Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 28161 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28161 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nata in ALBANIA il 11/05/1979
avverso l’ordinanza del 28/02/2025 della Corte d’appello di Bologna Letto il ricorso ed esaminati gli atti;
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria depositata dal Procuratore Generale che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria del difensore di NOME COGNOME ed esaminati i documenti depositati.
RITENUTO IN FATTO
1. Alla Corte di appello di Bologna, su istanza presentata in data 11.11.2024 dall’Avv.NOME COGNOME COGNOME difensore di fiducia di NOME, è stata richiesta la restituzione nel termine per impugnare la sentenza del GUP del Tribunale di Bologna del 10.02.2014 e, in via subordinata, la trasmissione degli atti alla Corte di cassazione per la restituzione nel termine per impugnare la sentenza della Corte di appello di Bologna del 18.06.2019.
È stato dedotto che, con sentenza del GUP del Tribunale di Bologna n. 225/2014, emessa in data 10.02.2014, NOME veniva condannata alla pena di anni 14 di reclusione per i reati di cui agli artt. 81, 110 c.p. e 73, 74 DPR 309/1990.
Successivamente, la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 3975/2019 emessa in data 18.06.2019, decidendo sulla impugnazione proposta dal difensore di fiducia dell’imputata. in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rideterminava la pena in anni 13 e mesi 6 di reclusione.
Detta sentenza diveniva irrevocabile il 15.10.2020, essendo stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal medesimo difensore.
In data 29.10.2020, la Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna emetteva ordine di esecuzione per la carcerazione n. SIEP 526/2020 nei confronti della condannata. A seguito di domanda di estradizione, NOME veniva tratta in arresto in Albania in data 12.10.2024, in attesa di essere estradata in Italia.
Nella richiesta di restituzione nel termine, l’istante ha evidenziato che NOME COGNOME ha avuto conoscenza della sentenza di condanna soltanto in data 12.10.2024, quando è stata arrestata in Albania a seguito della domanda di estradizione. Inoltre, ha allegato che, con missiva datata 10.11.2024, l’Avv. NOME COGNOME ha comunicato all’Avv. NOME COGNOME che le sue “relazioni dirette e personali” con NOME COGNOME si erano interrotte prima della pronuncia della sentenza di primo grado.
Secondo quanto riportato nella citata missiva, il difensore di fiducia ha dichiarato di essere stato nell’impossibilità di comunicare alla propria assistita gli sviluppi e gli esiti dei vari gradi del giudizio, affermando testualmente che “NOME non ha mai ricevuto informazione da me in quanto impossibilitato” e che le relazioni dirette e personali con la stessa si interruppero prima della pronuncia della sentenza di primo grado.
È stato altresì precisato che, sebbene l’Avv. COGNOME avesse mantenuto rapporti con il marito co-imputato NOME COGNOME la COGNOME si era legalmente separata dal coniuge nel 2018, cessando con lui ogni tipo di rapporto. Tale circostanza, unitamente al lungo lasso temporale intercorso tra il primo ed il secondo grado di giudizio (circa cinque anni) e all’assenza di contatti diretti tra l’imputata ed il suo difensore, deporrebbero inequivocabilmente per uno stato di incolpevole ignoranza in capo alla stessa in ordine alla pendenza del procedimento a suo carico e alle sentenze che ne hanno costituito l’epilogo.
La difesa ha argomentato che, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n.317/2009 del 30.11.2009, l’istante avrebbe titolo per chiedere di essere restituita nel termine per proporre impugnazione avverso la sentenza di primo grado, nonostante l’impugnazione sia già stata proposta dal difensore.
In punto di diritto, l’istante ha sostenuto l’applicabilità al caso di specie della normativa previgente all’entrata in vigore della L. 67/2014, relativa al processo in absentia , poiché la sentenza di primo grado è stata emessa in data 10.02.2014, antecedente all’entrata in vigore della legge medesima.
Il difensore ha sottolineato che la condizione di latitanza della donna non possa ritenersi, di per sé, indicativa della sua rinuncia alle facoltà connesse all’effettivo esercizio del diritto di difesa, richiamando a tal proposito il principio espresso dalla Suprema Corte secondo cui lo stato di latitanza non può costituire elemento idoneo ad escludere la mancata incolpevole conoscenza del procedimento.
