Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26420 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26420 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Bari il 2/9/1989
avverso l’ordinanza del 16/1/2025 della Corte di appello di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, anche con memoria
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 16/1/2025, la Corte di appello di Bari dichiarava inammissibile l’istanza con la quale NOME COGNOME chiedeva di essere restituito in termini per impugnare la sentenza emessa a suo carico dal Tribunale di Bari il 23/11/2023.
Propone ricorso per cassazione il condannato, deducendo i seguenti motivi:
inosservanza dell’art. 629-bis cod. proc. pen. La Corte di appello avrebbe travisato l’oggetto dell’istanza, che – pur erroneamén,te qualificata come domanda di restituzione in termini – avrebbe contenuto eitte -M il diverso oggetto della rescissione del giudicato di cui alla norma citata. L’agevole lettura del testo, infatti evidenzierebbe che la richiesta era volta a far dichiarare non eseguibile il provvedimento di esecuzione, sul presupposto che la dichiarazione di assenza sarebbe stata erroneamente pronunciata e che il ricorrente avrebbe avuto conoscenza del procedimento, per la prima volta, soltanto in occasione di un’udienza tenutasi dinanzi al Tribunale di sorveglianza di Bari. La Corte di appello, pertanto, sarebbe incorsa in una svista percettiva, leggendo nell’istanza un oggetto diverso da quello effettivo;
violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento degli atti. L’ordinanza affermerebbe in modo apodittico che il decreto di citazione a giudizio per i fatti di cui alla sentenza in esame sarebbe stato notificato a mani dell’imputato. In tal modo, però, il provvedimento non si confronterebbe affatto con le argomentazioni poste a sostegno dell’appello allegato alla istanza dichiarata inammissibile, da intendersi qui integralmente note e richiamate, che avrebbero evidenziato la violazione delle regole processuali previste per la notifica della vocatio in iudicium e, dunque, dell’art. 420-bis cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta infondato; a giudizio del Collegio, infatti, la Corte di appel non ha travisato l’oggetto dell’istanza, né è incorsa in alcuna svista percettiva, ma ha riconosciuto in modo incensurabile una richiesta di restituzione in termini ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen., dichiarandola inammissibile con una motivazione priva di vizi.
Richiamata la disciplina dell’istituto, l’ordinanza impugnata ha innanzitutto sottolineato che “lo strumento riparatorio di eventuali lacune conoscitive del processo, nella fase successiva alla formazione del giudicato, è rappresentato unicamente dall’istituto della rescissione” di cui all’art. 629-bis cod. proc. pen. che si applica ai procedimenti nei quali l’imputato sia stato dichiarato assente ai sensi dell’art. 420-bís cod. proc. pen.
4.1. Di seguito, l’ordinanza ha evidenziato, come già premesso, che l’istanza formulata dal ricorrente costituiva invero una richiesta di restituzione in termini, tale, peraltro, risultando espressamente qualificata: “Istanza di remissione in termini al fine del deposito di atto di appello apparentemente tardivo in favore di COGNOME Nicola con pedissequa sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordine di esecuzione per la carcerazione n. SIEP 668/2024″. Di analogo tenore, inoltre,
risultano le conclusioni della medesima richiesta: “Alla luce delle brevi riflessioni rassegnate, del richiamato atto di appello già in Vs possesso, si chiede che il Di
Serio possa essere messo nuovamente nei termini processuali onde poter perfezionare il deposito dell’atto di gravame inviato e legittimare il diritto del
stesso a poter impugnare la sentenza che lo ha visto ingiustamente condannato, esercitando in maniera legittima il proprio diritto a difendersi.”
5. Motivatamente inquadrata l’istanza nei termini dell’art. 175 cod. proc. pen., la Corte di appello l’ha poi esaminata nel merito, riscontrando l’assenza dei
presupposti propri dell’istituto: in particolare, con argomento in fatto evidentemente non censurabile in questa sede, l’ordinanza ha sottolineato che le
circostanze dedotte dal ricorrente non integravano ipotesi di forza maggiore o di caso fortuito, e che, in ogni caso, dagli atti risultava la prova della notificazion
del decreto di citazione a giudizio a mani proprie dell’imputato, dunque
“indiscutibilmente perfezionata – e ritualmente – nelle forme di legge.” Il ricorso, invero, contesta tale affermazione, richiamando gli argomenti contenuti nella
“dichiarazione di appello apparentemente tardivo e contestuali motivi a sostegno”
allegata all’impugnazione qui in esame, argomenti sui quali la Corte di appello non si sarebbe pronunciata (motivo n. 2). Ebbene, questo profilo del ricorso risulta manifestamente infondato, in quanto la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di restituzione in termini ha impedito – come logico effetto – ogni valutazione dell’atto di appello tardivamente proposto.
Infine, ed ancora con argomento privo di vizi, l’ordinanza ha affermato che l’istanza di restituzione nel termine, proposta dal condannato, non avrebbe potuto comunque essere riqualificata nella richiesta di rescissione del giudicato di cui all’art. 629-bis cod. proc. pen., anche individuando con tali caratteri l’effettiv volontà della parte, in quanto, per costante e condiviso indirizzo, il principio di conservazione degli atti di impugnazione, sancito dall’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., è applicabile ai soli rimedi qualificati come impugnazione dal codice di rito, tra i quali non rientra la richiesta di restituzione in termini (tra le molte, 3, n. 33647 dell’8/7/2022, COGNOME, Rv. 283474; Sez. 4, n. 863 del 3/12/2021, COGNOME, Rv. 282566).
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. GLYPH
Depositata in Cancelleria
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2025
Il C sisliere estensore
GLYPH Il Pryflente
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