Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10623 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10623 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nata in Colombia il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza della Corte di appello di Milano del 10 febbraio 202:3 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME NOME è stata giudicata in contumacia perché latitante e condannata alla pena ritenuta di giustizia dal Tribunale di Milano con
sentenza del 20 aprile 2005 in quanto ritenuta responsabile dei reati, ex artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, alla stessa ascritti.
Interposto appello da parte del difensore d’ufficio, ferma la contumacia già rilevata in primo grado, la Corte di appello di Milano, con sentenza del 27 novembre 2006, ha modificato quella gravata solo in punto di pena, ridotta rispetto a quella inflitta in primo grado.
Con istanza depositata il 27 novembre 2022 l’imputata, senza contestare la regolarità formale delle notifiche, ha chiesto alla Corte di appello di Milano di essere rimessa in termini per impugnare sostenendo di non aver avuto conoscenza del procedimento sfociato nelle dette sentenze di primo e secondo grado sino alla data di esecuzione dell’ordine di carcerazione fondato sul relativo titolo giudiziale, divenuto esecutivo per la definitività della sentenza di appello, non gravata da ricorso di legittimità. E la Corte di appello, con ordinanza del 10 febbraio 2023, ha rimesso la COGNOME in termini per impugnare la sentenza di appello, in applicazione del disposto di cui all’art 175, commi 2 e 4, cod. proc. pen.
Propone ricorso la difesa di COGNOME NOME e con due motivi di ricorso per un verso evidenzia la violazione di legge che invaliderebbe la decisione di restituzione nel termine, perchè diretta a consentire l’impugnazione della sentenza di appello e non di quella di primo grado, precludendo cosi alla ricorrente anche di avvalersi della possibilità di chiedere un rito alternativo o comunque di avvalersi della possibilità di godere della relativa riduzione di pena; per altro verso contrasta la motivazione spesa dalla sentenza della Corte di appello di Milano con la sentenza del 27 novembre 2016 nel confermare il giudizio di responsabilità reso ai danni della ricorrente, contestando la partecipazione associativa e il ruolo qualificato riconosciuti dalla decisione di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso merita l’accoglimento per le ragioni e nei termini di seguito precisati.
In ragione di alcune incertezze espositive che connotano i relativi atti, occorre procedere, in primo luogo, all’individuazione effettiva dei contenuti propri dell’impugnazione che occupa nonché, ancora più a monte, della istanza di restitituzione nel termine esitata dalla Corte di appello di Milano con ordinanza del 10 febbraio 2023. Operazione, questa, che va effettuata con l’obiettivo di assegnare, a detti atti, il significato più coerente alla volontà processuale
perseguita dal soggetto interessato siccome complessivamente desunta dal relativo portato sostanziale e prescindendo anche dal tenore delle incongruenze eventualmente rassegnate dalle conclusioni spese dalla difesa con le rispettive iniziative processuali.
Muovendo dall’istanza di restituzione nel termine, rileva il Collegio che la stessa, in linea con la valutazione implicitamente resa dalla Corte territoriale, era certamente da qualificare ai sensi dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. vigente all’epoca delle decisioni di merito che hanno portato al giudizio di responsabilità della odierna ricorrente (e dunque nella formulazione successiva al d.l. n. 17/05 convertito con modifiche nella legge n. 60 del 2005 e precedente alla novella apportata dalla legge n. 67 del 2014) e non quale incidente di esecuzione, come erroneamente indicato nella relativa istanza: con la stessa, infatti, non si contestava la rituale formazione del titolo giudiziale divenuto definitivo ma solo l’integrale ignoranza del procedimento alla luce della contumacia e della latitanza della COGNOME, verificatesi sia in primo grado che in appello.
Quest’ultimo riferimento, poi, a dispetto delle relative conclusioni (formalmente dirette ad ottenere la restituzione nel termine in funzione dell’impugnazione della sentenza di appello), imponeva di interpretare l’atto siccome diretto a consentire alla COGNOME di attingere con appello la decisione di primo grado.