La Corte di appello di Bologna ha rigettato l’istanza, ritenendo provato che NOME abbia avuto conoscenza dell’intero processo ed abbia volontariamente rinunciato a comparire.
È stato evidenziato che il procedimento penale si è svolto in contumacia dell’imputata, che era stata dichiarata latitante con decreto del GIP del Tribunale di Bologna del 20.01.2012.
Inoltre, a partire dal 31.10.2013, l’imputata è stata difesa di fiducia dall’Avv. NOME COGNOME la cui nomina è stata depositata all’udienza del 31.10.2013. Il predetto difensore ha rappresentato e difeso la stessa imputata nel corso dei giudizi di primo e secondo grado, nonché nel giudizio avanti alla Corte di cassazione, e tutte le notifiche alla prevenuta sono state eseguite ex art. 165 cod.proc.pen. .
La Corte distrettuale, nel respingere l’istanza di restituzione nel termine per impugnare la sentenza di primo grado, ha osservato che dalla missiva in data 10.11.2024 dell’Avv. COGNOME emergono circostanze da cui si evince che NOME è verosimilmente stata informata di tutta la sua vicenda giudiziaria.
Infatti, sebbene l’Avv. COGNOME abbia rappresentato che le sue relazioni dirette e personali con NOME si erano interrotte prima della pronuncia della sentenza di primo grado, lo stesso legale ha altresì affermato di avere viceversa, mantenuto periodicamente contatti telefonici con il marito co-imputato NOME
È stata conseguentemente disposta la trasmissione degli atti a questa Corte per la decisione sull’istanza di restituzione nel termine per impugnare la sentenza della Corte di appello di Bologna del 18.06.2019.
Il Procuratore Generale ha depositato memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
Il difensore di NOME COGNOME ha depositato memoria e documenti a sostegno dell’istanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’istanza di restituzione nel termine presentata nell’interesse di NOME deve essere rigettata.
1.1 Va premesso che la richiesta di restituzione nel termine di cui all’art. 175 cod. proc. pen. deve essere delibata ai sensi del testo della norma ante legge n. 67 del 2014.
Infatti, ai sensi dell’art. 15-bis, comma 2, della stessa legge, ” le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l’imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità”.
Il procedimento a carico dell’istante, iniziato nel 2008, era in corso al momento di entrata in vigore della legge n.67 del 2014 ( la sentenza di primo grado è stata infatti pronunciata il 10/02/2014).
La norma applicabile, dunque, è l’art. 175, secondo comma, cod. proc. pen, nel testo vigente prima delle modifiche introdotte dalla L.n.67 del 2014, il cui tenore era il seguente: ” se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l’imputato è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento ed abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione o opposizione. A tal fine l’autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica”.
Delineato il quadro normativo di riferimento, occorre altresì illustrare la distinzione elaborata dalla giurisprudenza in relazione al tipo di assistenza difensiva prestata all’imputato, differenziando tra difensore di ufficio e difensore di fiducia.
Quando l’imputato è assistito da un difensore d’ufficio, la dichiarazione di latitanza non costituisce di per sé elemento sufficiente ad escludere la mancata conoscenza incolpevole del procedimento nell’ambito della restituzione nel termine per impugnare una sentenza contumaciale.
Si è infatti precisato che non è possibile dimostrare l’effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, basandosi esclusivamente sul presupposto che lo stato di latitanza sia stato volontariamente scelto dall’imputato per sottrarsi al procedimento penale. Questo elemento presenta infatti carattere equivoco, poiché la latitanza può originarsi da situazioni di diversa natura e non può pertanto considerarsi di per sé elemento univocamente idoneo ad escludere la mancata conoscenza incolpevole del procedimento (Sez. 1, n. 17338 del 21/01/2021, COGNOME, Rv. 281218 – 01; Sez. 6, n. 4929 del 10/01/2019, Makdad, non mass.; Sez. 6, n. 14743 del 29/01/2018, Tair, Rv. 272654 – 01; Sez. 6 n. 19219 del 02/03/2017, Cobo, Rv. 270029 – 01).
