALE» senza indicare in che data si sarebbe trasferito in quel paese e se tale stabile trasferimento emergesse dagli atti dei processi che si sono svolti in contumacia.
1.1. Da quanto esposto emerge che, nel caso concreto, il dubbio sulla interpretazione dell ‘ istanza come richiesta di restituzione nei termini ai sensi dell ‘ art. 175, comma 2, cod. proc. pen. o come incidente di esecuzione ex art. 670 cod. proc. pen., pur configurabile in astratto, deve essere risolto in favore della prima opzione. Il condanNOME infatti: ha invocato la restituzione nel termine presupponendo la regolarità dei titoli esecutivi costituiti dalle sentenze contumaciali del 22 dicembre 2010 e del 27 gennaio 2021; non ha dedotto la nullità della notifica degli estratti contumaciali e neppure la nullità della notifica dei decreti di citazione a giudizio; ha dedotto, in termini espliciti, la mancata conoscenza del processo e delle sentenze di condanna sostenendo di averne avuto notizia solo quando gli è stato notificato l ‘ ordine di esecuzione per il quale è stato estradato in Italia.
A questo proposito si deve ricordare che l ‘ applicazione dell ‘ art. 175 cod. proc. pen. presuppone la rituale formazione del titolo esecutivo e la sua mancata conoscenza da parte dell ‘ interessato, mentre l ‘ incidente di esecuzione ex art. 670 cod. proc. pen. comporta una valutazione sull ‘ esistenza e sulla corretta formazione del titolo esecutivo. Ed invero, la giurisprudenza di legittimità si è più volte pronunciata in questo senso (tra le tante: Sez. 4, n. 39766 del 26/10/2011, Franzè, Rv. 251927; Sez. 5, n. 25556 del 26/04/2023, Kolaj, Rv. 284678) e indicazioni coerenti con queste conclusioni possono trarsi anche da Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280931 – 01.
2. L ‘ istanza di restituzione nel termine che ha dato origine al presente procedimento è stata proposta ai sensi dell ‘ art. 175, comma 2, cod. proc. pen. nella versione introdotta dal decreto-legge 21 febbraio 2005 n. 17, convertito con modificazioni dalla legge 22 aprile 2005, n. 60. Questa norma è stata modificata dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, il cui articolo 15 bis è stato introdotto dall ‘ art. 1 della legge 11 agosto 2014, n. 118 recante «norme transitorie per l ‘ applicazione della disciplina della sospensione del procedimento penale nei confronti degli irreperibili». Con questa norma il legislatore ha stabilito che le disposizioni contenute nel capo III della legge n. 67/2014 dovessero trovare applicazione ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge stessa, ma a condizione che, nei medesimi procedimenti, non fosse «stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado». In deroga a questa previsione, il citato art. 15 bis ha stabilito che le disposizioni previgenti dovessero comunque applicarsi se, nei processi in corso, l ‘ imputato era stato dichiarato contumace e non era stato emesso decreto di irreperibilità.
Nell ‘ interpretare questa norma, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che le disposizioni introdotte dalla legge n. 67/2014 non dovessero trovare applicazione (e fossero dunque applicabili le disposizioni previgenti) ai processi in corso nei quali, alla data di entrata in vigore della legge stessa, era stata emessa la sentenza di primo grado, e neppure a quelli, ancora pendenti in primo grado, in cui, nei confronti dell ‘ imputato dichiarato contumace, non era stato emesso il decreto di irreperibilità (Sez. 1, n. 8654 del 21/12/2017, dep. 2018, Frezza, Rv. 272411; Sez. 1, n. 34911 del 27/06/2017, dep. 2018, Napoli, Rv. 273858; Sez. 2, n. 18813 del 10/01/2017, Popa, Rv. 269796; Sez. 1, n. 20810 del 09/01/2017, COGNOME, Rv. 270614).
Applicando questi principi al caso che ci occupa, si deve concludere che nei processi all ‘ esito dei quali sono state pronunciate le sentenze cui si riferisce la richiesta di restituzione nei termini le disposizioni della legge n.67/2014 non fossero applicabili. Pertanto, nel caso di specie, è corretto aver proposto l’istanza
di restituzione nei termini ai sensi dell ‘ art. 175, comma 2 bis , cod. proc. pen. nel testo vigente prima della riforma.