La rassegnata non conoscenza del procedimento sin dalla data di esecuzione della ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti, precedente alla instaurazione del giudizio di primo grado, confermata dalla Corte territoriale nel motivare la fondatezza della istanza di restituzione nel termine, letta alla luce della regola di competenza dettata dal comma 4 dell’art. 175 cod. proc. pen (in forza della quale la Corte del merito, a fronte di una istanza diretta alla restituzione nel termine per impugnare una sentenza di appello, avrebbe dovuto trasmettere gli atti al giudice di legittimità e non provvedere sulla stessa), non poteva, infatti, lasciare dubbi di sorta in relazione alla effettiva intenzione processuale perseguita dalla difesa dell’imputata, malgrado l’incertezza offerta dalle Formali conclusioni rassegnate nella specie.
E ciò ancor più considerando l’opportunità per la COGNOME di creare una soluzione di continuità tra le due decisioni di merito rese a suo discapito (nella ritenuta inconsapevolezza della pendenza del relativo giudizio), appellando la sentenza di primo grado laddove, come nella specie, il gravame di merito sia stato in origine interposto unicamente dal difensore d’ufficio; possibilità garantita alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 317 del 2009 che, per l’appunto, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 172, comma 2, cod. proc. pen.
all’epoca vigente nella parte in cui non consentiva la restituzione dell’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, quando analoga impugnazione sia stata proposta ih precedenza dal difensore dello stesso imputato.
Le considerazioni che precedono sono decisive nell’individuare l’oggetto del ricorso che occupa malgrado il portato apparentemente distonico dei due motivi di impugnazione. Al contempo, permettono di mettere in immediata evidenza il vizio che inficia la decisione impugnata.
Ponendosi, infatti, lungo la direttrice logica sopra tracciata nel definire i contenuto effettivo della istanza di restituzione in termini proposta nell’interesse della COGNOME COGNOME, si può, in coerenza, affermare che:
l’ordinanza che accoglie la restituzione in termini ma che la dirige verso un provvedimento diverso da quello che effettivamente si intende impugnare in forza della relativa istanza non si differenzia, nella sostanza, da quella che rigetta l’istanza stessa, così da risultare impugnabile ai sensi del comma 6 dell’art. 175 citato;
in questa ottica e sempre con l’obiettivo di attribuire all’atto un significato quanto più coerente all’effettivo intento processuale perseguito, il primo motivo del ricorso che occupa finisce per assumere un rilievo assorbente nel rintracciare l’oggetto del rimedio proposto innanzi a questa Corte (la detta ordinanza resa ex art. 175 cod. proc. pen.) oltre che nel verificare le dirimenti censure che ne dominano il portato in termini di fondatezza del relativo assunto (l’aver assentito la restituzione nel termine per gravare un provvedimento diverso da quello in funzione del quale era stato attivato lo strumento ex art 175 citato), rendendo al contempo recessive sia la seconda censura proposta, sia le conclusioni dell’impugnazione, dirette a contrastare la sentenza di appello resa nella contumacia dell’imputata ma in realtà determinate dalla complessiva incertezza che colora l’intera vicenda processuale e dal correlato timore della difesa di non potersi più avvalere della rinnessione accordata, si che alle stesse può coerentemente assegnarsi una valenza solo secondaria, subordinata ed eventuale alla negativa valutazione della prima doglianza articolata, vero momento portante del ricorso che occupa.
Da qui la decisione di cui al dispositivo che segue, con la precisazione che l’annullamento attinge unicamente l’aspetto inerente alla individuazione del provvedimento che la COGNOME può ritenersi legittimata ad impugnare (la sentenza di primo grado in luogo di quella dell’appello), ferma restando la
valutazione resa dalla Corte territoriale, competente ai sensi del comma 4 dell’art. 175 del codice di rito, sulla restituzione nel termine accordata, da ritenersi decorrente, con ovvia evidenza, a far data dalla presente decisione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alla individuazione della sentenza oggetto della restituzione nel termine, che indica nella sentenza di primo grado.
Così deciso il 20/2/2024.