Diversamente, quando risulti la nomina di un difensore di fiducia, la perdurante esistenza del rapporto di difesa fiduciaria costituisce elemento significativo, idoneo a comprovare
l’effettiva conoscenza della pendenza del procedimento e del relativo provvedimento (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 32591 del 2024, n.m.).
Questo perché il conferimento dell’incarico fiduciario presuppone, per sua natura, un contatto diretto tra imputato e difensore, durante il quale quest’ultimo è tenuto, anche per obblighi deontologici, a informare il cliente sull’esistenza del procedimento e sui suoi sviluppi.
Qualora si verifichi un’effettiva interruzione di qualsiasi relazione tra difensore e assistito, rendendo il difensore arbitro autonomo di ogni scelta procedurale, tale sopravvenienza deve essere portata a conoscenza del giudice, poiché idonea, tra l’altro, a determinare suoi provvedimenti.
Questa Corte, integrando il richiamato principio con altre pronunce, ha chiaramente affermato che “non ha diritto alla restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale l’imputato latitante assistito, nel corso del giudizio di primo grado e d’appello, da difensore fiduciario presso il quale abbia eletto domicilio, posto che la perdurante esistenza del rapporto di difesa fiduciaria costituisce fatto di per sé idoneo a provarne l’effettiva conoscenza della pendenza del procedimento e del provvedimento, salvo che non risulti una comunicazione al giudice della avvenuta interruzione di ogni rapporto tra il legale e l’assistito e della rinuncia del primo ad impugnare” (Sez. 3, n. 15760 del 16/03/2016 , Kaya, Rv. 266583 -01: fattispecie anteriore alla entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67, in cui la S.C. ha ritenuto legittimo il rigetto di istanza di restituzione in termini con la quale il richiedente deduceva solo di non essere stato messo al corrente, da parte del difensore di fiducia, della intervenuta condanna).
Anche in quest’ultima decisione, viene sottolineata la preminente rilevanza della perdurante esistenza del rapporto fiduciario, non contraddetta da alcuna comunicazione della eventuale interruzione dei rapporti con il proprio assistito.
Di recente, nella sentenza n. 15623 del 05/04/2024, COGNOME, di questa Sezione, si è altresì precisato che l’istanza debba contenere , quantomeno, l’allegazione delle ragioni in grado di vincere la presunzione per cui, in forza del dovere deontologico del difensore di far pervenire al proprio assistito gli atti a lui diretti, la ritualità delle notifiche comporta l’effettiva conoscenza del provvedimento notificato da parte dell’interessato.
Alla luce dei suddetti principi, questa Corte è chiamata a valutare se, nel caso concreto, sussistano i presupposti per la restituzione nel termine secondo la disciplina applicabile ratione temporis .
Si deduce nella istanza l’incolpevole mancata conoscenza sia del procedimento sia delle sentenze di condanna, fondando tale assunto principalmente sulla circostanza – attestata dall’Avv.NOME COGNOME con missiva del 10.11.2024 – che le relazioni dirette e personali con la COGNOME si sarebbero interrotte in data antecedente alla pronuncia della sentenza di primo grado, con conseguente impossibilità per il difensore di comunicare all’assistita gli sviluppi e gli esiti dei vari gradi del giudizio.
La prospettazione difensiva non può trovare accoglimento, in quanto sussistono elementi concreti e specifici per affermare che l’istante abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire, circostanze queste che, secondo il disposto dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., precludono la possibilità di restituzione nel termine.
Nel caso di specie è indiscussa la nomina del difensore di fiducia che ha assistito l’odierna istante per tutti i gradi di giudizio, presso il quale, l’imputata dichiarata latitante, ha ricevuto tutte le notifiche degli atti alla stessa destinati, ai sensi dell’art. 165 c od.proc.pen..
Il dato documentale, costituito dalle sentenze di primo e secondo grado, conferma che la ricorrente viene qualificata come latitante e risulta essere stata difesa di fiducia dall’Avv.NOME COGNOME.
Assume rilievo determinante il fatto che l’Avv. COGNOME è rimasto difensore di fiducia dell’imputata durante tutto l’arco del procedimento, dalla fase preliminare sino al giudizio di cassazione.