Ciò è evidente con riferimento all ‘ istanza di restituzione nei termini riferita alla sentenza della Corte di appello di Roma del 22 dicembre 2010, che è stata pronunciata (ed è divenuta irrevocabile) ben prima della entrata in vigore della legge n. 67/2014. Tuttavia, alle stesse conclusioni si deve giungere con riferimento all ‘ istanza di restituzione nei termini riferita alla sentenza della Corte di appello di Roma del 27 gennaio 2021 (irrevocabile il 22 giugno 2021).
Se è vero, infatti, che questa sentenza è stata emessa (e il giudizio di appello è iniziato) quando la legge n. 67/2014 era in vigore da anni; è pur vero che la sentenza di primo grado (riformata dalla Corte di appello quanto al trattamento sanzioNOMErio) è stata pronunciata dal Tribunale di Roma il 2 febbraio 2012 e il processo di primo grado si è svolto nella contumacia dell ‘ imputato, dichiarato latitante. A ciò deve aggiungersi che, come risulta dall ‘ esame degli atti (necessario e possibile atteso che, per decidere sulla istanza di cui all’art. 175, comma 2 bis cod. proc. pen. l ‘ RAGIONE_SOCIALE Giudiziaria «compie ogni necessaria verifica»), ai fini della notifica dell ‘ estratto contumaciale della sentenza di primo grado, il Tribunale di Roma ha emesso un decreto di irreperibilità e tale decreto reca la data del 7 aprile 2014 e precede l ‘ entrata in vigore della legge n. 67/2014, avvenuta il 17 maggio 2014.
Così individuata la norma applicabile, si deve verificare se, nel caso di specie, la richiesta di restituzione nei termini sia fondata.
Com ‘ è evidente, questa valutazione deve essere compiuta separatamente per ciascuna delle sentenze cui la richiesta si riferisce. Si procederà, dunque, in tal senso. Non senza aver ricordato -a fini di chiarezza espositiva -che l ‘ art. 175, comma 2 bis , cod. proc. pen. nel testo che in questa sede deve essere applicato, ha il seguente contenuto letterale: «Se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l ‘ imputato è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione. A tale fine l ‘ RAGIONE_SOCIALE Giudiziaria compie ogni necessaria verifica.».
La richiesta di restituzione nei termini relativa alla sentenza emessa dalla Corte di appello il 22 dicembre 2010 (irrevocabile il 24 aprile 2011) è manifestamente infondata perché emerge dagli atti, in termini non equivoci, che COGNOME ha avuto conoscenza della celebrazione del processo.
Esaminando gli atti si apprende che NOME COGNOME fu dichiarato latitante essendo risultata impossibile l ‘ esecuzione di una ordinanza custodiale emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Roma in data 26 giugno 2006 per violazioni dell ‘ art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309. Il decreto di latitanza fu emesso in data 21 luglio 2006 a seguito di ricerche che furono svolte nel luogo di residenza e di nascita, nei domicili e nelle dimore conosciute, senza che fosse noto un trasferimento all ‘ estero dell ‘ indagato. Trattandosi di imputato latitante, l ‘ avviso di fissazione dell ‘ udienza preliminare fu notificato a COGNOME presso il difensore d ‘ ufficio, nomiNOME in persona dell ‘ AVV_NOTAIO del foro di Roma. Nel corso dell ‘ udienza preliminare, però, COGNOME nominò un difensore di fiducia, in persona dell ‘ AVV_NOTAIO del foro di Roma, cui conferì procura speciale per la richiesta di riti alternativi. La nomina (che conteneva un riferimento espresso al proc. n. 12696/05 r.g.n.r. – cui corrisponde il n. 406/06 r.g. Gip -) fu depositata all ‘ udienza del 16 marzo 2007 e, avvalendosi della procura conferitagli, l ‘ AVV_NOTAIO chiese che il procedimento fosse definito nelle forme del giudizio abbreviato. Fu il difensore di fiducia, al quale COGNOME aveva conferito mandato ad impugnare, a proporre appello contro la sentenza pronunciata dal G.u.p. in data 1° giugno 2007, né risulta dagli atti che il rapporto fiduciario instaurato con la nomina depositata in udienza sia venuto meno.
