Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 542 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 542 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
Oggi
avverso l’ordinanza del 25/6/2024 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25/6/2024, la Corte di appello di Roma rigettava la richiesta di restituzione in termini avanzata da NOME COGNOME per appellare la sentenza emessa dal locale Tribunale il 20/6/2014, irrevocabile il 26/1/2016.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo – con unico motivo – la violazione di legge, con l’apparenza o la manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello avrebbe rigettato l’istanza con argomento viziato, sotto un duplice profilo. Innanzitutto, avrebbe affermato che il ricorrente sarebbe stato a conoscenza del processo, mentre il decreto di citazione diretta a giudizio non gli
sarebbe mai stato notificato: unico atto ricevuto, infatti, sarebbe l’avviso di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., che, tuttavia, non conterrebbe la vocatio in ius. Sul punto, pertanto, occorrerebbe equiparare la posizione dell’imputato giudicato in contumacia (come il COGNOME) con quella dell’assente, pena un’irragionevole disparità di trattamento. Per altro verso, si contesta – perché apodittica e priva di riferimenti certi – l’affermazione della Corte secondo cui il ricorrente si sarebbe sottratto volontariamente alla conoscenza del processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
L’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nella versione applicabile ratione temporis (dunque, prima della novella di cui alla I. 28 aprile 2014, n. 67, come affermato dallo stesso istante), stabiliva che “se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l’imputato è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione. A tale fine l’autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica.”
Tanto premesso, la Corte di appello ha rigettato l’istanza del COGNOME con una motivazione del tutto congrua, tutt’altro che apparente o manifestamente illogica, oltre che ancorata ad oggettivi elementi di fatto; come tale, dunque, non censurabile nei termini proposti.
5.1. In particolare, la conoscenza del procedimento in capo al ricorrente è stata ricavata, in primo luogo, dalla notificazione dell’avviso di ammissione al pagamento della sanzione amministrativa, conseguente alle prescrizioni imposte dall’Ispettorato del lavoro: il 14/1/2011, l’atto era stato notificato a mani proprie in Roma, INDIRIZZO. Il 14/7/2011, poi, il COGNOME aveva ritualmente dichiarato il proprio domicilio nello stesso luogo, ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen. Nella stessa data, peraltro, al ricorrente era stato notificato ancora a mani proprie – l’avviso di conclusione delle indagini relativo al procedimento in oggetto.
In forza di questi elementi, oggettivi e non contestati dal ricorrente, la Corte ha quindi concluso che, per un verso, il COGNOME aveva avuto effettiva conoscenza del procedimento, e, per altro verso, aveva deciso di far perdere le proprie tracce: in particolare, l’allora indagato non aveva provveduto a nominare un difensore di fiducia e non aveva contattato quello nominatogli d’ufficio, fino ad essere cancellato dai registri del Comune di Roma per irreperibilità accertata il 16/4/2013, senza alcuna indicazione di trasferimento di residenza in un altro
luogo. Questi dati di fatto, peraltro, sono stati sostenuti dalla Corte con una considerazione tutt’altro che viziata per illogicità manifesta: in particolare, è stat valorizzato che il COGNOME non era un soggetto sprovveduto o privo di legami con il territorio nazionale, ma un cittadino italiano, imprenditore, con un’età (38 anni) che lo rendeva perfettamente in grado di comprendere il valore degli atti che gli erano stati notificati a mani proprie, e quindi di assumere ogni conseguente decisione.
6.1. Ne risulta, dunque, una motivazione ancorata a solidi e non contestati presupposti, che consente di respingere del tutto la generica censura secondo cui l’ordinanza si sarebbe tradotta sul punto in una mera asserzione sfornita di ogni aggancio fattuale.
Infine, la Corte di appello si è misurata con l’indirizzo per il quale, in tema di restituzione nel termine per l’impugnazione della sentenza di condanna contumaciale, ai sensi dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. (nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla legge 28 aprile 2014, n. 67), è illegittimo il provvedimento di rigetto della relativa istanza, che, sul rilievo della regolarità meramente formale della notificazione dell’atto, assegni al comportamento dell’imputato, che abbia omesso di comunicare all’Autorità giudiziaria il mutamento del domicilio a suo tempo dichiarato, il significato di una volontaria sua scelta di sottrarsi alla conoscenza legale del processo e delle sentenze (Sez. 1, n. 27919 del 30/9/2020, Luraschi, Rv. 279641); questo indirizzo, infatti, è stato adeguatamente superato dalle considerazioni sopra riportate, così da escludere che il rigetto della istanza sia avvenuto alla luce di criteri esclusivamente formali.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024
Il Consiciliere estensore