La circostanza che il difensore di fiducia abbia impugnato sia la sentenza di primo grado che quella di secondo grado, giungendo fino al giudizio di cassazione, rafforza il convincimento che NOME fosse a conoscenza dell’intero procedimento ed abbia volontariamente rinunciato a comparire. È infatti ragionevole ritenere che tali iniziative processuali siano state assunte sulla base di indicazioni provenienti, direttamente o indirettamente, dalla stessa assistita.
Dall’esame degli atti processuali emerge con chiarezza che l’Avv. COGNOME non ha mai comunicato ai giudici procedenti l’interruzione dei suoi rapporti con l’assistita nel corso dei tre gradi di giudizio in cui ha assistito fiduciariamente NOMECOGNOME
La comunicazione è stata effettuata con missiva del 10.11.2024, indirizzata peraltro non all’autorità giudiziaria ma al nuovo difensore Avv. NOME COGNOME COGNOME e solo dopo l’arresto della Shapka avvenuto in Albania in data 12.10.2024.
L’omissione di ogni comunicazione all’autorità giudiziari a, unitamente al perdurante esercizio delle facoltà difensive, inclusa l’impugnazione delle sentenze, costituisce elemento particolarmente significativo per ritenere che l’imputata abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento.
Dalla citata missiva dell’Avv. COGNOME emergono peraltro circostanze che inducono a ritenere che NOME fosse verosimilmente informata dell’andamento della sua vicenda giudiziaria. Infatti, sebbene l’Avv. COGNOME abbia rappresentato che le sue relazioni dirette con l’assistita si erano interrotte prima della pronuncia della sentenza di primo grado, lo stesso legale ha altresì affermato di avere, viceversa, mantenuto contatti telefonici con il marito co-imputato NOME
Infine, difettano valide allegazioni inerenti all’incolpevole mancata conoscenza del procedimento.
Non è dedotta alcuna circostanza fattuale riconducibile a impossibilità di contatti tra il difensore di fiducia e la propria assistita.
La mera allegazione della separazione legale dal coniuge difeso dallo stesso difensore, intervenuta solo nel 2018, non può considerarsi sufficiente a escludere che, attraverso quest’ultimo, l’istante possa avere avuto notizia del procedimento penale a suo carico e dei relativi sviluppi, considerato che il procedimento di primo grado si è concluso nel 2014 e che i contatti tra il difensore e il coniuge co-imputato sono proseguiti.
Nella missiva proveniente dal marito della parte istante, risulta che la relazione e i contatti tra i due coniugi si sarebbero interrotti nel 2018, e perciò successivamente alla sentenza di primo grado intervenuta il 10/2/2014.
Il lungo lasso temporale intercorso tra il primo ed il secondo grado di giudizio (circa cinque anni), invocato a sostegno della propria tesi, non può essere valutato come elemento a favore dell’incolpevole mancata conoscenza del procedimento, in assenza di allegazioni concrete circa le ragioni che avrebbero impedito di continuare a informarsi presso il proprio difensore fiduciario, che ha continuato a rappresentar e l’assistita, senza mai rendere nota all’autorità giudiziaria alcuna interruzione del rapporto professionale.
In conclusione, ricorrono numerosi elementi fattuali, come sopra descritti, i quali, valutati nel loro complesso, portano ragionevolmente a concludere che NOME fosse effettivamente a conoscenza sia del procedimento che dei provvedimenti impugnati, e che abbia volontariamente scelto di non comparire, mantenendo però una difesa tecnica attraverso il difensore fiduciario; circostanze queste che, secondo il disposto dell’art.175, comma 2, cod. proc. pen., precludono la possibilità di restituzione nel termine.
Quanto alle spese processuali, questa Corte ritiene di aderire al l’orientamento secondo cui alla declaratoria di inammissibilità (o al rigetto) della richiesta di restituzione nel termine non consegue la condanna al pagamento delle spese del procedimento, non avendo tale richiesta natura di mezzo di impugnazione (Sez. 5 – , Ordinanza n. 15776 del 16/01/2023 Cc, Rv. 284388 -01).
P.Q.M.
Rigetta l’istanza di restituzione nel termine proposta nell’interesse di NOME Così deciso in data 27 maggio 2025