È vero che la sentenza di appello non fu impugnata, ma nulla consente di ritenere che tale mancata impugnazione sia stata determinata dalla mancata conoscenza del procedimento di appello (incardiNOME a seguito di un atto di impugnazione proposto dal difensore di fiducia munito di apposito mandato) né dalla mancata conoscenza della sentenza di appello del 22 dicembre 2010. L ‘ estratto contumaciale, infatti, risulta essere stato regolarmente notificato all ‘ imputato presso il difensore di fiducia e al difensore stesso ai sensi dell ‘ art. 548, comma 2, cod. proc. pen.
Le conclusioni sopra illustrate trovano conferma nella considerazione che, avendo nomiNOME un difensore di fiducia in vista dell ‘ udienza preliminare, e avendo richiesto, per suo tramite, il giudizio abbreviato, COGNOME ha mostrato di avere effettiva conoscenza non solo del procedimento, ma anche della pendenza del processo e del contenuto dell ‘ imputazione, sicché, in concreto, la mancata partecipazione al giudizio abbreviato non può che essere ritenuta frutto di una libera scelta dell ‘ imputato, il quale ha rinunciato ad essere presente e ad essere ascoltato dal giudice chiamato a decidere.
Nell ‘ istanza di restituzione nei termini, peraltro, COGNOME non ha sostenuto di essere stato impedito a partecipare al giudizio abbreviato e al successivo giudizio di appello e si è limitato a sottolineare che la condanna è stata pronunciata in
contumacia, sostenendo di non aver avuto conoscenza della celebrazione del processo.
Conclusioni diverse si impongono per quanto riguarda la richiesta di restituzione nei termini per impugnare la sentenza della Corte di appello di Roma del 27 gennaio 2021 (irrevocabile il 22 giugno 2021) con la quale NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile di violazioni degli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309/90 e condanNOME alla pena di anni diciassette di reclusione.
In questo caso l ‘ imputato contumace è sempre stato assistito da un difensore d ‘ ufficio e gli estratti contumaciali delle sentenze di primo e secondo grado sono stati notificati a quel difensore. Pertanto, nulla consente di affermare che COGNOME abbia avuto effettiva conoscenza della sentenza o abbia volontariamente rinunciato a comparire in giudizio.
Non rileva in contrario la constatazione che, in questo procedimento, COGNOME sia stato detenuto in RAGIONE_SOCIALE dal 14 marzo 2012 al 22 febbraio 2013 per una richiesta di estradizione che l ‘ autorità giudiziaria di quel paese ha respinto (disponendo, di conseguenza, l ‘ immediata liberazione dell ‘ arrestato). Ciò prova, infatti, che l ‘ istante ebbe conoscenza del procedimento, ma non prova che egli abbia avuto conoscenza della vocatio in iudicium , né che abbia avuto conoscenza della sentenza di primo grado e della successiva sentenza d ‘ appello.
Si deve ricordare, allora, che -come affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 28912 del 28/02/2019, Innaro, Rv. 275716 (pag. 17 della motivazione) -nel sistema della contumacia come delineato dopo la riforma del 2005:
«-il soggetto condanNOME in contumacia ha diritto ‘incondizioNOME‘ ad impugnare la sentenza di condanna;
la conoscenza del procedimento che, se provata, esclude tale diritto va riferita alla conoscenza dello svolgimento del processo, quindi del contenuto dell ‘ accusa e della data e luogo di svolgimento;
-tale conoscenza non può consistere nella semplice ‘conoscenza legale’ desunta da una notifica formalmente regolare».
Come questa sentenza ha opportunamente sottolineato, introducendo nell ‘ art. 175 cod. proc. pen. il comma 2 bis , il legislatore del 2005 intendeva adeguare il sistema processuale alle indicazioni fornite dalla Corte EDU con la sentenza 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia secondo la quale: «vi è un diniego di giustizia quando un individuo, condanNOME ‘ in absentia ‘, non può ottenere successivamente che una giurisdizione statuisca di nuovo […] sul merito dell ‘ accusa, in fatto e in diritto, ove non sia stabilito in maniera non equivoca che egli ha rinunciato al suo diritto di comparire e di difendersi». Più in
dettaglio, la Corte EDU ha rilevato che il meccanismo di restituzione nel termine previsto all’epoca dalla normativa interna non era in grado di garantire adeguatamente il contumace, e ha concluso che «la riscontrata violazione […] è conseguenza di un problema strutturale legato al cattivo funzionamento della legislazione e delle pratiche interne provocato dall ‘ assenza di un meccanismo effettivo volto a mettere in opera il diritto delle persone condannate in contumacia – che non siano informate in maniera effettiva delle pendenze a loro carico e che non abbiano rinunciato in maniera non equivoca al loro diritto di comparire – ad ottenere ulteriormente che una giurisdizione statuisca di nuovo». Conseguentemente, ha chiesto allo Stato italiano di «garantire, attraverso misure appropriate, la messa in opera del diritto in questione».
Secondo le Sezioni Unite, (pag. 20 della sentenza n. 28912/19) le conclusioni della Corte EDU «fanno chiaro riferimento ad una conoscenza ‘ piena ‘ del processo, solo da questa potendo derivare una ricostruzione della inequivocabile scelta di non comparire. Difatti, l ‘ imputato potrebbe anche essere al corrente che vi è un procedimento aperto nei suoi confronti, ma essere ignaro della celebrazione del processo». Di conseguenza, per poter ritenere rispettate le garanzie convenzionali, «è necessario che l ‘ imputato sia stato citato personalmente o comunque informato della data e del luogo dell ‘ udienza, spettandogli altrimenti il diritto di impugnazione della decisione».
Sulla base di queste e di altre argomentazioni (che, in questa sede, hanno minore rilievo) le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio: «Ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nella formulazione antecedente alla modifica operata con legge n. 67 del 28 aprile 2014, l ‘ effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all ‘ accusa contenuta in un provvedimento formale di ” vocatio in iudicium ” sicché tale non può ritenersi la conoscenza dell ‘ accusa contenuta nell ‘ avviso di conclusione delle indagini preliminari, fermo restando che l ‘ imputato non deve avere rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione oppure non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza».
È opinione del Collegio che principi analoghi debbano essere applicati nel caso di specie, atteso che l ‘ arresto a fini estradizionali garantisce la conoscenza del contenuto delle accuse, ma non anche la conoscenza della celebrazione del processo.
Si deve osservare in proposito che -come emerge dalla lettura degli atti -nel periodo nel quale COGNOME fu detenuto in RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Roma inviò al Ministero della Giustizia una richiesta di assistenza giudiziaria internazionale per
ottenere che la sentenza del 2 febbraio 2012 fosse notificata all ‘ imputato, ma senza esito. Analoga richiesta fu rivolta al Ministero dalla Corte di appello, ai fini della notifica del decreto di citazione per l ‘ udienza fissata al 16 dicembre 2019, ma anche questa richiesta rimase inevasa. Non è positivamente provata, dunque, l ‘ effettiva conoscenza delle sentenze di primo e secondo grado e non è provata la conoscenza effettiva della vocatio in iudicium .
Ne consegue che la domanda di restituzione nei termini per impugnare la sentenza della Corte di appello del Tribunale di Roma del 27 gennaio 2022 deve essere accolta.
Tale conclusione non è inficiata dalla constatazione che, contro questa sentenza, il difensore d ‘ ufficio ha proposto ricorso per Cassazione (dichiarato inammissibile in data 22 giugno 2021). Quel ricorso, infatti, è stato proposto dal difensore d ‘ ufficio che non poté concordarne il contenuto con l ‘ imputato.
Il Collegio non ignora che l ‘ art. 613, comma 1, cod. proc. pen. come modificato dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, non consente all ‘ imputato di proporre personalmente un ricorso per Cassazione, rileva, tuttavia, che se l ‘ impugnazione proposta dal difensore d ‘ ufficio nell ‘ interesse dell ‘ imputato contumace precludesse a quest ‘ ultimo la possibilità di ottenere la restituzione nel termine per proporre impugnazione avvalendosi di un difensore di fiducia, verrebbe a prodursi una situazione in tutto analoga a quella sulla quale la Corte costituzionale è intervenuta con la sentenza n. 317 del 30 novembre – 4 dicembre 2009.
Come noto, con questa sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato l ‘ illegittimità dell ‘ art. 175, comma 2, cod. proc. pen., «nella parte in cui non consente la restituzione dell ‘ imputato che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato».
Nella sentenza n. 317 del 2009, i Giudici della Consulta hanno escluso che «il diritto di difesa del contumace inconsapevole debba bilanciarsi con il principio di ragionevole durata del processo, di cui al secondo comma dell ‘ art. 111 della Costituzione» e, nel farlo, hanno osservato che «il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie». Ciò che rileva, infatti, è «esclusivamente la durata del ‘ giusto ‘ processo, quale delineato dalla stessa norma costituzionale invocata come giustificatrice della limitazione del diritto di difesa del contumace. Una diversa
soluzione introdurrebbe una contraddizione logica e giuridica all ‘ interno dello stesso art. 111 Cost., che da una parte imporrebbe una piena tutela del principio del contraddittorio e dall ‘ altra autorizzerebbe tutte le deroghe ritenute utili allo scopo di abbreviare la durata dei procedimenti». Sviluppando tali argomentazioni, la Corte costituzionale ha sottolineato che «Un processo non ‘ giusto ‘ , perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata» (così testualmente paragrafo 8 del ‘considerato in diritto’) .
Nella medesima sentenza (paragrafo 9) la Corte costituzionale ha sottolineato che, per sostenere la legittimità costituzionale di una norma che precluda al contumace inconsapevole la restituzione nel termine per proporre impugnazione quando ad impugnare abbia provveduto il difensore d ‘ ufficio, non possono essere invocati i principi dell ‘ unicità del diritto all ‘ impugnazione e del divieto di bis in idem. Secondo la Corte, da questi principi «non possono essere tratte conclusioni limitative di un diritto fondamentale» ed essi devono essere presi in considerazione «sia per ricercare i rimedi ad eventuali giudicati contraddittori che già siano presenti nell ‘ ordinamento positivo, sia per approntare, da parte del legislatore, norme tecniche di dettaglio, volte a rendere maggiormente operativo, sul piano processuale, il principio di garanzia costituito dal diritto del contumace inconsapevole a fruire di una misura ripristiNOMEria». Una misura che non sarebbe effettiva se fosse «’consumata’ dall’ atto di un soggetto, il difensore (normalmente nomiNOME d ‘ ufficio, in tali casi, stante l ‘ assenza e l ‘ irreperibilità dell ‘ imputato), che non ha ricevuto un mandato ad hoc e che agisce esclusivamente di propria iniziativa». L ‘ esercizio di un diritto fondamentale -conclude la Corte -«non può essere sottratto al suo titolare, che può essere sostituito solo nei limiti strettamente necessari a sopperire alla sua impossibilità di esercitarlo e non deve trovarsi di fronte all ‘ effetto irreparabile di una scelta altrui, non voluta e non concordata, potenzialmente dannosa per la sua persona».
I principi così affermati trovano applicazione anche quando -come nel caso di specie -la restituzione nel termine sia stata chiesta per impugnare una sentenza contumaciale di secondo grado. Alla restituzione nei termini, infatti, consegue il diritto dell ‘ imputato a ricorrere in Cassazione contro questa sentenza, diritto per esercitare il quale, ai sensi dell ‘ art. 613, comma 1, egli dovrà avvalersi di un difensore iscritto all ‘ albo speciale della Corte di cassazione.
Da quanto esposto emerge che la restituzione nel termine per proporre impugnazione deve essere disposta soltanto con riferimento alla sentenza della Corte di appello di Roma del 27 gennaio 2021 e non anche con riferimento alla
sentenza della Corte di appello di Roma del 22 dicembre 2010. NOME COGNOME, però, è detenuto anche in esecuzione di questa sentenza (irrevocabile il 24 aprile 2011) , recante condanna alla pena di anni sei di reclusione ed € 18.000 di multa. Pertanto, non v ‘ è necessità di procedere ai sensi dell ‘ art. 175, comma 7, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Restituisce COGNOME NOME nel termine per proporre impugnazione della sentenza della Corte di appello di Roma del 27 gennaio 2021.
Dichiara inammissibile l ‘ istanza di restituzione del termine per proporre impugnazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma del 22 dicembre 2010.
Così deciso il 25 giugno 2025